Dagio_maya 's bookshelf: read en-US Tue, 08 Jul 2025 22:37:18 -0700 60 Dagio_maya 's bookshelf: read 144 41 /images/layout/goodreads_logo_144.jpg <![CDATA[Il club dei delitti del giovedì]]> 55583981 Elizabeth, Joyce, Ibrahim e Ron, tra calici di vino e torte alla vodka, studiano i fascicoli della polizia segretamente acquisiti dalla leader indiscussa del gruppo, Elizabeth.
Ma quando un brutale omicidio ha luogo proprio sulla loro soglia di casa, “Il club dei delitti del giovedì” si ritrova nel bel mezzo del primo caso in diretta. I quattro protagonisti saranno pure degli ottantenni, tuttavia hanno ancora qualche asso nella manica. Sono persone vivaci, straordinariamente agili ed energiche, decise a esercitare la loro notevole elasticità mentale nella ricerca di un assassino a piede libero. Per trovarlo si immedesimeranno nel personaggio dell’anziano curioso e vagamente ingenuo, così da raccogliere informazioni e inserirsi nelle indagini ufficiali con stratagemmi sorprendenti, che superano spesso il confine della legalità.

Richard Osman rompe gli schemi della narrativa poliziesca, dipanando un racconto pieno di suspence ma incredibilmente divertente, e il collegamento tra gli intrepidi investigatori e la polizia, che potrebbe sembrare ardito, funziona magnificamente.
L’arguzia secca e l’umorismo britannico danno a questo romanzo un sapore particolare e i suoi personaggi simpatici e accattivanti ci catturano sin dall’inizio. Un esordio insolito e coinvolgente.]]>
384 Richard Osman 8893902885 Dagio_maya 0 currently-reading 3.54 2020 Il club dei delitti del giovedì
author: Richard Osman
name: Dagio_maya
average rating: 3.54
book published: 2020
rating: 0
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date added: 2025/07/08
shelves: currently-reading
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Malaparte. Morte come me 30752908 Malaparte decide di darsi alla macchia: con l’aiuto di pochi amici fidati (un principe scialacquatore, un camorrista, uno strambo pittore e l’inseparabile cane Febo) condurrà in clandestinità una difficilissima inchiesta. Chi sta cercando di incastrarlo? Forse quell’ufficiale delle SS sempre in compagnia del suo sanguinario dobermann? E che ruolo ha nel complotto il terribile (e vero) segreto nascosto nel passato di Adolf Hitler? Per sfuggire all’incubo, lo scrittore dovrà fare appello a tutte le sue doti, a un’incantevole fanciulla dai talenti insospettabili e a un geniale deus ex machina: un giornalista americano, squisito gentleman e futuro capo dello spionaggio militare USA in Europa.
Da scenario fanno il paesaggio di Capri e la villa che Malaparte si sta costruendo su una delle scogliere più spettacolari dell’isola, mentre fra champagne e orchestrine la high society europea attende rassegnata la sua ultima ora. Malaparte invece non ci sta: è ben deciso a salvare la pelle e ha ancora fresche nell’animo le ferite riportate da eroe nella Prima guerra mondiale.
Ma non è tutto. Ben presto il lettore scoprirà che la vicenda è molto più di una finzione letteraria: la storia che Malaparte narra, ripercorrendo tutto il suo passato, non è semplicemente un romanzo, ma la prova più importante della sua vita. E solo all’ultima pagina scopriremo se l’avrà superata]]>
496 Rita Monaldi 8868529645 Dagio_maya 2 italiana, storica
E’ il 1939 in una Capri Caput Mundi dove realmente ( e di questo mi sono stupita) si sono intrecciate le vicende di tantissimi personaggi.
Questo è infatti un romanzo storico con tutti i crismi.

Fin dalle prime pagine entriamo nella villa di Mona Williams e ci troviamo faccia a faccia con la nobiltà ed alta borghesia europea ed americana.
Fatti storici ed aneddoti si intrecciano e fanno da impalcatura ad un inverosimile giallo in cui, suo malgrado, si trova invischiato il protagonista.

description
La bizzarra villa di Malaparte a Capri: Casa Come Me

Malaparte scrive un romanzo di espiazione sul letto di morte (grazie ad una sospensione del tempo data dalla Morte stessa…) a Roma nel 1957, portandoci a ritroso nel 1935 quando conobbe una giovane poetessa inglese e poi al 1939 quando fu accusato della sua morte.
Capri è la vera protagonista e la coppia Monaldi e Sorti (di cui avevo adorato Imprimatur) è sicuramente abile nel ricostruire fatti ed atmosfere inserendo qua e là dettagli curiosi.

La lettura, tuttavia, a me ha coinvolto solo a tratti probabilmente per mancanza di empatia.
Non vedevo l’ora di finirlo e questo non è un buon segno..
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4.32 2016 Malaparte. Morte come me
author: Rita Monaldi
name: Dagio_maya
average rating: 4.32
book published: 2016
rating: 2
read at: 2025/07/08
date added: 2025/07/08
shelves: italiana, storica
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Chi meglio del famigerato Curzio Malaparte può essere messo al centro di una scena ambigua come quella fascista: tanto rigorosa nella sua immagine di copertina quanto disinvolta negli ambienti del Bel Mondo così immerso nei suoi eccessi da non rendersi conto del pericolo imminente.

E’ il 1939 in una Capri Caput Mundi dove realmente ( e di questo mi sono stupita) si sono intrecciate le vicende di tantissimi personaggi.
Questo è infatti un romanzo storico con tutti i crismi.

Fin dalle prime pagine entriamo nella villa di Mona Williams e ci troviamo faccia a faccia con la nobiltà ed alta borghesia europea ed americana.
Fatti storici ed aneddoti si intrecciano e fanno da impalcatura ad un inverosimile giallo in cui, suo malgrado, si trova invischiato il protagonista.

description
La bizzarra villa di Malaparte a Capri: Casa Come Me

Malaparte scrive un romanzo di espiazione sul letto di morte (grazie ad una sospensione del tempo data dalla Morte stessa…) a Roma nel 1957, portandoci a ritroso nel 1935 quando conobbe una giovane poetessa inglese e poi al 1939 quando fu accusato della sua morte.
Capri è la vera protagonista e la coppia Monaldi e Sorti (di cui avevo adorato Imprimatur) è sicuramente abile nel ricostruire fatti ed atmosfere inserendo qua e là dettagli curiosi.

La lettura, tuttavia, a me ha coinvolto solo a tratti probabilmente per mancanza di empatia.
Non vedevo l’ora di finirlo e questo non è un buon segno..

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La festa è finita 9696513 Falstaff al Regio. È l'occasione per rivedere gli uomini, le donne, gli amici, anzi i "compagni" di un tempo, perché Carlo, trent'anni prima, è stato un leader della contestazione. Come è passato il tempo. Per tutti. Per Alexandra, che fu bellissima e amata. E per Angelo Cugno, che era l'amico "proletario" di Carlo e che tale è rimasto. Povero, sconfitto. Ma con ancora tanta rabbia in corpo. Rabbia contro Carlo. E il ritorno del musicista si trasforma in un incubo.]]> 277 Lidia Ravera 8804500662 Dagio_maya 2 3.47 2002 La festa è finita
author: Lidia Ravera
name: Dagio_maya
average rating: 3.47
book published: 2002
rating: 2
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date added: 2025/07/02
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La conta 42527889 108 Tamta Melashvili 883172987X Dagio_maya 0 to-read 4.05 2010 La conta
author: Tamta Melashvili
name: Dagio_maya
average rating: 4.05
book published: 2010
rating: 0
read at:
date added: 2025/07/02
shelves: to-read
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<![CDATA[Sabbia nera (Vanina Guarrasi #1)]]> 45416838 400 Cristina Cassar Scalia 8806240714 Dagio_maya 3 gialla, italiana "Era come se il vento di sud che aveva liberato la città dalla pioggia vulcanica avesse iniziato a dissolvere anche la caligine nera che avvolgeva quell’indagine."


Primo romanzo con protagonista il vice-questore Giovanna Guarrasi detta Vanina, alle prese con un cold case dopo il ritrovamento in una villa di un corpo mummificato.

Lettura godibile nonostante si regga su alcune macchiette tutto sommato inutili come ad esempio la bellissima Marta totalmente all’opposto della protagonista: alta, magra, del Nord e soprattutto vegana e quindi esangue Vs. una Guarrasi dedita ad ogni sorta di leccornìa della succulenta gastronomia siciliana.

La storia è un po' traballante ma la piacevolezza di questa lettura è soprattutto nelle atmosfere di una Sicilia che amo profondamente.
Tra Catania dove è la Montagna a fare da padrona e la splendida provincia con le sue campagne e le sue spiagge.

La sabbia nera è la cenere vulcanica che ricopre ogni cosa e come un crimine irrisolto nel passato necessita di una bella spazzata…

Ho alternato la lettura all’ascolto dell’audiolibro.
Complimenti alla voce narrante di Chiara Anacito che interpreta egregiamente storia e dialoghi.
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3.83 2018 Sabbia nera (Vanina Guarrasi #1)
author: Cristina Cassar Scalia
name: Dagio_maya
average rating: 3.83
book published: 2018
rating: 3
read at: 2025/07/01
date added: 2025/07/01
shelves: gialla, italiana
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"Era come se il vento di sud che aveva liberato la città dalla pioggia vulcanica avesse iniziato a dissolvere anche la caligine nera che avvolgeva quell’indagine."


Primo romanzo con protagonista il vice-questore Giovanna Guarrasi detta Vanina, alle prese con un cold case dopo il ritrovamento in una villa di un corpo mummificato.

Lettura godibile nonostante si regga su alcune macchiette tutto sommato inutili come ad esempio la bellissima Marta totalmente all’opposto della protagonista: alta, magra, del Nord e soprattutto vegana e quindi esangue Vs. una Guarrasi dedita ad ogni sorta di leccornìa della succulenta gastronomia siciliana.

La storia è un po' traballante ma la piacevolezza di questa lettura è soprattutto nelle atmosfere di una Sicilia che amo profondamente.
Tra Catania dove è la Montagna a fare da padrona e la splendida provincia con le sue campagne e le sue spiagge.

La sabbia nera è la cenere vulcanica che ricopre ogni cosa e come un crimine irrisolto nel passato necessita di una bella spazzata…

Ho alternato la lettura all’ascolto dell’audiolibro.
Complimenti alla voce narrante di Chiara Anacito che interpreta egregiamente storia e dialoghi.

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Le cascate 13581645 510 Joyce Carol Oates 8804566124 Dagio_maya 0 currently-reading 3.75 2004 Le cascate
author: Joyce Carol Oates
name: Dagio_maya
average rating: 3.75
book published: 2004
rating: 0
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date added: 2025/07/01
shelves: currently-reading
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<![CDATA[La menzogna dell'identità: Come riconoscere le false verità che ci dividono in tribù]]> 51818487
Che cos’è l’identità? E perché è così importante? Abbiamo l’abitudine di pensare che l’identità sia personale, ma le identità delineano per noi il perimetro del mondo, delle nostre speranze e delle nostre lotte. Il modo in cui percepiamo noi stessi è plasmato dalla nazionalità, dal colore della pelle, dalla cultura, dalla classe sociale e dalla religione. E la concezione che abbiamo dell’identità è abbastanza recente, perché ha origine nell’Ottocento e si è consolidata dopo il 1945. Da allora abbiamo creato tribù, gruppi chiusi che tendono a respingersi reciprocamente.

Appiah decostruisce le etichette di cui ci serviamo per riconoscerci all’interno di un gruppo nella società, e che tuttavia possono trasformarsi facilmente in strumenti di discriminazione e abuso di potere. Così svela il nostro errore più grave e più diffuso: esageriamo le differenze tra noi e gli altri e ci difendiamo dal contatto con chi consideriamo diverso.

Le storie che svelano la complessità nascosta dietro queste etichette vengono dalla vita quotidiana, dalla storia e dalla letteratura. E tutte hanno qualcosa in comune: i confini ideali che individuano l’identità nascono sempre da un conflitto. E da pregiudizi che questo libro intende smascherare.]]>
203 Kwame Anthony Appiah 8858836081 Dagio_maya 4 ” Le poesie, come le identità, non hanno mai una sola interpretazione. “

Io sono Giorgia
Sona donna
Sono madre
Sono cristiana
Sono italiana

Il tormentone tanto amato dagli italiani e le italiane che lo interpretarono come spontanea presentazione di un personaggio politico (finalmente sincero e determinato) è palesemente frutto di una precisa strategia di comunicazione.
Un' identità così determinata per genere e credo religioso a cui è aggiunto il valore materno non può che catturare l' attenzione di chi si riconosce in quel determinato gruppo.

Il filosofo Kwame Anthony Appiah in questo agile volume ci racconta di come queste definizioni siano tutte frottole o, perlomeno, riduzioni di una complessità molto più intricata di quello che si voglia credere.

Spesso il senso di identità è figlio di storie famigliari e si basa su cinque punti cardinali:

1) religione
2) nazionalità
3) colore
4) classe sociale
5) cultura

Un’esplorazione del tema identitario è quanto mai attuale ed importante per comprendere il nostro mondo soprattutto perché:

” L’elemento più pericoloso riguarda il modo in cui le varie forme di identità – religione, stato, etnia, classe e cultura – ci dividono e ci oppongono gli uni agli altri. Possono diventare i nemici della solidarietà umana, provocare guerre devastanti, essere i cavalieri di una moderna apocalisse che va dall’apartheid al genocidio.”


Le società del passato e del presente si sono nutrite e basate sulle categorizzazioni.
Etichette che sintetizzano attuando, giocoforza, una semplificazione che agisce sul riconoscimento e compone un sistema comportamentale a cui attenersi determinando quelli che chiamiamo stereotipi.

Quindi, ad esempio:

” Se vieni identificato come uomo, nella maggior parte delle società si presuppone che ti piacciano le donne, che cammini e usi le mani in una maniera “maschile”, che sia fisicamente più forte di una donna ecc.”

Ma i cinque punti cardinali s’intersecano e quindi, ad esempio:

” Essere cinese e gay sarà diverso se si è originari di San Francisco piuttosto che di Zhumadian, nella remota provincia cinese dell’Henan, dove, non molto tempo fa, un ospedale ricoverò un uomo per “disordine della preferenza sessuale” e lo obbligò a sottoporsi a una terapia di “conversione”. Il peso sociale di un’identità può variare in base al reddito, l’età, l’aspetto fisico, il lavoro e qualunque altra coordinata vi passi per la mente.”


A ciò si aggiungono tre principi psicologici che agiscono creando ulteriore complessità:

a) habitus (un insieme di modalità di reazione più o meno spontanee e inconsce al mondo esterno in determinate circostanze.)
b) essenzialismo ( la convinzione che certe categorie hanno un sostrato di realtà o una natura autentica che non si può cogliere direttamente,)
c) in group- out group (l’essere dentro o fuori da un determinato gruppo)


La realtà è che siamo creature claniche, ossia tendiamo a raccoglierci in territori circoscritti da paletti- etichette (” Io sono Giorgia /Sona donna/Sono madre/Sono cristiana/Sono italiana) che isolano ed escludono e, insomma, i risultati sono attorno a noi…
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3.90 2018 La menzogna dell'identità: Come riconoscere le false verità che ci dividono in tribù
author: Kwame Anthony Appiah
name: Dagio_maya
average rating: 3.90
book published: 2018
rating: 4
read at: 2025/06/30
date added: 2025/06/30
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” Le poesie, come le identità, non hanno mai una sola interpretazione. “

Io sono Giorgia
Sona donna
Sono madre
Sono cristiana
Sono italiana

Il tormentone tanto amato dagli italiani e le italiane che lo interpretarono come spontanea presentazione di un personaggio politico (finalmente sincero e determinato) è palesemente frutto di una precisa strategia di comunicazione.
Un' identità così determinata per genere e credo religioso a cui è aggiunto il valore materno non può che catturare l' attenzione di chi si riconosce in quel determinato gruppo.

Il filosofo Kwame Anthony Appiah in questo agile volume ci racconta di come queste definizioni siano tutte frottole o, perlomeno, riduzioni di una complessità molto più intricata di quello che si voglia credere.

Spesso il senso di identità è figlio di storie famigliari e si basa su cinque punti cardinali:

1) religione
2) nazionalità
3) colore
4) classe sociale
5) cultura

Un’esplorazione del tema identitario è quanto mai attuale ed importante per comprendere il nostro mondo soprattutto perché:

” L’elemento più pericoloso riguarda il modo in cui le varie forme di identità – religione, stato, etnia, classe e cultura – ci dividono e ci oppongono gli uni agli altri. Possono diventare i nemici della solidarietà umana, provocare guerre devastanti, essere i cavalieri di una moderna apocalisse che va dall’apartheid al genocidio.”


Le società del passato e del presente si sono nutrite e basate sulle categorizzazioni.
Etichette che sintetizzano attuando, giocoforza, una semplificazione che agisce sul riconoscimento e compone un sistema comportamentale a cui attenersi determinando quelli che chiamiamo stereotipi.

Quindi, ad esempio:

” Se vieni identificato come uomo, nella maggior parte delle società si presuppone che ti piacciano le donne, che cammini e usi le mani in una maniera “maschile”, che sia fisicamente più forte di una donna ecc.”

Ma i cinque punti cardinali s’intersecano e quindi, ad esempio:

” Essere cinese e gay sarà diverso se si è originari di San Francisco piuttosto che di Zhumadian, nella remota provincia cinese dell’Henan, dove, non molto tempo fa, un ospedale ricoverò un uomo per “disordine della preferenza sessuale” e lo obbligò a sottoporsi a una terapia di “conversione”. Il peso sociale di un’identità può variare in base al reddito, l’età, l’aspetto fisico, il lavoro e qualunque altra coordinata vi passi per la mente.”


A ciò si aggiungono tre principi psicologici che agiscono creando ulteriore complessità:

a) habitus (un insieme di modalità di reazione più o meno spontanee e inconsce al mondo esterno in determinate circostanze.)
b) essenzialismo ( la convinzione che certe categorie hanno un sostrato di realtà o una natura autentica che non si può cogliere direttamente,)
c) in group- out group (l’essere dentro o fuori da un determinato gruppo)


La realtà è che siamo creature claniche, ossia tendiamo a raccoglierci in territori circoscritti da paletti- etichette (” Io sono Giorgia /Sona donna/Sono madre/Sono cristiana/Sono italiana) che isolano ed escludono e, insomma, i risultati sono attorno a noi…

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I demoni 37794644 883 Fyodor Dostoevsky 8807902478 Dagio_maya 4 classica, russa, gdl Dèmoni e Demòni


Tutto comincia con Sergej Nečaev (1847- 1872), uno studente rivoluzionario che sviluppa un comportamento manipolatorio nei confronti degli affiliati al suo gruppo arrivando all' omicidio che diede luogo ad un processo politico di grande risonanza.
Dostoevskij prese la palla al balzo
Da tempo nutriva l'ambizione di creare un'opera che evidenziasse i pericoli del radicalismo e dell' estremismo forse anche per riabilitare la sua immagine dopo i trascorsi che lo avevano portato ad essere imprigionato in Siberia.

Mette quindi in scena questi Demòni facendosi ispirare da quel passo del Vangelo di San Luca (8:30-33):

” C'era là un branco numeroso di porci che pascolava sul monte; e i demòni lo pregarono di permetter loro di entrare in quelli. Ed egli lo permise. I demòni, usciti da quell'uomo, entrarono nei porci; e quel branco si gettò a precipizio giú nel lago e affogò.”


Sono quindi uomini infestati da idee pericolose che minano la stabilità dello stato conservatore.

Non che Dostoevskij non avesse idee di giustizia sociale ma la sua Russia non poteva allontanarsi dai dogmi della Chiesa Ortodossa che invece questi demòni ambiscono a distruggere e assieme ad uno Status Quo minano l’anima stessa russa: la spiritualità.


” Parlavano di ateismo e naturalmente liquidavano Dio.
Erano contenti, gridavano. A proposito, Šatov assicura che se in Russia si vuole fare una rivolta, bisogna assolutamente cominciare dall'ateismo.”


In quest'ottica, mi aspettavo una narrazione severa ed invece, inaspettatamente, e con mio piacere, il tono è farsesco.

Nella (lentaaa) prima parte troviamo un vero e proprio climax proprio su questi toni:
partiamo dalla presentazione di Stepan per arrivare all’apoteosi nell’ultimo capitolo della prima parte dove colpi di scena e schiaffi si susseguono proprio come fosse la chiusura del primo atto di una commedia.

La carrellata di personaggi è veramente nutrita.
Non ci stancheremo mai di dire quanta fatica facciamo a districarci con ogni patronimico, secondo il quale ogni volta lo stesso personaggio ci sembra un altro!
In ogni caso, quello che mi pare è che tutti siano eccessivi e bisognosi di qualche seduta dall’analista...

Stepan con quel suo bisogno di infarcire il dialogo parlando in francese per ostentare il suo ruolo occidentale e pseudo intellettuale, salvo poi essere un fallimento umano (soprattutto come padre!) e la nobildonna Varvara che lo tratta come una suola di scarpe.

Poi c’è Nikolas Stavrogin una figura ambigua, enigmatica.
Così bello ma anche così strano come se possedesse una doppia anima.

Al centro (come ho già detto, di una miriade di altri personaggi) troviamo il subdolo Petr (il figlio di Stepan) che ricalca proprio la figura di quel Nečaev balzato alle cronache del tempo.

Dopo una seconda parte ricca di colpi di scena, il ritmo si fa serrato avviandosi verso un’ineluttabile conclusione ma non prima di aver sottolineato quanto la forza di un popolo (russo) sia insita nella sua spiritualità dato che lo scopo è stato, e sarà sempre, quello della ricerca di Dio.

Dostoevskij lascia a bocca aperta per la sua lungimiranza quando prospetta l’evolversi di alcuni radicalismi :

"Egli propone come soluzione finale del problema la divisione dell'umanità in due parti diseguali. Una decima parte riceve la libertà personale e un diritto illimitato sugli altri nove decimi. Questi invece devono perdere la loro personalità.."

e poi:

"Approva lo spionaggio. Ogni membro della società vigila l'altro ed è obbligato alla delazione. Ognuno appartiene a tutti e tutti appartengono a ognuno. Tutto sono schiavi e nella schiavitù sono uguali. Nei casi estremi, c'è la calunnia e l'omicidio, ma l'essenziale è l'uguaglianza"


La trama principale che segue le mosse dei, cosiddetti, cospiratori è una vera e propria ragnatela di trame parallele e sottotrame.

Ogni personaggi messo in scena ha uno spessore in 3D che porta a sorridere come, ad esempio, nel caso del Karmazinov il grande signore , (...)vanitoso e viziato signore uno scrittore ridicolizzato e che sbeffeggia il padre del nichilismo Ivan Turgenev verso cui non nasconde il suo disprezzo.

Il sorriso poi, però, si spegne in altre pagine dove incombono temi e fatti truci e così ai dèmoni evangelici si affiancano veri e propri demòni che compiono azioni efferate al di là di ogni credo politico..


"... Ci sono dei delitti veramente brutti. I delitti, comunque siano, quanto più è il sangue, quanto più è l'orrore, tanto più sono suggestivi, per così dire pittoreschi, ma ci sono delitti vergognosi, ignominiosi, al di là di ogni orrore, dei delitti, per così dire fin troppo non eleganti."

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4.43 1872 I demoni
author: Fyodor Dostoevsky
name: Dagio_maya
average rating: 4.43
book published: 1872
rating: 4
read at: 2025/06/25
date added: 2025/06/28
shelves: classica, russa, gdl
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Dèmoni e Demòni


Tutto comincia con Sergej Nečaev (1847- 1872), uno studente rivoluzionario che sviluppa un comportamento manipolatorio nei confronti degli affiliati al suo gruppo arrivando all' omicidio che diede luogo ad un processo politico di grande risonanza.
Dostoevskij prese la palla al balzo
Da tempo nutriva l'ambizione di creare un'opera che evidenziasse i pericoli del radicalismo e dell' estremismo forse anche per riabilitare la sua immagine dopo i trascorsi che lo avevano portato ad essere imprigionato in Siberia.

Mette quindi in scena questi Demòni facendosi ispirare da quel passo del Vangelo di San Luca (8:30-33):

” C'era là un branco numeroso di porci che pascolava sul monte; e i demòni lo pregarono di permetter loro di entrare in quelli. Ed egli lo permise. I demòni, usciti da quell'uomo, entrarono nei porci; e quel branco si gettò a precipizio giú nel lago e affogò.”


Sono quindi uomini infestati da idee pericolose che minano la stabilità dello stato conservatore.

Non che Dostoevskij non avesse idee di giustizia sociale ma la sua Russia non poteva allontanarsi dai dogmi della Chiesa Ortodossa che invece questi demòni ambiscono a distruggere e assieme ad uno Status Quo minano l’anima stessa russa: la spiritualità.


” Parlavano di ateismo e naturalmente liquidavano Dio.
Erano contenti, gridavano. A proposito, Šatov assicura che se in Russia si vuole fare una rivolta, bisogna assolutamente cominciare dall'ateismo.”


In quest'ottica, mi aspettavo una narrazione severa ed invece, inaspettatamente, e con mio piacere, il tono è farsesco.

Nella (lentaaa) prima parte troviamo un vero e proprio climax proprio su questi toni:
partiamo dalla presentazione di Stepan per arrivare all’apoteosi nell’ultimo capitolo della prima parte dove colpi di scena e schiaffi si susseguono proprio come fosse la chiusura del primo atto di una commedia.

La carrellata di personaggi è veramente nutrita.
Non ci stancheremo mai di dire quanta fatica facciamo a districarci con ogni patronimico, secondo il quale ogni volta lo stesso personaggio ci sembra un altro!
In ogni caso, quello che mi pare è che tutti siano eccessivi e bisognosi di qualche seduta dall’analista...

Stepan con quel suo bisogno di infarcire il dialogo parlando in francese per ostentare il suo ruolo occidentale e pseudo intellettuale, salvo poi essere un fallimento umano (soprattutto come padre!) e la nobildonna Varvara che lo tratta come una suola di scarpe.

Poi c’è Nikolas Stavrogin una figura ambigua, enigmatica.
Così bello ma anche così strano come se possedesse una doppia anima.

Al centro (come ho già detto, di una miriade di altri personaggi) troviamo il subdolo Petr (il figlio di Stepan) che ricalca proprio la figura di quel Nečaev balzato alle cronache del tempo.

Dopo una seconda parte ricca di colpi di scena, il ritmo si fa serrato avviandosi verso un’ineluttabile conclusione ma non prima di aver sottolineato quanto la forza di un popolo (russo) sia insita nella sua spiritualità dato che lo scopo è stato, e sarà sempre, quello della ricerca di Dio.

Dostoevskij lascia a bocca aperta per la sua lungimiranza quando prospetta l’evolversi di alcuni radicalismi :

"Egli propone come soluzione finale del problema la divisione dell'umanità in due parti diseguali. Una decima parte riceve la libertà personale e un diritto illimitato sugli altri nove decimi. Questi invece devono perdere la loro personalità.."

e poi:

"Approva lo spionaggio. Ogni membro della società vigila l'altro ed è obbligato alla delazione. Ognuno appartiene a tutti e tutti appartengono a ognuno. Tutto sono schiavi e nella schiavitù sono uguali. Nei casi estremi, c'è la calunnia e l'omicidio, ma l'essenziale è l'uguaglianza"


La trama principale che segue le mosse dei, cosiddetti, cospiratori è una vera e propria ragnatela di trame parallele e sottotrame.

Ogni personaggi messo in scena ha uno spessore in 3D che porta a sorridere come, ad esempio, nel caso del Karmazinov il grande signore , (...)vanitoso e viziato signore uno scrittore ridicolizzato e che sbeffeggia il padre del nichilismo Ivan Turgenev verso cui non nasconde il suo disprezzo.

Il sorriso poi, però, si spegne in altre pagine dove incombono temi e fatti truci e così ai dèmoni evangelici si affiancano veri e propri demòni che compiono azioni efferate al di là di ogni credo politico..


"... Ci sono dei delitti veramente brutti. I delitti, comunque siano, quanto più è il sangue, quanto più è l'orrore, tanto più sono suggestivi, per così dire pittoreschi, ma ci sono delitti vergognosi, ignominiosi, al di là di ogni orrore, dei delitti, per così dire fin troppo non eleganti."


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La misura delle nostre vite 53339551 A raccontare bene chi era, in una prefazione rivelatoria, affettuosa e commovente, è Zadie Smith, una delle scrittrici che hanno saputo meglio raccoglierne l'eredità. Compresa l'idea che qualunque essere umano ha infinite possibilità.]]> 144 Toni Morrison 8893420651 Dagio_maya 5 afroamericana ” Le definizioni appartenevano a chi definiva
– non a chi veniva definito.



Ammetto che mi aspettavo altro.
Il volume contiene citazioni dalle opere di Toni Morrison e quello che mi aspettavo era una suddivisione per temi e un qualche corollario che ne commentasse le tematiche.
Non è così ma la prefazione di Zadie Smith supplisce, in parte, questo aspetto.

Di Toni Morrison io ho letto tutto ciò che è stato pubblicato in Italia e sto pian piano facendo le riletture.

Le citazioni non sono riconducibili ai testi se non nella sezione finale in cui si elencano le fonti e, come dicevo, non sono suddivise per temi ciò non toglie la felicità con cui riconoscevo le voci (non tutte) e lo splendore di questa meravigliosa penna.

Lascio un granello…

” Moriamo.
Forse è questo il significato della vita.
Ma produciamo il linguaggio.
E forse è questa la misura delle nostre vite.”


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3.75 2019 La misura delle nostre vite
author: Toni Morrison
name: Dagio_maya
average rating: 3.75
book published: 2019
rating: 5
read at: 2025/06/26
date added: 2025/06/26
shelves: afroamericana
review:
” Le definizioni appartenevano a chi definiva
– non a chi veniva definito.



Ammetto che mi aspettavo altro.
Il volume contiene citazioni dalle opere di Toni Morrison e quello che mi aspettavo era una suddivisione per temi e un qualche corollario che ne commentasse le tematiche.
Non è così ma la prefazione di Zadie Smith supplisce, in parte, questo aspetto.

Di Toni Morrison io ho letto tutto ciò che è stato pubblicato in Italia e sto pian piano facendo le riletture.

Le citazioni non sono riconducibili ai testi se non nella sezione finale in cui si elencano le fonti e, come dicevo, non sono suddivise per temi ciò non toglie la felicità con cui riconoscevo le voci (non tutte) e lo splendore di questa meravigliosa penna.

Lascio un granello…

” Moriamo.
Forse è questo il significato della vita.
Ma produciamo il linguaggio.
E forse è questa la misura delle nostre vite.”



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Quella cosa intorno al collo 34088715
In questi racconti Chimamanda Ngozi Adichie delinea lucidamente e senza reticenze patriottiche gli aspetti più problematici della società nigeriana, attraversata da scontri religiosi, omicidi politici, corruzione, brutalità nelle carceri e maschilismo. Tra senso di smarrimento e più concreti problemi di soldi e di documenti, risulta però altrettanto chiaro che neppure l'emigrazione assicura una vita felice, nello specifico in quell'America che, seppure tanto vagheggiata, vista da vicino è ben diversa dal paradiso di ordinate villette unifamiliari dipinto in certi film. Gli affetti, i sapori e le usanze di casa continuano infatti a tormentare le protagoniste dei racconti di Adichie, che siano arrivate negli Stati Uniti quasi per caso, sposando un uomo ricco che poi le ha parcheggiate nell'agio di una terra straniera con figli e domestica, oppure dopo aver atteso per anni il ricongiungimento con il compagno. A dare il titolo alla raccolta è la storia di Akunna, una ragazza che vince la Green Card e che, dopo essersi scontrata con la dura filosofia del «dare per avere», ha quello che nell'opinione di molti sarebbe un incredibile colpo di fortuna. Ma liberarsi di «quella cosa intorno al collo», un soffocante senso di solitudine e non appartenenza, è tutt'altra cosa. Particolarmente toccanti sono i racconti L'ambasciata americana e Domani è troppo lontano. Nel primo la protagonista, che all'improvviso si è ritrovata in un incubo, attende in fila sotto un sole cocente l'apertura dei cancelli dell'ambasciata americana, dove si appresta a fare domanda di asilo politico. Insensibile alla folla, riesce a pensare solo al figlio e alla macchia, rossa come olio di palma fresco, che ha visto allargarsi sul suo petto. Nel secondo, invece, sullo sfondo di un afoso e lussureggiante giardino pieno di ricordi, una ragazza è costretta dalla morte della nonna a rivivere la tragica sera dell'infanzia in cui ha perso l'amato fratello maggiore.]]>
224 Chimamanda Ngozi Adichie 880620100X Dagio_maya 5 “…uno strano sradicamento”


Dodici racconti in cui i protagonisti si affacciano ai confini.
Linee di demarcazione fisiche o mentali di un popolo (quello nigeriano) che vive spesso in modo binario: tra uomo e donna, tra il proprio paese e l’America, tra poveri e ricchi, tra due religioni o tra religione ed ateismo (È la nostra insicurezza sull’aldilà che ci porta alla religione).

In bilico anche tra due lingue: l’inglese per l’apparenza e l’Igbo per l’intimità (– Se l’è portata via la guerra, – ho detto in igbo. Parlare di morte in inglese mi ha sempre dato un senso di inquietante ineluttabilità.)

In Cella Uno , si parte dalla repressione.
Una generazione di privilegiati scimmiotta le confraternite dei college americani ma lo fa attuando furti gratuiti.
Così lo spavaldo Nnamabia, per non essere da meno, ruba nella sua stessa casa senza conseguenze che, da lì a qualche giorno pagherà per colpa di altri.
Se l’asprezza della prigionia non lo piegherà è solo perché non è ancora stato portato nella Cella numero Uno…

Si passa poi a Nkem ( L’imitazione ) che giovane e poverissima si ritrova sposata ad un facoltoso uomo d’affari nigeriano.
Trasferitasi in America, però, la vita patinata risulta falsa come le patate dolci che vendono nei supermercati degli States: un’imitazione..

Il Terzo racconto s’intitola Un’esperienza privata : scoppia una violenta sommossa di carattere religioso e chi si trova al mercato fugge dalla furia assassina degli assalitori. Due donne che non si conoscono trovano rifugio in un piccolo negozio abbandonato.
Sono due donne agli antipodi in tutto: classe sociale, cultura, religione.
Lo spazio ristretto mette a nudo le differenze e i confini di ciò che è un esperienza propria, privata..


In Spettri due ex insegnati si rincontrano e rievocano gli anni del Biafra:
Oh, sí. È tutto crollato. dice uno dei due riecheggiando Chinua Achebe.

Nel quinto racconto ( Il lunedí della settimana prima ), Kamara, voce narrante -nonostante il suo articolato percorso di studi- una volta in America, si ritrova a fare la baby sitter e riflette sulle strane preoccupazioni dei genitori:

” Era giunta alla convinzione che essere genitori in America fosse un destreggiarsi fra ansie prodotte dall’eccesso di cibo: la pancia piena dava agli americani il tempo di preoccuparsi che i figli fossero affetti da una malattia rara di cui avevano appena letto, li faceva pensare che avessero il diritto di proteggere i figli da delusioni, mancanze e fallimenti. La pancia piena concedeva loro il lusso di autocompiacersi di essere buoni genitori, come se prendersi cura di un figlio fosse l’eccezione e non la regola.

Si arriva poi al al racconto che titola (non a caso) questa raccolta: Quella cosa intorno al collo .
Akunna, la protagonista vince alla lotteria un visto per l’America dove andrà ospite da uno zio il quale le spiega che” Il trucco era capire l’America, sapere che era tutto un dare per avere. Dovevi rinunciare a tante cose, ma ne ricevevi tante altre in cambio..
E per rinforzare il concetto, lo zio manifesta le sue intenzioni nello scantinato cercando di avere un contributo per la sua ospitalità.
Non c’è altra scelta che andarsene e cavarsela da sola ma poi:

”Di notte, qualcosa ti si avvolgeva intorno al collo, qualcosa che per poco non ti soffocava prima che ti addormentassi.”

Ecco, questa sensazione di soffocamento lega tutte le storie.
Qualcosa che attanaglia e toglie il respiro perché vivere in bilico non è facile e non si riesce a farlo capire a quelli che dicono:
«Potevi stare a casa tua!».
Cos’è “casa” quando Tu mi hai imposto la Tua Lingua, la Tua Religione, la Tua Storia, il Tuo Modo Essere?

Raramente apprezzo tutti i racconti di una raccolta.
Qui posso dire di essere pienamente soddisfatta della lettura che consiglio vivamente a chi interessato a questi contenuti.

” avrebbe meditato a lungo su quell’episodio, con grande mestizia, arrivando a riconoscere un forte legame fra istruzione e dignità, fra le cose solide e chiare che stanno nei libri e quelle eteree e sottili che albergano nell’anima.”]]>
3.95 2008 Quella cosa intorno al collo
author: Chimamanda Ngozi Adichie
name: Dagio_maya
average rating: 3.95
book published: 2008
rating: 5
read at: 2025/06/23
date added: 2025/06/24
shelves: racconti, raccolta, africana, afro-book-club-abc, alfemminile, 5-stelle
review:
“…uno strano sradicamento”


Dodici racconti in cui i protagonisti si affacciano ai confini.
Linee di demarcazione fisiche o mentali di un popolo (quello nigeriano) che vive spesso in modo binario: tra uomo e donna, tra il proprio paese e l’America, tra poveri e ricchi, tra due religioni o tra religione ed ateismo (È la nostra insicurezza sull’aldilà che ci porta alla religione).

In bilico anche tra due lingue: l’inglese per l’apparenza e l’Igbo per l’intimità (– Se l’è portata via la guerra, – ho detto in igbo. Parlare di morte in inglese mi ha sempre dato un senso di inquietante ineluttabilità.)

In Cella Uno , si parte dalla repressione.
Una generazione di privilegiati scimmiotta le confraternite dei college americani ma lo fa attuando furti gratuiti.
Così lo spavaldo Nnamabia, per non essere da meno, ruba nella sua stessa casa senza conseguenze che, da lì a qualche giorno pagherà per colpa di altri.
Se l’asprezza della prigionia non lo piegherà è solo perché non è ancora stato portato nella Cella numero Uno…

Si passa poi a Nkem ( L’imitazione ) che giovane e poverissima si ritrova sposata ad un facoltoso uomo d’affari nigeriano.
Trasferitasi in America, però, la vita patinata risulta falsa come le patate dolci che vendono nei supermercati degli States: un’imitazione..

Il Terzo racconto s’intitola Un’esperienza privata : scoppia una violenta sommossa di carattere religioso e chi si trova al mercato fugge dalla furia assassina degli assalitori. Due donne che non si conoscono trovano rifugio in un piccolo negozio abbandonato.
Sono due donne agli antipodi in tutto: classe sociale, cultura, religione.
Lo spazio ristretto mette a nudo le differenze e i confini di ciò che è un esperienza propria, privata..


In Spettri due ex insegnati si rincontrano e rievocano gli anni del Biafra:
Oh, sí. È tutto crollato. dice uno dei due riecheggiando Chinua Achebe.

Nel quinto racconto ( Il lunedí della settimana prima ), Kamara, voce narrante -nonostante il suo articolato percorso di studi- una volta in America, si ritrova a fare la baby sitter e riflette sulle strane preoccupazioni dei genitori:

” Era giunta alla convinzione che essere genitori in America fosse un destreggiarsi fra ansie prodotte dall’eccesso di cibo: la pancia piena dava agli americani il tempo di preoccuparsi che i figli fossero affetti da una malattia rara di cui avevano appena letto, li faceva pensare che avessero il diritto di proteggere i figli da delusioni, mancanze e fallimenti. La pancia piena concedeva loro il lusso di autocompiacersi di essere buoni genitori, come se prendersi cura di un figlio fosse l’eccezione e non la regola.

Si arriva poi al al racconto che titola (non a caso) questa raccolta: Quella cosa intorno al collo .
Akunna, la protagonista vince alla lotteria un visto per l’America dove andrà ospite da uno zio il quale le spiega che” Il trucco era capire l’America, sapere che era tutto un dare per avere. Dovevi rinunciare a tante cose, ma ne ricevevi tante altre in cambio..
E per rinforzare il concetto, lo zio manifesta le sue intenzioni nello scantinato cercando di avere un contributo per la sua ospitalità.
Non c’è altra scelta che andarsene e cavarsela da sola ma poi:

”Di notte, qualcosa ti si avvolgeva intorno al collo, qualcosa che per poco non ti soffocava prima che ti addormentassi.”

Ecco, questa sensazione di soffocamento lega tutte le storie.
Qualcosa che attanaglia e toglie il respiro perché vivere in bilico non è facile e non si riesce a farlo capire a quelli che dicono:
«Potevi stare a casa tua!».
Cos’è “casa” quando Tu mi hai imposto la Tua Lingua, la Tua Religione, la Tua Storia, il Tuo Modo Essere?

Raramente apprezzo tutti i racconti di una raccolta.
Qui posso dire di essere pienamente soddisfatta della lettura che consiglio vivamente a chi interessato a questi contenuti.

” avrebbe meditato a lungo su quell’episodio, con grande mestizia, arrivando a riconoscere un forte legame fra istruzione e dignità, fra le cose solide e chiare che stanno nei libri e quelle eteree e sottili che albergano nell’anima.”
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<![CDATA[Una nazione bagnata di sangue (Italian Edition)]]> 221452800

«Un'intensa, appassionata resa dei conti con la violenza armata in America [...] Muovendosi tra saggio, memoir, dati statistici, osservazioni sul campo, poesia, prosa avvincente, liste di whitmaniana memoria che elencano sparatorie, morti e situazioni traumatiche, Auster sbatte nuovamente in faccia al lettore "il sangue, lo schifo, e l'orrore" di quella violenza».
«Times Literary Supplement»

Pistole giocattolo e film di per molti bambini cresciuti negli anni Sessanta, americani e non, erano questi gli ingredienti di un'infanzia passata a imitare gli assalti agli accampamenti Indiani e le sparatorie tra valorosi sceriffi e malvagi pistoleri. Non meno diffusa era la consuetudine di imparare a usare un fucile per andare a caccia. Talentuoso tiratore fin dalla tenera età, Paul Auster ha conosciuto anche l'altra faccia delle armi - non strumenti di gioco o di pratica sportiva, bensí di distruzione - quando ne ha scoperto i segni indelebili all'interno della famiglia sua nonna aveva ucciso il marito, suo nonno, con due colpi di pistola. Questo episodio di inspiegabile violenza fornisce lo spunto per un'acuta riflessione critica su un'America dove la presenza di armi è ormai dilagante. A partire dallo sterminio della popolazione indigena in epoca coloniale, attraverso la condizione di schiavitú spietatamente imposta a milioni di africani, fino all'onnipresente notizia di sparatorie di massa tra i titoli del giorno, Auster prova a spiegare a se stesso e al lettore i motivi dell'uso e dell'abuso di armi da fuoco, e anche la fascinazione che esercitano ancora nell'immaginario collettivo americano. In un registro contabile di profitti e perdite, se la prima colonna riporta il crescente numero di armi in circolazione negli Stati Uniti, la seconda mostra in negativo la catastrofica cifra dei morti d'arma da fuoco dal 1968 a oggi. Numeri che rappresentano uomini, donne, adolescenti, bambini, persino neonati. E come un coro greco, muto testimone della scena del crimine, le fotografie di Spencer Ostrander ritraggono i luoghi delle stragi in tutta la loro quieta e squallida normalità. Luoghi quotidiani, comuni, talvolta brutti e banali, ma non per questo meritevoli dell'orrore a cui hanno assistito. Luoghi riproposti in scatti in bianco e nero, senza mai alcuna presenza umana, perché di umano non è rimasto piú nulla.]]>
127 Paul Auster 8858446860 Dagio_maya 4 Pro o Contro?


Nato e cresciuto in un contesto familiare indifferente alle armi, in età adulta, Paul Auster, scopre che, in realtà, la sua famiglia ha per anni nascosto che la nonna paterna uccise a colpi di pistola il marito che l’aveva abbandonata con tre figli.
Da qui partono riflessioni, innanzitutto, sulla quantità di vittime coinvolte nelle sparatorie. Se da un lato c’è l’evidenza dei morti veri e propri, dall’altro si tacciono i numeri le storie di chi è sopravvissuto ma è rimasto ferito pagandone le conseguenze fisiche e psicologiche per il resto della vita. Altre vittime poi sono i familiari ed amici che si ritrovano a fare i conti con il dolore della perdita.

” Perché l’America è cosí diversa – e cosa la rende il Paese piú violento del mondo occidentale?”

Questa la domanda centrale su cui si snoda la riflessione di Auster che punta i fari soprattutto sugli omicidi di massa con quel lato spettacolare che spinge alcuni (soprattutto giovani e giovanissimi) disagiati a spegnere i propri rancori distruggendo le vite altrui,
Il facile accesso alle armi, lo sappiamo, è una via di accesso che facilita e spesso e invoglia.
Quello che non sapevo (io) è un’incongruenza di fondo:
”.. il movimento per il diritto alle armi da fuoco come lo conosciamo oggi non sarebbe nato senza le Pantere Nere” che diedero il La ad un movimento pro armi di cui i loro opposti politici (conservatori bianchi di destra) si appropriarono creando una lobby sempre più importante e decisiva nel panorama economico statunitense.
D’altro canto, l’indole aggressiva americana fa parte della fondazione stessa di questo continente:

” Questo è un Paese nato nella violenza ma nato anche con un passato, centottanta anni di preistoria vissuti in continuo stato di guerra con gli abitanti delle terre di cui ci siamo impossessati e continui atti di oppressione contro la nostra minoranza schiavizzata: i due peccati che abbiamo portato dentro la Rivoluzione e che non abbiamo ancora espiato. Ci piaccia o no, e malgrado tutto il bene che l’America ha fatto nel corso della sua esistenza, continuiamo a essere oppressi dalla vergogna associata a quei peccati, da quei delitti contro i principî in cui professiamo di credere. I tedeschi hanno guardato in faccia la barbarie e la disumanità del regime nazista, ma gli americani ancora innalzano le bandiere di guerra confederate per tutto il Sud e non solo, e commemorano la «causa persa» con centinaia di statue che celebrano i politici e i generali traditori che spaccarono l’Unione e trasformarono gli Stati Uniti in due Paesi.”

Un’analisi caustica ma realistica di un paese con insanabili spaccature..
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3.41 2023 Una nazione bagnata di sangue (Italian Edition)
author: Paul Auster
name: Dagio_maya
average rating: 3.41
book published: 2023
rating: 4
read at: 2025/06/21
date added: 2025/06/23
shelves:
review:
Pro o Contro?


Nato e cresciuto in un contesto familiare indifferente alle armi, in età adulta, Paul Auster, scopre che, in realtà, la sua famiglia ha per anni nascosto che la nonna paterna uccise a colpi di pistola il marito che l’aveva abbandonata con tre figli.
Da qui partono riflessioni, innanzitutto, sulla quantità di vittime coinvolte nelle sparatorie. Se da un lato c’è l’evidenza dei morti veri e propri, dall’altro si tacciono i numeri le storie di chi è sopravvissuto ma è rimasto ferito pagandone le conseguenze fisiche e psicologiche per il resto della vita. Altre vittime poi sono i familiari ed amici che si ritrovano a fare i conti con il dolore della perdita.

” Perché l’America è cosí diversa – e cosa la rende il Paese piú violento del mondo occidentale?”

Questa la domanda centrale su cui si snoda la riflessione di Auster che punta i fari soprattutto sugli omicidi di massa con quel lato spettacolare che spinge alcuni (soprattutto giovani e giovanissimi) disagiati a spegnere i propri rancori distruggendo le vite altrui,
Il facile accesso alle armi, lo sappiamo, è una via di accesso che facilita e spesso e invoglia.
Quello che non sapevo (io) è un’incongruenza di fondo:
”.. il movimento per il diritto alle armi da fuoco come lo conosciamo oggi non sarebbe nato senza le Pantere Nere” che diedero il La ad un movimento pro armi di cui i loro opposti politici (conservatori bianchi di destra) si appropriarono creando una lobby sempre più importante e decisiva nel panorama economico statunitense.
D’altro canto, l’indole aggressiva americana fa parte della fondazione stessa di questo continente:

” Questo è un Paese nato nella violenza ma nato anche con un passato, centottanta anni di preistoria vissuti in continuo stato di guerra con gli abitanti delle terre di cui ci siamo impossessati e continui atti di oppressione contro la nostra minoranza schiavizzata: i due peccati che abbiamo portato dentro la Rivoluzione e che non abbiamo ancora espiato. Ci piaccia o no, e malgrado tutto il bene che l’America ha fatto nel corso della sua esistenza, continuiamo a essere oppressi dalla vergogna associata a quei peccati, da quei delitti contro i principî in cui professiamo di credere. I tedeschi hanno guardato in faccia la barbarie e la disumanità del regime nazista, ma gli americani ancora innalzano le bandiere di guerra confederate per tutto il Sud e non solo, e commemorano la «causa persa» con centinaia di statue che celebrano i politici e i generali traditori che spaccarono l’Unione e trasformarono gli Stati Uniti in due Paesi.”

Un’analisi caustica ma realistica di un paese con insanabili spaccature..

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L'opera da tre soldi 9718130 118 Bertolt Brecht 8806063049 Dagio_maya 0 3.79 1928 L'opera da tre soldi
author: Bertolt Brecht
name: Dagio_maya
average rating: 3.79
book published: 1928
rating: 0
read at:
date added: 2025/06/22
shelves: teatro, classica, europea, abbandonato
review:

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Uccellino del paradiso 11181544 494 Joyce Carol Oates 8804606428 Dagio_maya 3 americana Fragilità

★★★½

Come il “dolore fantasma” di un arto amputato, Krista e Aaron sopravvivono ai traumi di un delitto.
Lei, figlia dell’indiziato numero uno: l’amante.
Lui, figlio della conturbante Zoe: la vittima.

Un filo narrativo che salta nel tempo avvolgendo e riavvolgendo il nastro di un dramma che continua a ritornare.
Ogni volta che ascoltiamo un episodio di cronaca nera dovremmo pensare a quante vite si distruggono: spesso e volentieri i figli pagano le colpe di genitori.
Ferite su cui ogni giorno cadono manciate di sale.

Ancora una volta Joyce Carol Oates mette in scena uno dei tanti drammi della provincia americana e dimostra la sua maestria nello scavare nella psiche di vittime e carnefici.

Se, tuttavia, cercate un romanzo dal ritmo serrato Uccellino del paradiso non fa per voi soprattutto nella prima parte del romanzo dove si entra in un vortice rindondante che ci porta direttamente nel dolore di una ragazzina la cui vita si è distrutta in un attimo.

"Una famiglia si disgrega una sola volta, lo capisci di colpo cosa significa."

Una storia di sopravvissuti, di fragili ali come quelle di un uccellino...

------
Little Bird of Heaven - Reeltime Travelers


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3.27 2007 Uccellino del paradiso
author: Joyce Carol Oates
name: Dagio_maya
average rating: 3.27
book published: 2007
rating: 3
read at: 2025/06/18
date added: 2025/06/19
shelves: americana
review:
Fragilità

★★★½

Come il “dolore fantasma” di un arto amputato, Krista e Aaron sopravvivono ai traumi di un delitto.
Lei, figlia dell’indiziato numero uno: l’amante.
Lui, figlio della conturbante Zoe: la vittima.

Un filo narrativo che salta nel tempo avvolgendo e riavvolgendo il nastro di un dramma che continua a ritornare.
Ogni volta che ascoltiamo un episodio di cronaca nera dovremmo pensare a quante vite si distruggono: spesso e volentieri i figli pagano le colpe di genitori.
Ferite su cui ogni giorno cadono manciate di sale.

Ancora una volta Joyce Carol Oates mette in scena uno dei tanti drammi della provincia americana e dimostra la sua maestria nello scavare nella psiche di vittime e carnefici.

Se, tuttavia, cercate un romanzo dal ritmo serrato Uccellino del paradiso non fa per voi soprattutto nella prima parte del romanzo dove si entra in un vortice rindondante che ci porta direttamente nel dolore di una ragazzina la cui vita si è distrutta in un attimo.

"Una famiglia si disgrega una sola volta, lo capisci di colpo cosa significa."

Una storia di sopravvissuti, di fragili ali come quelle di un uccellino...

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Little Bird of Heaven - Reeltime Travelers



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I pescatori 31348673 304 Chigozie Obioma 8858772873 Dagio_maya 5 5-stelle, africana “L’odio è una sanguisuga: la cosa che si appiccica alla pelle di una persona; che se ne nutre e prosciuga la linfa dallo spirito.
Cambia una persona, e non se ne va finché non le ha succhiato via l’ultima goccia di pace. “



Un felicissimo esordio quello di Obioma Chigozie (finalista Man Book Prize 2015) acclamato dal New York Times come l'erede del grande scrittore Chinua Achebe.

“I pescatori” si muove parallelamente su due piani: quello di un microcosmo famigliare e quello più ampio, della Nigeria fotografata in un particolare momento storico, ossia quello delle elezioni del 1993 e del regime militare che seguì.

Quindici capitoli che annunciano un tema attraverso un animale o uno stato mentale e che danno un tocco di originalità a tutta la struttura del romanzo.

La voce narrante è quella di Benjamin, il quarto dei sei figli di James e Paulina Agwu.
Essendo gli ultimi due troppo piccoli, i primi quattro fratelli vivono a maggior contatto costruendo tra loro un solido rapporto piramidale che vede in cima il maggiore per età: Ikenna.


” Non ero mai vissuto senza i miei fratelli. Ero cresciuto guardandoli mentre mi limitavo a seguire la loro guida, vivendo una versione delle loro vite al principio. Non avevo mai fatto niente senza di loro, soprattutto senza Obembe, che, avendo assorbito molta saggezza dai due più grandi e distillato una più ampia conoscenza attraverso i libri, mi aveva lasciato completamente dipendente da lui. Ero vissuto con loro, avevo tanto contato su di loro che non c’era pensiero concreto nella mia mente che prendesse forma senza prima aver vagato nelle loro teste.”


Un legame stretto e talvolta condizionante che racconta la storia di una famiglia che si sgretola mentre una nazione tutta vacilla.

Si ritrovano quelle tematiche della letteratura africana strettamente connesse alla sua storia di paese coloniale e quindi dilaniato da una crisi d’identità profonda e perdurante.

In primo luogo la lingua, o meglio, le lingue:


” Madre disse tutto il resto in inglese e non in igbo, la lingua con la quale i nostri genitori comunicavano con noi; mentre tra noi parlavamo yoruba, la lingua di Akure. L’inglese, pur essendo la lingua ufficiale della Nigeria, era una lingua formale con la quale ti si rivolgevano gli estranei e i non-parenti. Aveva il potere di scavare fossati fra te e i tuoi amici o parenti che decidevano di usarla al posto dell’igbo. Quindi i nostri genitori parlavano di rado l’inglese, tranne che in momenti come quello, quando le parole avevano lo scopo di strapparci il terreno da sotto i piedi. “

E’ un aspetto importante in quanto ogni nigeriano è come minimo bilingue e si muove tra i diversi idiomi a seconda di ciò che vuole esprimere.


Un secondo elemento fondamentale è quello della religione – nel caso dei protagonisti cristiana- che si trova in continua contraddizione con le credenze animiste.
Ed è proprio la superstizione la calamità che farà crollare tutto corrompendo la ragione e trasformandosi in paura prima e in ossessione per la vendetta poi.

Un dramma annunciato fin dall’inizio che racconta la sconfitta di un sogno: quella di un padre e quella di una nazione.
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un assaggio...

[Incipit]
” Noi eravamo pescatori:
Io e i miei fratelli diventammo pescatori nel gennaio del 1996 dopo che nostro padre andò via da Akure, la città nell’ovest della Nigeria dove eravamo vissuti insieme da tutta la vita. Il suo datore di lavoro, la Banca Centrale di Nigeria, l’aveva trasferito in una sede a Yola – una città del nord all’immensa distanza di più di mille chilometri – all’inizio di novembre dell’anno prima. Ricordo la sera che Padre tornò a casa con la lettera di trasferimento; era un venerdì. Da quel venerdì e fino al sabato Padre e Madre tennero consulti sussurranti come sacerdoti di un tempio. La domenica mattina, Madre era una creatura diversa. Aveva acquistato il passo di un topo bagnato, distoglieva lo sguardo mentre girava per le stanze. Quel giorno non andò in chiesa, ma rimase a casa e lavò e stirò una pila di abiti di Padre, recando in viso una tristezza impenetrabile. Nessuno di loro disse una parola ai miei fratelli o a me, e noi non facemmo domande. Io e i miei fratelli – Ikenna, Boja, Obembe – avevamo capito che quando i due ventricoli della nostra casa – nostro padre e nostra madre – tacevano come i ventricoli del cuore trattengono il sangue, a schiacciarli rischiavamo di allagare la casa. Così in momenti come quelli evitavamo il televisore che si trovava sulla libreria a otto moduli del salotto. Restavamo nelle nostre stanze, a studiare o a far finta di studiare, preoccupati, ma senza fare domande.”
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4.00 2015 I pescatori
author: Chigozie Obioma
name: Dagio_maya
average rating: 4.00
book published: 2015
rating: 5
read at: 2017/02/23
date added: 2025/06/10
shelves: 5-stelle, africana
review:
“L’odio è una sanguisuga: la cosa che si appiccica alla pelle di una persona; che se ne nutre e prosciuga la linfa dallo spirito.
Cambia una persona, e non se ne va finché non le ha succhiato via l’ultima goccia di pace. “



Un felicissimo esordio quello di Obioma Chigozie (finalista Man Book Prize 2015) acclamato dal New York Times come l'erede del grande scrittore Chinua Achebe.

“I pescatori” si muove parallelamente su due piani: quello di un microcosmo famigliare e quello più ampio, della Nigeria fotografata in un particolare momento storico, ossia quello delle elezioni del 1993 e del regime militare che seguì.

Quindici capitoli che annunciano un tema attraverso un animale o uno stato mentale e che danno un tocco di originalità a tutta la struttura del romanzo.

La voce narrante è quella di Benjamin, il quarto dei sei figli di James e Paulina Agwu.
Essendo gli ultimi due troppo piccoli, i primi quattro fratelli vivono a maggior contatto costruendo tra loro un solido rapporto piramidale che vede in cima il maggiore per età: Ikenna.


” Non ero mai vissuto senza i miei fratelli. Ero cresciuto guardandoli mentre mi limitavo a seguire la loro guida, vivendo una versione delle loro vite al principio. Non avevo mai fatto niente senza di loro, soprattutto senza Obembe, che, avendo assorbito molta saggezza dai due più grandi e distillato una più ampia conoscenza attraverso i libri, mi aveva lasciato completamente dipendente da lui. Ero vissuto con loro, avevo tanto contato su di loro che non c’era pensiero concreto nella mia mente che prendesse forma senza prima aver vagato nelle loro teste.”


Un legame stretto e talvolta condizionante che racconta la storia di una famiglia che si sgretola mentre una nazione tutta vacilla.

Si ritrovano quelle tematiche della letteratura africana strettamente connesse alla sua storia di paese coloniale e quindi dilaniato da una crisi d’identità profonda e perdurante.

In primo luogo la lingua, o meglio, le lingue:


” Madre disse tutto il resto in inglese e non in igbo, la lingua con la quale i nostri genitori comunicavano con noi; mentre tra noi parlavamo yoruba, la lingua di Akure. L’inglese, pur essendo la lingua ufficiale della Nigeria, era una lingua formale con la quale ti si rivolgevano gli estranei e i non-parenti. Aveva il potere di scavare fossati fra te e i tuoi amici o parenti che decidevano di usarla al posto dell’igbo. Quindi i nostri genitori parlavano di rado l’inglese, tranne che in momenti come quello, quando le parole avevano lo scopo di strapparci il terreno da sotto i piedi. “

E’ un aspetto importante in quanto ogni nigeriano è come minimo bilingue e si muove tra i diversi idiomi a seconda di ciò che vuole esprimere.


Un secondo elemento fondamentale è quello della religione – nel caso dei protagonisti cristiana- che si trova in continua contraddizione con le credenze animiste.
Ed è proprio la superstizione la calamità che farà crollare tutto corrompendo la ragione e trasformandosi in paura prima e in ossessione per la vendetta poi.

Un dramma annunciato fin dall’inizio che racconta la sconfitta di un sogno: quella di un padre e quella di una nazione.
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un assaggio...

[Incipit]
” Noi eravamo pescatori:
Io e i miei fratelli diventammo pescatori nel gennaio del 1996 dopo che nostro padre andò via da Akure, la città nell’ovest della Nigeria dove eravamo vissuti insieme da tutta la vita. Il suo datore di lavoro, la Banca Centrale di Nigeria, l’aveva trasferito in una sede a Yola – una città del nord all’immensa distanza di più di mille chilometri – all’inizio di novembre dell’anno prima. Ricordo la sera che Padre tornò a casa con la lettera di trasferimento; era un venerdì. Da quel venerdì e fino al sabato Padre e Madre tennero consulti sussurranti come sacerdoti di un tempio. La domenica mattina, Madre era una creatura diversa. Aveva acquistato il passo di un topo bagnato, distoglieva lo sguardo mentre girava per le stanze. Quel giorno non andò in chiesa, ma rimase a casa e lavò e stirò una pila di abiti di Padre, recando in viso una tristezza impenetrabile. Nessuno di loro disse una parola ai miei fratelli o a me, e noi non facemmo domande. Io e i miei fratelli – Ikenna, Boja, Obembe – avevamo capito che quando i due ventricoli della nostra casa – nostro padre e nostra madre – tacevano come i ventricoli del cuore trattengono il sangue, a schiacciarli rischiavamo di allagare la casa. Così in momenti come quelli evitavamo il televisore che si trovava sulla libreria a otto moduli del salotto. Restavamo nelle nostre stanze, a studiare o a far finta di studiare, preoccupati, ma senza fare domande.”

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Max e Flora 148709043 207 Isaac Bashevis Singer 8845986675 Dagio_maya 3 classica, europa-est «Qual è il tuo scopo nella vita?».
«Divertirmi, e poi crepare».



Max e Flora è un romanzo insolito innanzitutto per la sua storia editoriale che vede la luce nel 1972 con una pubblicazione a puntate su un giornale yiddish di New York e, in secondo luogo, per il soggetto stesso della storia, ossia la vita di alcuni ebrei malavitosi nel primo novecento.

Max e Flora sono una coppia di coniugi appena arrivati a Varsavia da Buenos Aires dove hanno aperto una fabbrica di borsette o, perlomeno, questa è la versione ufficiale.
In realtà, i due oltre agli affari legali si occupano di procurare ragazze per un bordello argentino.
Nel perfetto stile parvenu si dilettano nello sfoggiare soldi, gioielli e alloggiano nel miglior hotel della città:

”Chi avrebbe mai detto che lui, Mottele il Bastardo, un giorno sarebbe diventato ricco, e avrebbe posseduto immobili e negozi a Buenos Aires?
Che avrebbe avuto una bella moglie, un’ex attrice, e sarebbe sceso all’Hotel Bristol?
Tutto questo lo aveva ottenuto perché mentre gli altri bevevano, giocavano a carte, truffavano qualche povera venditrice del mercato per pochi spiccioli o vivevano alle spalle di una puttana di via Smocza, lui usava il cervello.
Ridessero pure, quei pezzenti: ride bene chi ride ultimo.
E dov’erano oggi, quei furbetti? La maggior parte di loro marciva in galera o crepava di fame.”



Una coppia in completa sintonia così come i cari amici che vanno a trovare: Meir e Leah.
Meir, detto Panna Acida è il re di via Krochmalna.
Un ricettatore e falsario largamente noto. Leah, la moglie un’ex prostituta.

Il titolo originale The Visitors rende meglio l’idea di questi due viaggiatori che sembrano saldi nel loro amore tranne sgretolarsi con un nonnulla.
L’incontro con una ragazzina di quattordici anni rivela l’essenza di Max e da quel momento il romanzo è tutto Max e poco Flora.

Max che ancora prima della svolta dice che le donne «sono state create,per servire gli uomini, di giorno e di notte» è uno dei personaggi più abietti della letteratura.

La storia in sé innervosisce e si ritorce contro se stessa immergendosi nella follia del protagonista che credendo di essere colui che inganna scopre all’improvviso di essere un ingenuo..

La forza di queste pagine, secondo me, sta semplicemente nelle descrizioni ambientali di una Varsavia pre-sovietica


A quell’ora la strada era ancora deserta ma i tram circolavano già, gremiti di gente che andava al lavoro. Max aveva sentito dire che in Russia nel 1905 i manifestanti avevano annunciato che avrebbero spodestato lo zar, e che i lavoratori sarebbero andati al potere. Ma non se n’era fatto niente. Lo zar era ancora lo zar e gli operai continuavano a sudare nelle fabbriche e a vivere negli scantinati. E se anche lo zar fosse stato cacciato e la Russia fosse diventata una repubblica, ci sarebbe sempre stato chi poteva permettersi di scendere in quell’albergo di lusso, e chi sarebbe andato in giro coi calzoni laceri e lo stomaco vuoto.
Max inspirò profondamente. L’aria sapeva di foglie, di erba, di alberi in fiore che spargevano i loro petali. Una brezza fresca soffiava dall’altra sponda della Vistola, o forse anche da Wola, portando con sé l’odore dei campi e dei frutteti. "



★★★½]]>
3.48 1972 Max e Flora
author: Isaac Bashevis Singer
name: Dagio_maya
average rating: 3.48
book published: 1972
rating: 3
read at: 2025/06/06
date added: 2025/06/09
shelves: classica, europa-est
review:
«Qual è il tuo scopo nella vita?».
«Divertirmi, e poi crepare».



Max e Flora è un romanzo insolito innanzitutto per la sua storia editoriale che vede la luce nel 1972 con una pubblicazione a puntate su un giornale yiddish di New York e, in secondo luogo, per il soggetto stesso della storia, ossia la vita di alcuni ebrei malavitosi nel primo novecento.

Max e Flora sono una coppia di coniugi appena arrivati a Varsavia da Buenos Aires dove hanno aperto una fabbrica di borsette o, perlomeno, questa è la versione ufficiale.
In realtà, i due oltre agli affari legali si occupano di procurare ragazze per un bordello argentino.
Nel perfetto stile parvenu si dilettano nello sfoggiare soldi, gioielli e alloggiano nel miglior hotel della città:

”Chi avrebbe mai detto che lui, Mottele il Bastardo, un giorno sarebbe diventato ricco, e avrebbe posseduto immobili e negozi a Buenos Aires?
Che avrebbe avuto una bella moglie, un’ex attrice, e sarebbe sceso all’Hotel Bristol?
Tutto questo lo aveva ottenuto perché mentre gli altri bevevano, giocavano a carte, truffavano qualche povera venditrice del mercato per pochi spiccioli o vivevano alle spalle di una puttana di via Smocza, lui usava il cervello.
Ridessero pure, quei pezzenti: ride bene chi ride ultimo.
E dov’erano oggi, quei furbetti? La maggior parte di loro marciva in galera o crepava di fame.”



Una coppia in completa sintonia così come i cari amici che vanno a trovare: Meir e Leah.
Meir, detto Panna Acida è il re di via Krochmalna.
Un ricettatore e falsario largamente noto. Leah, la moglie un’ex prostituta.

Il titolo originale The Visitors rende meglio l’idea di questi due viaggiatori che sembrano saldi nel loro amore tranne sgretolarsi con un nonnulla.
L’incontro con una ragazzina di quattordici anni rivela l’essenza di Max e da quel momento il romanzo è tutto Max e poco Flora.

Max che ancora prima della svolta dice che le donne «sono state create,per servire gli uomini, di giorno e di notte» è uno dei personaggi più abietti della letteratura.

La storia in sé innervosisce e si ritorce contro se stessa immergendosi nella follia del protagonista che credendo di essere colui che inganna scopre all’improvviso di essere un ingenuo..

La forza di queste pagine, secondo me, sta semplicemente nelle descrizioni ambientali di una Varsavia pre-sovietica


A quell’ora la strada era ancora deserta ma i tram circolavano già, gremiti di gente che andava al lavoro. Max aveva sentito dire che in Russia nel 1905 i manifestanti avevano annunciato che avrebbero spodestato lo zar, e che i lavoratori sarebbero andati al potere. Ma non se n’era fatto niente. Lo zar era ancora lo zar e gli operai continuavano a sudare nelle fabbriche e a vivere negli scantinati. E se anche lo zar fosse stato cacciato e la Russia fosse diventata una repubblica, ci sarebbe sempre stato chi poteva permettersi di scendere in quell’albergo di lusso, e chi sarebbe andato in giro coi calzoni laceri e lo stomaco vuoto.
Max inspirò profondamente. L’aria sapeva di foglie, di erba, di alberi in fiore che spargevano i loro petali. Una brezza fresca soffiava dall’altra sponda della Vistola, o forse anche da Wola, portando con sé l’odore dei campi e dei frutteti. "



★★★½
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<![CDATA[Siamo tutti intolleranti: Sensibilità alimentari e altre reazioni ai cibi: come riconoscerle e come affrontarle (Scienze per la vita Vol. 12) (Italian Edition)]]> 204222569 In questo libro spiega in modo semplice perché il corpo si ribella a certi ingredienti. Insegna a scansare la giungla di test inaffidabili e a fare automonitoraggio per capire se si è intolleranti o sensibili a qualche cibo, risolvendo i propri problemi.
Il libro fa parte della collana Scienze per la vita, ideata e diretta da Eliana Liotta.]]>
179 Enzo Spisni 8845426874 Dagio_maya 4 real La gente comune stessa – compreso chi qui sta scrivendo- si è posta e si pone la fatidica domanda:
«A cosa è dovuta la crescita vertiginosa di reazioni, in particolar modo alimentari?»

Una vera e propria epidemia (tanto che alcuni cinici hanno parlato, ad esempio della celiachia, come fosse una moda!) di cui Enzo Spisni (direttore del laboratorio di Fisiologia traslazionale e nutrizione all’Università di Bologna) ci parla in questo volume.

Il testo analizza, innanzitutto, il mondo delle intolleranze proseguendo poi con le sensibilità, le allergie e dedicando una sezione apposita alla questione della celiachia.
Per finire dando alcune indicazioni pratiche su come gestirsi una dieta ad eliminazione.

Il succo di tutto non è certo una sorpresa.
Sappiamo benissimo come una alimentazione affidata ai cibi, cosiddetti, super – processati, abbia scatenato tutta una serie di reazioni a catena.
Non solo additivi e coloranti ma le modificazioni stesse di prodotti che la natura ha creato in un modo preciso ma l’uomo ha manipolato ai fini produttivi.
Un caso esemplare è quello del grano che è stato trattato fino ad aumentare vorticosamente la componente glutinica con le conseguenze che sappiamo.

Ci sono, tuttavia, anche intolleranze genetiche di cui tutti soffriamo (” metà della popolazione italiana che è geneticamente intollerante al lattosio e neppure lo sa.”) ed altre acquisite dall’ambiente ma al di là delle classificazioni una cosa è certa: dovremmo tutti mangiare meno prodotti industriali!

La trattazione di Spisni è molto interessante e riguarda non solo chi accusa ogni giorno dolore, gonfiori e problemi intestinali ma anche chi ha episodi sporadici perché comunque possono essere campanelli d’allarme.
Le intolleranze e le allergie possono arrivare a qualsiasi età.

” Le allergie alimentari possono iniziare con reazioni modeste, ma tendono quasi sempre a peggiorare man mano che il sistema immunitario impara a riconoscere con le esposizioni successive l’elemento scatenante.”

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3.60 Siamo tutti intolleranti: Sensibilità alimentari e altre reazioni ai cibi: come riconoscerle e come affrontarle (Scienze per la vita Vol. 12) (Italian Edition)
author: Enzo Spisni
name: Dagio_maya
average rating: 3.60
book published:
rating: 4
read at: 2025/06/01
date added: 2025/06/01
shelves: real
review:
E’ innegabile che ormai da una quindicina d’anni la crescita di intolleranze ed allergie sia stata il l’imput perché la ricerca in campo nutrizionale ampliasse le ricerche.
La gente comune stessa – compreso chi qui sta scrivendo- si è posta e si pone la fatidica domanda:
«A cosa è dovuta la crescita vertiginosa di reazioni, in particolar modo alimentari?»

Una vera e propria epidemia (tanto che alcuni cinici hanno parlato, ad esempio della celiachia, come fosse una moda!) di cui Enzo Spisni (direttore del laboratorio di Fisiologia traslazionale e nutrizione all’Università di Bologna) ci parla in questo volume.

Il testo analizza, innanzitutto, il mondo delle intolleranze proseguendo poi con le sensibilità, le allergie e dedicando una sezione apposita alla questione della celiachia.
Per finire dando alcune indicazioni pratiche su come gestirsi una dieta ad eliminazione.

Il succo di tutto non è certo una sorpresa.
Sappiamo benissimo come una alimentazione affidata ai cibi, cosiddetti, super – processati, abbia scatenato tutta una serie di reazioni a catena.
Non solo additivi e coloranti ma le modificazioni stesse di prodotti che la natura ha creato in un modo preciso ma l’uomo ha manipolato ai fini produttivi.
Un caso esemplare è quello del grano che è stato trattato fino ad aumentare vorticosamente la componente glutinica con le conseguenze che sappiamo.

Ci sono, tuttavia, anche intolleranze genetiche di cui tutti soffriamo (” metà della popolazione italiana che è geneticamente intollerante al lattosio e neppure lo sa.”) ed altre acquisite dall’ambiente ma al di là delle classificazioni una cosa è certa: dovremmo tutti mangiare meno prodotti industriali!

La trattazione di Spisni è molto interessante e riguarda non solo chi accusa ogni giorno dolore, gonfiori e problemi intestinali ma anche chi ha episodi sporadici perché comunque possono essere campanelli d’allarme.
Le intolleranze e le allergie possono arrivare a qualsiasi età.

” Le allergie alimentari possono iniziare con reazioni modeste, ma tendono quasi sempre a peggiorare man mano che il sistema immunitario impara a riconoscere con le esposizioni successive l’elemento scatenante.”


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Corregidora 128272166 185 Gayl Jones 885885750X Dagio_maya 0 3.36 1975 Corregidora
author: Gayl Jones
name: Dagio_maya
average rating: 3.36
book published: 1975
rating: 0
read at:
date added: 2025/05/30
shelves: to-read, afroamericana, classica
review:

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La guaritrice 210205345 323 Gayl Jones 8804460504 Dagio_maya 3 afroamericana, alfemminile E’ seduta su un autobus Greyhound che la porterà al prossimo raduno dove, con la sola imposizione delle mani, guarirà.
Harlan, infatti è una guaritrice.

Questa linea narrativa principale è, in realtà, una sorta di esca che inanella pensieri e flashback continui e discontinui.
Un groviglio di tematiche (molte delle quali veramente interessanti) che sanno di troppo.
Una vera e propria esondazione: da quando faceva la manager per una cantante rock (e a volte rap), si va a ritroso a quando faceva l’estetista e poi – ancora prima- quando era nel salone di bellezza della mamma per poi rifare un salto in avanti e parlare del matrimonio con Norvelle, un antropologo che studia le pratiche tribali mediche e con il quale Harlan farà un viaggio in Africa…

Una vita piene di incontri casuali e determinanti dove l’elemento magico farà di lei una guaritrice. Per guarire, tuttavia, le ferite del corpo occorre prima sanare lo spirito e farlo partendo da se stesse..

Ho fatto una gran fatica a portare a termine questa lettura ma, nonostante ciò,trovo interessante Gayl jones di cui leggerò quanto prima il romanzo Corregidora, esordio del 1975 decantato da Toni Morrison. Insomma, per me, una garanzia.]]>
3.00 1998 La guaritrice
author: Gayl Jones
name: Dagio_maya
average rating: 3.00
book published: 1998
rating: 3
read at: 2025/05/30
date added: 2025/05/30
shelves: afroamericana, alfemminile
review:
Harlan Jane Eagleton apre una scatola di sardine.
E’ seduta su un autobus Greyhound che la porterà al prossimo raduno dove, con la sola imposizione delle mani, guarirà.
Harlan, infatti è una guaritrice.

Questa linea narrativa principale è, in realtà, una sorta di esca che inanella pensieri e flashback continui e discontinui.
Un groviglio di tematiche (molte delle quali veramente interessanti) che sanno di troppo.
Una vera e propria esondazione: da quando faceva la manager per una cantante rock (e a volte rap), si va a ritroso a quando faceva l’estetista e poi – ancora prima- quando era nel salone di bellezza della mamma per poi rifare un salto in avanti e parlare del matrimonio con Norvelle, un antropologo che studia le pratiche tribali mediche e con il quale Harlan farà un viaggio in Africa…

Una vita piene di incontri casuali e determinanti dove l’elemento magico farà di lei una guaritrice. Per guarire, tuttavia, le ferite del corpo occorre prima sanare lo spirito e farlo partendo da se stesse..

Ho fatto una gran fatica a portare a termine questa lettura ma, nonostante ciò,trovo interessante Gayl jones di cui leggerò quanto prima il romanzo Corregidora, esordio del 1975 decantato da Toni Morrison. Insomma, per me, una garanzia.
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<![CDATA[La ragazza con l'orecchino di perla]]> 1668732 La ragazza con l'orecchino di perla ci offre anche alcune delle pagine più felici, nella narrativa contemporanea, sulla dedizione e sul coraggio femminile. Griet è invisa a Katharina, gelosa della sua intima relazione col marito, è costretta a subire i rimproveri di Maria Thins, la suocera del pittore, a sfidare tutte le convenzioni dell'epoca, e tuttavia non cessa per un solo istante di ubbidire all'amore per l'arte e alla passione che la muove. Gesto inaudito per la morale del tempo, poserà con le labbra sensualmente dischiuse per quel ritratto di Vermeer ("La ragazza col turbante") che è giunto fino a noi, e non cessa di stupirci per l'enigmaticità dello sguardo che vi è dipinto.]]> 237 Tracy Chevalier 8873057705 Dagio_maya 4 riletture, europea .”..uno spiraglio di bellezza”

Il pittore Jan Vermeer, nacque e mori nella cittadina olandese di Delft.
Grazie alla scarsità di notizie biografiche sull’artista, la scrittrice americana Tracy Chevalier è riuscita ad intessere una storia che ha del verosimile in un contesto storico e reale.

Il romanzo è suddiviso in quattro capitoli che suddividono cronologicamente la storia (1664-1665-1666-1676).

A causa del disagio economico in cui versa la sua famiglia, la sedicenne Griet viene mandata a servizio presso la casa del pittore Vermeer.
Figlia di un pittore di piastrelle, Griet non solo è sensibile all’Arte ma ne è affascinata.
Questa partecipazione e la giovane età la porteranno a trasferire la passione alla pittura verso il suo esecutore.

La Chevalier riesce bene laddove usa la stessa tecnica che ha reso Vermeer un artista celebre, ossia l’uso della luce.
La storia reale del quadro (detto anche “La ragazza col turbante) è tutt’oggi misteriosa e la scrittrice americana riesce a far sì che ogni dettaglio diventi un meccanismo narrativo.

Alcune cose meno credibili ma tutto sommato un buon romanzo storico, soprattutto per la rivendicazione dell'Arte come momento di bellezza nella dura vita di una giovane fantesca:


” Anni a tirar su acqua dal pozzo, a torcere biancheria carica d’acqua, a raschiare pavimenti, a svuotare vasi da notte, senza uno spiraglio di bellezza o colore o luce nella mia vita mi si prospettarono davanti agli occhi come un paesaggio piatto dove, in lontananza, si vedeva quel mare che non avrei mai raggiunto. Se non potevo lavorare con i colori, se non potevo stare vicino a lui, non sapevo come avrei potuto continuare a sgobbare in quella casa.”]]>
3.90 1999 La ragazza con l'orecchino di perla
author: Tracy Chevalier
name: Dagio_maya
average rating: 3.90
book published: 1999
rating: 4
read at: 2020/10/10
date added: 2025/05/28
shelves: riletture, europea
review:
.”..uno spiraglio di bellezza”

Il pittore Jan Vermeer, nacque e mori nella cittadina olandese di Delft.
Grazie alla scarsità di notizie biografiche sull’artista, la scrittrice americana Tracy Chevalier è riuscita ad intessere una storia che ha del verosimile in un contesto storico e reale.

Il romanzo è suddiviso in quattro capitoli che suddividono cronologicamente la storia (1664-1665-1666-1676).

A causa del disagio economico in cui versa la sua famiglia, la sedicenne Griet viene mandata a servizio presso la casa del pittore Vermeer.
Figlia di un pittore di piastrelle, Griet non solo è sensibile all’Arte ma ne è affascinata.
Questa partecipazione e la giovane età la porteranno a trasferire la passione alla pittura verso il suo esecutore.

La Chevalier riesce bene laddove usa la stessa tecnica che ha reso Vermeer un artista celebre, ossia l’uso della luce.
La storia reale del quadro (detto anche “La ragazza col turbante) è tutt’oggi misteriosa e la scrittrice americana riesce a far sì che ogni dettaglio diventi un meccanismo narrativo.

Alcune cose meno credibili ma tutto sommato un buon romanzo storico, soprattutto per la rivendicazione dell'Arte come momento di bellezza nella dura vita di una giovane fantesca:


” Anni a tirar su acqua dal pozzo, a torcere biancheria carica d’acqua, a raschiare pavimenti, a svuotare vasi da notte, senza uno spiraglio di bellezza o colore o luce nella mia vita mi si prospettarono davanti agli occhi come un paesaggio piatto dove, in lontananza, si vedeva quel mare che non avrei mai raggiunto. Se non potevo lavorare con i colori, se non potevo stare vicino a lui, non sapevo come avrei potuto continuare a sgobbare in quella casa.”
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Quelli di sotto 33954280 Quelli di sotto è un classico della letteratura messicana, il più celebre esempio del filone narrativo noto come Letteratura della Rivoluzione. Il protagonista è Demetrio Macías, un contadino che abbraccia la rivoluzione quasi suo malgrado, più per una concatenazione di eventi che per dei fervidi ideali, e che terminerà la sua parabola, alla scena finale del romanzo, senza aver davvero compreso per quali valori sta lottando. Attorno a lui una serie di personaggi che costituiscono un affresco corale: contadini, emarginati, proletari ma anche insegnanti e padri di famiglia stanchi dei soprusi e animati di nobili ideali.]]> 192 Mariano Azuela 8869980510 Dagio_maya 3 classica, latinoamericana «Come è bella la Rivoluzione, anche nella sua innegabile barbarie!»


Pubblicato nel 1915, Quelli di sotto (Los de abajo) è l’opera più famosa del messicano Mariano Azuela.
Medico e scrittore, Azuela, riversa in questo breve romanzo la sua stessa esperienza alla causa rivoluzionaria a cui partecipò come medico di campo.

description

Con atmosfere da film western , il romanzo segue la torma scalcinata di rivoluzionari capeggiati da Demetrio Macias, un allevatore di bestiame che reagisce ai soprusi dell’esercito imbracciando le armi.
Al gruppo si unisce una figura differente: Luigi Cervantes (alter ego dello stesso Azuela), medico e giornalista, che diventa ben presto il braccio destro del capo.

Se i federali sono accusati di razziare e stuprare, ben presto, i rivoluzionari non saranno da meno.

Ecco che l’opera quindi rivela la disillusione che – seppur non intaccando la fede in una giustizia sociale- vede gli uomini con lenti diverse e spogliati dal mito…


«..La rivoluzione è la tempesta, e l’uomo che si dà ad essa non è più un uomo, diventa la miserabile foglia secca trascinata dalla bufera…»]]>
3.18 1915 Quelli di sotto
author: Mariano Azuela
name: Dagio_maya
average rating: 3.18
book published: 1915
rating: 3
read at: 2025/05/16
date added: 2025/05/26
shelves: classica, latinoamericana
review:
«Come è bella la Rivoluzione, anche nella sua innegabile barbarie!»


Pubblicato nel 1915, Quelli di sotto (Los de abajo) è l’opera più famosa del messicano Mariano Azuela.
Medico e scrittore, Azuela, riversa in questo breve romanzo la sua stessa esperienza alla causa rivoluzionaria a cui partecipò come medico di campo.

description

Con atmosfere da film western , il romanzo segue la torma scalcinata di rivoluzionari capeggiati da Demetrio Macias, un allevatore di bestiame che reagisce ai soprusi dell’esercito imbracciando le armi.
Al gruppo si unisce una figura differente: Luigi Cervantes (alter ego dello stesso Azuela), medico e giornalista, che diventa ben presto il braccio destro del capo.

Se i federali sono accusati di razziare e stuprare, ben presto, i rivoluzionari non saranno da meno.

Ecco che l’opera quindi rivela la disillusione che – seppur non intaccando la fede in una giustizia sociale- vede gli uomini con lenti diverse e spogliati dal mito…


«..La rivoluzione è la tempesta, e l’uomo che si dà ad essa non è più un uomo, diventa la miserabile foglia secca trascinata dalla bufera…»
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La libertà o niente 171291731 207 Emma Goldman 8833022269 Dagio_maya 5 alfemminile, real ”.. si perdona qualsiasi crimine, tranne quello di avere un’opinione diversa.”


Dopo aver letto l’autobiografia (ormai introvabile) in cui Emma Goldman racconta la sua vita negli anni dal 1917 al 1928 e principalmente incentrata sulla sua esperienza con la Rivoluzione Sovietica, ritorno agli anni in cui infuocava le masse americane.

Il dono della parola è l’arma di cui si è servita per svelare, smascherare le trame di potere e diffondere il verbo anarchico così carico (ieri come oggi) di pregiudizi e falsità di ogni genere.

Questo volume –che si guadagna facilmente un posto sullo scaffale «breve ma denso» - comprende dodici discorsi che vanno dal 1908 al 1934 e, come si evince dai titoli spaziano su vari argomenti:

1. Quello in cui credo (1908)
2. Anarchismo: per cosa davvero si batte (1910)
3. Psicologia della violenza politica (1910)
4. Il carcere: un crimine sociale e un fallimento (1910)
5. Una nuova Dichiarazione d’Indipendenza1(1909)
6. Una donna senza nazione (1933)
7. Il patriottismo: una minaccia per la libertà (1910)
8. Sindacalismo: teoria e pratica (1913)
9. La filosofia dell’ateismo (1916)
10. Il matrimonio e l’amore (1910)
11. L’ipocrisia del puritanesimo (1910)
12. La mia vita è valsa la pena? (1934)

description

Senza barriere, senza sconti, senza attenuanti.

Goldman decostruisce la società puntando l’indice sulle convenzioni consolidate mostrandone i lati volutamente lasciati all’oscuro.

Parole di fuoco per cui John Edgar Hoover (primo direttore del FBI) la chiamò:
«La donna più pericolosa d’America».
Il pericolo è quello d’insinuare l’idea di libertà, di smascherare tutte le insidie insite nei nazionalismi.

Lascio un pensiero che ben si adatta a questi nostri giorni:


”La tesi secondo cui un esercito e una marina forti sono la miglior garanzia per la pace è altrettanto logica della tesi secondo cui il cittadino più pacifico è quello che va in giro armato. L’esperienza quotidiana dimostra che l’individuo armato è immancabilmente ansioso di dar prova della propria forza. Storicamente, vale lo stesso per i governi. I paesi davvero pacifici non sprecano vite ed energie a preparare la guerra, ed è solo così che si mantiene la pace.”
]]>
4.50 La libertà o niente
author: Emma Goldman
name: Dagio_maya
average rating: 4.50
book published:
rating: 5
read at: 2025/05/25
date added: 2025/05/25
shelves: alfemminile, real
review:
”.. si perdona qualsiasi crimine, tranne quello di avere un’opinione diversa.”


Dopo aver letto l’autobiografia (ormai introvabile) in cui Emma Goldman racconta la sua vita negli anni dal 1917 al 1928 e principalmente incentrata sulla sua esperienza con la Rivoluzione Sovietica, ritorno agli anni in cui infuocava le masse americane.

Il dono della parola è l’arma di cui si è servita per svelare, smascherare le trame di potere e diffondere il verbo anarchico così carico (ieri come oggi) di pregiudizi e falsità di ogni genere.

Questo volume –che si guadagna facilmente un posto sullo scaffale «breve ma denso» - comprende dodici discorsi che vanno dal 1908 al 1934 e, come si evince dai titoli spaziano su vari argomenti:

1. Quello in cui credo (1908)
2. Anarchismo: per cosa davvero si batte (1910)
3. Psicologia della violenza politica (1910)
4. Il carcere: un crimine sociale e un fallimento (1910)
5. Una nuova Dichiarazione d’Indipendenza1(1909)
6. Una donna senza nazione (1933)
7. Il patriottismo: una minaccia per la libertà (1910)
8. Sindacalismo: teoria e pratica (1913)
9. La filosofia dell’ateismo (1916)
10. Il matrimonio e l’amore (1910)
11. L’ipocrisia del puritanesimo (1910)
12. La mia vita è valsa la pena? (1934)

description

Senza barriere, senza sconti, senza attenuanti.

Goldman decostruisce la società puntando l’indice sulle convenzioni consolidate mostrandone i lati volutamente lasciati all’oscuro.

Parole di fuoco per cui John Edgar Hoover (primo direttore del FBI) la chiamò:
«La donna più pericolosa d’America».
Il pericolo è quello d’insinuare l’idea di libertà, di smascherare tutte le insidie insite nei nazionalismi.

Lascio un pensiero che ben si adatta a questi nostri giorni:


”La tesi secondo cui un esercito e una marina forti sono la miglior garanzia per la pace è altrettanto logica della tesi secondo cui il cittadino più pacifico è quello che va in giro armato. L’esperienza quotidiana dimostra che l’individuo armato è immancabilmente ansioso di dar prova della propria forza. Storicamente, vale lo stesso per i governi. I paesi davvero pacifici non sprecano vite ed energie a preparare la guerra, ed è solo così che si mantiene la pace.”

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<![CDATA[47 poesie facili e una difficile]]> 9724711
Poco, mi serve.
Una crosta di pane,
un ditale di latte,
e questo cielo
e queste nuvole.]]>
96 Velimir Khlebnikov 8874622813 Dagio_maya 3 Velimir Chlebnikov questo sconosciuto.


M’imbatto in questo autore grazie alla Sfida della Poesia
e prendo in prestito il volume dalla biblioteca.

description

Tradotto da Paolo Nori che in postfazione dà qualche barlume non tanto su ciò che ho letto ma sulla percezione dell’autore in questione.

Il dato principale è che Chlebnikov fu autore futurista, corrente a cui tutto si concede e perdona compreso il fatto di essere illeggibile.
Nori racconta di come un autore coevo, ad esempio, pubblicando il conto di una lavanderia del signor XX, sostenesse la superiorità delle strofe rispetto all’Onegin (romanzo in versi di Aleksandr Puškin)...

Chlebnikov, in realtà, non è così illeggibile, e se non mi è arrivato completamente è perchè, seppur sia vero che dobbiamo conoscere il contesto degli autori e delle autrici, è altrettanto importante (e soprattutto con la poesia) riuscire a specchiarci in ciò che si legge.

Un esempio:

Rifiuto

Per me è molto più piacevole
Guardare le stelle
Che firmare una condanna a morte.
Per me è molto più piacevole
Ascoltare la voce dei fiori,
Che sussurrano «È lui»
Chinando la testolina,
Quando attraversano il giardino,
Che vedere gli scuri fucili della guardia
Uccidere quelli
Che vogliono uccidere me.
Ecco perché io non sarò mai,
E poi mai, un Governante.


⭐⭐⭐ ½
]]>
3.97 47 poesie facili e una difficile
author: Velimir Khlebnikov
name: Dagio_maya
average rating: 3.97
book published:
rating: 3
read at: 2025/05/21
date added: 2025/05/21
shelves:
review:
Velimir Chlebnikov questo sconosciuto.


M’imbatto in questo autore grazie alla Sfida della Poesia
e prendo in prestito il volume dalla biblioteca.

description

Tradotto da Paolo Nori che in postfazione dà qualche barlume non tanto su ciò che ho letto ma sulla percezione dell’autore in questione.

Il dato principale è che Chlebnikov fu autore futurista, corrente a cui tutto si concede e perdona compreso il fatto di essere illeggibile.
Nori racconta di come un autore coevo, ad esempio, pubblicando il conto di una lavanderia del signor XX, sostenesse la superiorità delle strofe rispetto all’Onegin (romanzo in versi di Aleksandr Puškin)...

Chlebnikov, in realtà, non è così illeggibile, e se non mi è arrivato completamente è perchè, seppur sia vero che dobbiamo conoscere il contesto degli autori e delle autrici, è altrettanto importante (e soprattutto con la poesia) riuscire a specchiarci in ciò che si legge.

Un esempio:

Rifiuto

Per me è molto più piacevole
Guardare le stelle
Che firmare una condanna a morte.
Per me è molto più piacevole
Ascoltare la voce dei fiori,
Che sussurrano «È lui»
Chinando la testolina,
Quando attraversano il giardino,
Che vedere gli scuri fucili della guardia
Uccidere quelli
Che vogliono uccidere me.
Ecco perché io non sarò mai,
E poi mai, un Governante.


⭐⭐⭐ ½

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<![CDATA[Dolph Heyliger (Graffiti) (Italian Edition)]]> 86191536 95 Washington Irving 8862525990 Dagio_maya 4 ” Tutto era mostruosamente vago e incerto.”


I colonizzatori europei giunti nei nuovi (per loro) territori americani non solo portarono con sé usi e costumi dei propri paesi di origini ma credenze e leggende spesso in comune anche con gli altri pionieri.
In questo breve romanzo classico e, perlopiù, misconosciuto, Irving Washington mette in scena una ghost story con protagonista la comunità olandese.

Tutto comincia da Dama Heyliger, una vedova che rimasta sola con il figlio Dolph, viene aiutata dai suoi concittadini a sbarcare il lunario.
Il piccolo, tuttavia, crescendo, dimostra un carattere scapestrato che preoccupa alquanto la madre pensando che nessuno avrebbe dato un lavoro ad un giovane così spregiudicato.
Coglie quindi al volo l’occasione fortuita di un posto vacante come apprendista presso un vecchio dottore.
Tutto sembra procedere bene finchè un giorno il medico compra una casa in campagna che si dice sia infestata dai fantasmi.

description

L’avventuroso Dolph viene incaricato di sfatare questa credenza che, inaspettatamente, lo porterà..molto lontano…

Lettura molto piacevole che inanella un racconto dentro l’altro in una magica cornice.



Accade sempre, comunque, che una verità celata produca una dozzina di menzogne correnti. È come una ghinea depositata in banca che viene sostituita da una dozzina di fogli di carta. Prima della fine del giorno, il circondario brulicava di storie."
]]>
3.80 Dolph Heyliger (Graffiti) (Italian Edition)
author: Washington Irving
name: Dagio_maya
average rating: 3.80
book published:
rating: 4
read at: 2025/05/19
date added: 2025/05/19
shelves:
review:
” Tutto era mostruosamente vago e incerto.”


I colonizzatori europei giunti nei nuovi (per loro) territori americani non solo portarono con sé usi e costumi dei propri paesi di origini ma credenze e leggende spesso in comune anche con gli altri pionieri.
In questo breve romanzo classico e, perlopiù, misconosciuto, Irving Washington mette in scena una ghost story con protagonista la comunità olandese.

Tutto comincia da Dama Heyliger, una vedova che rimasta sola con il figlio Dolph, viene aiutata dai suoi concittadini a sbarcare il lunario.
Il piccolo, tuttavia, crescendo, dimostra un carattere scapestrato che preoccupa alquanto la madre pensando che nessuno avrebbe dato un lavoro ad un giovane così spregiudicato.
Coglie quindi al volo l’occasione fortuita di un posto vacante come apprendista presso un vecchio dottore.
Tutto sembra procedere bene finchè un giorno il medico compra una casa in campagna che si dice sia infestata dai fantasmi.

description

L’avventuroso Dolph viene incaricato di sfatare questa credenza che, inaspettatamente, lo porterà..molto lontano…

Lettura molto piacevole che inanella un racconto dentro l’altro in una magica cornice.



Accade sempre, comunque, che una verità celata produca una dozzina di menzogne correnti. È come una ghinea depositata in banca che viene sostituita da una dozzina di fogli di carta. Prima della fine del giorno, il circondario brulicava di storie."

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Le stazioni della luna 58547482 208 Ubah Cristina Ali Farah 883297181X Dagio_maya 4 "Un’emozione intensa la pervadeva, come se avesse ritrovato una parte di sé, quella più intima, senza la quale il ritorno nella sua città natia sarebbe rimasto incompiuto."


Cristina Ubah Ali Farah nasce a a Verona da padre somala e madre veronese.
Dai tre ai 18 anni vive a Mogadiscio finchè la guerra civile del 1991 costringerà la sua famiglia a scappare.

Ne Le stazioni della luna si comincia proprio con una partenza ed un ritorno.

Ebla voce narrante ed asse portante del racconto, è costretta a separarsi dalla sua adorata figlia Sagal ma al contempo – e a sua insaputa- ci sarà un arrivo a Mogadiscio, anzi un ritorno:
Clara, sua figlia di latte, dopo dieci anni, ritorna.

Da qui la narrazione oscilla nel tempo e nello spazio.

Dal villaggio nell’entroterra dove Ebla è cresciuta, degli anni di occupazione italiana a Mogadiscio e degli anni ’50 in cui s’instaura l’Amministrazione Fiduciaria Italiana mentre la Lega dei Giovani Somali rivendica diritti presto tacciati di essere atti di terrorismo (ricorda qualcosa?).

Lettura che mi ha appassionata.
Domina il personaggio di Ebla con tutta la sua forza di appropriarsi delle tradizioni e al contempo strapparsene per essere ciò che le è stato insegnato, ossia una donna libera di scegliere il proprio destino.
Ebla non sa né leggere né scrivere ma il padre – divinatore ed erborista le insegna a leggere le stelle.
Le trasmette un sapere, tradizionalmente, riservato ai soli uomini, le insegna ad essere libera...


"Mia figlia è tornata e camminiamo in strada aperta, la vita è sempre meravigliosa nella luce assolata del giorno, andremo dagli uomini della Lega e non ci daremo per vinte, nessuno può piegarmi la testa, nessuno può spezzarmi le ossa, nessuno può mettermi il cappio, nessuno può toccare le persone che amo. Io sono Ebla."
]]>
3.29 Le stazioni della luna
author: Ubah Cristina Ali Farah
name: Dagio_maya
average rating: 3.29
book published:
rating: 4
read at: 2025/05/17
date added: 2025/05/18
shelves: alfemminile, africana, italiana, storica
review:
"Un’emozione intensa la pervadeva, come se avesse ritrovato una parte di sé, quella più intima, senza la quale il ritorno nella sua città natia sarebbe rimasto incompiuto."


Cristina Ubah Ali Farah nasce a a Verona da padre somala e madre veronese.
Dai tre ai 18 anni vive a Mogadiscio finchè la guerra civile del 1991 costringerà la sua famiglia a scappare.

Ne Le stazioni della luna si comincia proprio con una partenza ed un ritorno.

Ebla voce narrante ed asse portante del racconto, è costretta a separarsi dalla sua adorata figlia Sagal ma al contempo – e a sua insaputa- ci sarà un arrivo a Mogadiscio, anzi un ritorno:
Clara, sua figlia di latte, dopo dieci anni, ritorna.

Da qui la narrazione oscilla nel tempo e nello spazio.

Dal villaggio nell’entroterra dove Ebla è cresciuta, degli anni di occupazione italiana a Mogadiscio e degli anni ’50 in cui s’instaura l’Amministrazione Fiduciaria Italiana mentre la Lega dei Giovani Somali rivendica diritti presto tacciati di essere atti di terrorismo (ricorda qualcosa?).

Lettura che mi ha appassionata.
Domina il personaggio di Ebla con tutta la sua forza di appropriarsi delle tradizioni e al contempo strapparsene per essere ciò che le è stato insegnato, ossia una donna libera di scegliere il proprio destino.
Ebla non sa né leggere né scrivere ma il padre – divinatore ed erborista le insegna a leggere le stelle.
Le trasmette un sapere, tradizionalmente, riservato ai soli uomini, le insegna ad essere libera...


"Mia figlia è tornata e camminiamo in strada aperta, la vita è sempre meravigliosa nella luce assolata del giorno, andremo dagli uomini della Lega e non ci daremo per vinte, nessuno può piegarmi la testa, nessuno può spezzarmi le ossa, nessuno può mettermi il cappio, nessuno può toccare le persone che amo. Io sono Ebla."

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La romana 36690635 La romana segna una tappa importante nello sviluppo della narrativa di Moravia. Protagonista del romanzo, ambientato a Roma al tempo della guerra d'Etiopia, è una straordinaria figura femminile profondamente viva e moderna. «Con La romana - ha scritto Moravia - ho voluto creare la figura di una donna piena di contraddizioni e di errori e, ciò nonostante, capace per forza ingenua di vitalità e slancio di affetto di superare queste contraddizioni e rimediare a questi errori, e giungere a una chiaroveggenza e a un equilibrio che ai più intelligenti e ai più dotati spesso sono negati.»]]> 496 Alberto Moravia 8845296113 Dagio_maya 4 italiana, classica ”Io ero quella che ero e dovevo essere quella che ero e nient’altro.”



Adriana lo sa. Sua madre non fa altro che ripeterglielo; giorno dopo giorno finchè l’immagine riflessa allo specchio le conferma questa verità: ”A sedici anni ero una vera bellezza”.

Il corpo: la sua arma, la sua ricchezza di cui si servirà dopo amare delusioni che le faranno abbandonare il sogno borghese di un matrimonio, dei bambini ed una semplice casetta in provincia.

description
Gina Lollobrigida interpreta La Romana ( 1954- Regia di Luigi Zampa)

Pubblicato nel 1947 ed ambientato durante la Guerra d’Etiopia (una decina di anni prima), il romanzo si muove tra il mondo dei sogni e delle speranze di una giovane ragazza nata in povertà e l’amara realtà da affrontare.


”Avevo capito che la mia forza non era di desiderare di essere quello che non ero, ma di accettare quello che ero. La mia forza erano la povertà, il mio mestiere, la mamma, la mia brutta casa, i miei vestiti modesti, le mie umili origini, le mie disgrazie e, più intimamente, quel sentimento che mi faceva accettare tutte queste cose e che era profondamente riposto nel mio animo come una pietra preziosa dentro la terra.”

Le convenzioni, la morale sono solo costruzioni adatte a chi può permetterselo e Adriana farà sue le parole della madre quando inveisce così:

”È morale forse sfacchinare tutto il santo giorno, lavar piatti, cucire, cucinare, stirare, spazzare, strofinare pavimenti e poi, alla sera, vedersi arrivare il marito stanco morto che appena mangiato va a letto, si volta verso il muro e se la dorme?... Questo è morale eh? Sacrificarsi, non avere mai un momento di respiro, diventare vecchi e brutti, crepare, questo è morale eh?... Ma sapete che cosa vi dico? Che non si vive che una volta sola e, dopo morti, buonanotte... che ve ne potete andare al diavolo voi e la vostra morale...”

Chi parla e racconta è la stessa Adriana, anni dopo, riflettendo su ciò che è stato e soprattutto sugli incontri che così tanto hanno determinato la sua vita

”Oggi mi domando se allora fossi felice. In certo senso lo ero, perché desideravo fortemente una cosa e questa cosa ritenevo prossima e possibile. Poi ho appreso che la vera infelicità viene quando non si hanno più speranze; e non giova allora star bene e non aver bisogno di nulla.”


Non ai livelli de La ciociara ma comunque notevole romanzo.]]>
4.00 1947 La romana
author: Alberto Moravia
name: Dagio_maya
average rating: 4.00
book published: 1947
rating: 4
read at: 2025/05/09
date added: 2025/05/13
shelves: italiana, classica
review:
”Io ero quella che ero e dovevo essere quella che ero e nient’altro.”



Adriana lo sa. Sua madre non fa altro che ripeterglielo; giorno dopo giorno finchè l’immagine riflessa allo specchio le conferma questa verità: ”A sedici anni ero una vera bellezza”.

Il corpo: la sua arma, la sua ricchezza di cui si servirà dopo amare delusioni che le faranno abbandonare il sogno borghese di un matrimonio, dei bambini ed una semplice casetta in provincia.

description
Gina Lollobrigida interpreta La Romana ( 1954- Regia di Luigi Zampa)

Pubblicato nel 1947 ed ambientato durante la Guerra d’Etiopia (una decina di anni prima), il romanzo si muove tra il mondo dei sogni e delle speranze di una giovane ragazza nata in povertà e l’amara realtà da affrontare.


”Avevo capito che la mia forza non era di desiderare di essere quello che non ero, ma di accettare quello che ero. La mia forza erano la povertà, il mio mestiere, la mamma, la mia brutta casa, i miei vestiti modesti, le mie umili origini, le mie disgrazie e, più intimamente, quel sentimento che mi faceva accettare tutte queste cose e che era profondamente riposto nel mio animo come una pietra preziosa dentro la terra.”

Le convenzioni, la morale sono solo costruzioni adatte a chi può permetterselo e Adriana farà sue le parole della madre quando inveisce così:

”È morale forse sfacchinare tutto il santo giorno, lavar piatti, cucire, cucinare, stirare, spazzare, strofinare pavimenti e poi, alla sera, vedersi arrivare il marito stanco morto che appena mangiato va a letto, si volta verso il muro e se la dorme?... Questo è morale eh? Sacrificarsi, non avere mai un momento di respiro, diventare vecchi e brutti, crepare, questo è morale eh?... Ma sapete che cosa vi dico? Che non si vive che una volta sola e, dopo morti, buonanotte... che ve ne potete andare al diavolo voi e la vostra morale...”

Chi parla e racconta è la stessa Adriana, anni dopo, riflettendo su ciò che è stato e soprattutto sugli incontri che così tanto hanno determinato la sua vita

”Oggi mi domando se allora fossi felice. In certo senso lo ero, perché desideravo fortemente una cosa e questa cosa ritenevo prossima e possibile. Poi ho appreso che la vera infelicità viene quando non si hanno più speranze; e non giova allora star bene e non aver bisogno di nulla.”


Non ai livelli de La ciociara ma comunque notevole romanzo.
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Babysitter 168337948 Hannah Jarrett è una bella donna di trentanove anni.
È sposata con Wes, un ricco uomo d’affari sempre molto impegnato, fa la casalinga e ha due splendidi figli, Conor e Katya. Una classica e felice famiglia della buona borghesia di Far Hills, a nord di Detroit. Hannah, però, ha un a una raccolta fondi ha conosciuto Y.K., un uomo affascinante ed enigmatico. Anche se non ne conosce il nome, il suo carisma oscuro la attrae in maniera irresistibile fino a farla sprofondare in una relazione fatta di sesso e sopraffazione, che la getta in uno stato tra l’euforia, la paura e la depressione. Mikey, infine, è un ragazzo con un passato difficile e un presente fatto di lavoretti tra il legale e l’illegale, al servizio di un uomo misterioso che conosce molti segreti. Un giorno, mentre esegue un lavoro per il suo capo, si trova costretto, suo malgrado, ad affrontare una situazione più grande di lui e a riparare un torto. Le conseguenze delle sue azioni avranno effetti imprevisti per Hannah, Y.K. e anche per Babysitter.
Joyce Carol Oates costruisce, attorno a un fatto di cronaca nera realmente accaduto, un romanzo ricco di suspense, con una trama avvincente, impeccabile nel ritmo e nella scrittura, denunciando, ancora una volta, la corruzione, il razzismo e il sessismo insiti nella cultura americana e confermandosi una scrittrice fondamentale, spietata e meravigliosa.]]>
544 Joyce Carol Oates 883461433X Dagio_maya 4 americana "Se ti trovi dentro un enigma l’unico modo per risolverlo è spingere verso la fine.


Questo romanzo è un incubo.

Un doppio incubo.

E’ il 1977 e nell’area di Detroit, già da un anno, c’è un serial killer che terrorizza i genitori.
Lo chiamano "Babysitter" () ed è un cacciatore seriale di bambini.

Li cattura; li tiene prigionieri e dopo al massimo undici giorni li fa ritrovare nudi, con accanto i vestiti lavati e stirati.

Questo il contesto in cui si svolge un altro dramma che ha come protagonista Hannah Jarret.
Moglie, madre, ricca, bella: tutte coordinate da cui si fa definire e che apparentemente rendono felice un’esistenza condotta tra un evento benefico e una favola letta ai bambini prima di andare a letto.
La verità, tuttavia, è che Hannah, si sente vuota, annoiata e sola.
L’egocentrico marito ne tollera l’esistenza funzionale e di facciata e lei si lascia trasportare dal desiderio per un uomo sconosciuto che le cambierà totalmente la vita…

Un mondo in cui i più deboli non hanno scampo.
Vittime sacrificali in un America prigioniera dei costrutti razziali, macchiate dai crimini efferati delle guerre imperialiste e preda delle più perverse malvagità…

Astenersi lettori delicati.

”Come ricomponendo i pezzi di un vaso andato in frantumi, niente sembra farli aderire. Tuttavia, si vede che si incastrano tra loro.”]]>
3.00 2022 Babysitter
author: Joyce Carol Oates
name: Dagio_maya
average rating: 3.00
book published: 2022
rating: 4
read at: 2023/06/30
date added: 2025/05/09
shelves: americana
review:
"Se ti trovi dentro un enigma l’unico modo per risolverlo è spingere verso la fine.


Questo romanzo è un incubo.

Un doppio incubo.

E’ il 1977 e nell’area di Detroit, già da un anno, c’è un serial killer che terrorizza i genitori.
Lo chiamano "Babysitter" () ed è un cacciatore seriale di bambini.

Li cattura; li tiene prigionieri e dopo al massimo undici giorni li fa ritrovare nudi, con accanto i vestiti lavati e stirati.

Questo il contesto in cui si svolge un altro dramma che ha come protagonista Hannah Jarret.
Moglie, madre, ricca, bella: tutte coordinate da cui si fa definire e che apparentemente rendono felice un’esistenza condotta tra un evento benefico e una favola letta ai bambini prima di andare a letto.
La verità, tuttavia, è che Hannah, si sente vuota, annoiata e sola.
L’egocentrico marito ne tollera l’esistenza funzionale e di facciata e lei si lascia trasportare dal desiderio per un uomo sconosciuto che le cambierà totalmente la vita…

Un mondo in cui i più deboli non hanno scampo.
Vittime sacrificali in un America prigioniera dei costrutti razziali, macchiate dai crimini efferati delle guerre imperialiste e preda delle più perverse malvagità…

Astenersi lettori delicati.

”Come ricomponendo i pezzi di un vaso andato in frantumi, niente sembra farli aderire. Tuttavia, si vede che si incastrano tra loro.”
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Works 30090999
«Perché trovo sempre un lavoro?, mi dicevo, Perché non mi lasciano andare alla deriva in pace? Diventare un barbone. Una delle possibilità che contemplavo. Che contemplo tuttora. Poi non ho coraggio. Mi viene in mente mio padre, il poliziotto Arturo, e la sua divisa, sempre impeccabile; e mio nonno, la dignità con cui indossava il suo vestito da festa. Assurdità che sempre mi ritornano. L'origine è un vestito che uno non smette mai».

La condanna tutta umana al lavoro inizia per Vitaliano Trevisan a quindici anni, quando una sera a cena chiede al padre una bicicletta nuova, da maschio, perché girare con quella della sorella maggiore significa essere preso in giro dai compagni. Per tutta risposta, il padre lo porta nell'officina di un amico che stampa lamiere per abbeveratoi da uccelli: «Cosí capisci da dove viene», gli dice, alludendo al denaro. Inizia per l'autore una «carriera» che è un succedersi di false partenze: dal manovale al costruttore di barche a vela, dal cameriere al geometra, dal disoccupato al gelataio in Germania, dal magazziniere al portiere di notte, fino allo spaccio di droga e al furto, «un commercio che obbedisce alle stesse fottute regole di mercato». Trevisan racconta gli anni Settanta schiacciati tra politica ed eroina, cui sembra essere sopravvissuto quasi per caso, la storia di un matrimonio e della sua fine, le contraddizioni del mondo della cultura - dove per ironia della sorte la frase più ripetuta è «non ci sono soldi», la stessa che gli propinava il padre - e la sofferenza psichica, il percorso pieno di deragliamenti di un ragazzo destinato a fare lo scrittore.]]>
664 Vitaliano Trevisan 8806208063 Dagio_maya 5 real, italiana ” Pensando alla mia storia lavorativa nel suo complesso,
potrei ben dire che di altro non si sia trattato se non di una lunga successione di false partenze,
di strade imboccate senza sapere bene perché, e tutte presto o tardi lasciate”



Più di seicento pagine di malessere e disagio.
Una lista che pare interminabile di lavori e mansioni in cui VT cerca forme di sopravvivenza.

In un mondo dove moltissimi si definiscono nel ruolo lavorativo tanto da identificarsi con l’azienda di cui non sono che burattini, lui sa che qualunque lavoro gli si presenti non troverà mai la sua dimensione.

Ma il mondo non è fatto per chi sente il bisogno di scrivere.
Scrivere solo raramente e solo dopo anni può contribuire a mettere qualcosa in tavola.
La provincia veneta esce dai suoi confini perché le storie che Trevisan ci racconta non sono favole ma l’ordinaria quotidianità di tutta una nazione.

Lavori pericolosi senza adeguati strumenti di sicurezza, sopraffazioni, interpretazioni personali dei contratti nazionali, straordinari non pagati ma pretesi…
Tutto parte da una bicicletta che il Vitaliano ragazzino desiderava.
Il padre dice “Certo” e lo accompagna in una fabbrica di gabbie per uccelli.
Così inizia un complicato e lungo percorso nel mondo del lavoro..

Una variegata geografia umana accompagna mansioni e dettagli tecnici e perfino attività che non hanno nulla di legale (spaccio) ma quel che resta è un sapore amaro.
La delusione del non-essere, del non trovare il proprio posto.

Pagine di rabbia, di paure, di frustrazioni accatastate giorno dopo giorno.
La convinzione di voler scrivere ma al tempo stesso non scrivere nulla per anni.

Poi, come spesso succede, le cose accadono e basta.
Inizia a scrivere e da una cosa nasce l’altra: il cinema e il teatro ma qualcosa dentro stride e spinge in altre direzioni.

Vitaliano Trevisan è morto suicida il 7 gennaio 2022..


” E mi diede da pensare tutta quell’ansia di realizzazione di se stessi attraverso il lavoro. Se è per questo mi dà da pensare in generale. Realizzare se stessi. Realizzare me stesso! E poi, una volta che mi sono realizzato, che dovrei fare, appendermi a una parete?, mettermi in esposizione su uno scaffale, o peggio su un piedistallo, o peggio ancora affittarmi un tanto all’ora per accomodarmi in qualche stupido salotto in compagnia di altri realizzati ed esporre le mie stupide opinioni su qualsiasi cosa?, oppure, e sarebbe il migliore dei casi, scagliarmi addosso un martello e chiedermi perché non parlo? — di passaggio: si è mai suicidato nessuno con un martello?”]]>
4.49 2016 Works
author: Vitaliano Trevisan
name: Dagio_maya
average rating: 4.49
book published: 2016
rating: 5
read at: 2023/11/01
date added: 2025/05/09
shelves: real, italiana
review:
” Pensando alla mia storia lavorativa nel suo complesso,
potrei ben dire che di altro non si sia trattato se non di una lunga successione di false partenze,
di strade imboccate senza sapere bene perché, e tutte presto o tardi lasciate”



Più di seicento pagine di malessere e disagio.
Una lista che pare interminabile di lavori e mansioni in cui VT cerca forme di sopravvivenza.

In un mondo dove moltissimi si definiscono nel ruolo lavorativo tanto da identificarsi con l’azienda di cui non sono che burattini, lui sa che qualunque lavoro gli si presenti non troverà mai la sua dimensione.

Ma il mondo non è fatto per chi sente il bisogno di scrivere.
Scrivere solo raramente e solo dopo anni può contribuire a mettere qualcosa in tavola.
La provincia veneta esce dai suoi confini perché le storie che Trevisan ci racconta non sono favole ma l’ordinaria quotidianità di tutta una nazione.

Lavori pericolosi senza adeguati strumenti di sicurezza, sopraffazioni, interpretazioni personali dei contratti nazionali, straordinari non pagati ma pretesi…
Tutto parte da una bicicletta che il Vitaliano ragazzino desiderava.
Il padre dice “Certo” e lo accompagna in una fabbrica di gabbie per uccelli.
Così inizia un complicato e lungo percorso nel mondo del lavoro..

Una variegata geografia umana accompagna mansioni e dettagli tecnici e perfino attività che non hanno nulla di legale (spaccio) ma quel che resta è un sapore amaro.
La delusione del non-essere, del non trovare il proprio posto.

Pagine di rabbia, di paure, di frustrazioni accatastate giorno dopo giorno.
La convinzione di voler scrivere ma al tempo stesso non scrivere nulla per anni.

Poi, come spesso succede, le cose accadono e basta.
Inizia a scrivere e da una cosa nasce l’altra: il cinema e il teatro ma qualcosa dentro stride e spinge in altre direzioni.

Vitaliano Trevisan è morto suicida il 7 gennaio 2022..


” E mi diede da pensare tutta quell’ansia di realizzazione di se stessi attraverso il lavoro. Se è per questo mi dà da pensare in generale. Realizzare se stessi. Realizzare me stesso! E poi, una volta che mi sono realizzato, che dovrei fare, appendermi a una parete?, mettermi in esposizione su uno scaffale, o peggio su un piedistallo, o peggio ancora affittarmi un tanto all’ora per accomodarmi in qualche stupido salotto in compagnia di altri realizzati ed esporre le mie stupide opinioni su qualsiasi cosa?, oppure, e sarebbe il migliore dei casi, scagliarmi addosso un martello e chiedermi perché non parlo? — di passaggio: si è mai suicidato nessuno con un martello?”
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Partire 15779754 268 Tahar Ben Jelloun 8845258343 Dagio_maya 0 to-read, afro-book-club-abc 3.15 2006 Partire
author: Tahar Ben Jelloun
name: Dagio_maya
average rating: 3.15
book published: 2006
rating: 0
read at:
date added: 2025/05/04
shelves: to-read, afro-book-club-abc
review:

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Ho sognato il re 15743415 144 Abdellah Taïa 8876383434 Dagio_maya 0 to-read, afro-book-club-abc 3.50 2010 Ho sognato il re
author: Abdellah Taïa
name: Dagio_maya
average rating: 3.50
book published: 2010
rating: 0
read at:
date added: 2025/05/04
shelves: to-read, afro-book-club-abc
review:

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In fondo al fiume 27205624 - Nella notte
- Alla fine
- Senza ali
- Vacanze
- La lettera da casa
- Cosa ho fatto negli ultimi tempi
- Nerezza
- Mia madre
- In fondo al fiume]]>
79 Jamaica Kincaid Dagio_maya 0 to-read, afro-book-club-abc 3.20 1983 In fondo al fiume
author: Jamaica Kincaid
name: Dagio_maya
average rating: 3.20
book published: 1983
rating: 0
read at:
date added: 2025/05/04
shelves: to-read, afro-book-club-abc
review:

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Vedi adesso allora 22465800 Auto­biografia di mia madre, è soprattutto un'a­bitante di quell'inferno interiore che Jamaica Kincaid sa raffi­gura­re in maniera inimitabile.]]> 161 Jamaica Kincaid 8845928926 Dagio_maya 0 to-read, afro-book-club-abc 3.57 2013 Vedi adesso allora
author: Jamaica Kincaid
name: Dagio_maya
average rating: 3.57
book published: 2013
rating: 0
read at:
date added: 2025/05/04
shelves: to-read, afro-book-club-abc
review:

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Memorie di un soldato bambino 3927268 Di tanto in tanto nel villaggio giungono dei profughi che narrano di parenti uccisi e case bruciate, e si trascinano dietro dei bambini che fuggono impauriti al rumore della scure sulla legna o quando i sassi lanciati dalle fionde dei ragazzi a caccia di uccelli risuonano sui tetti di lamiera.
Ma per Ishmael, suo fratello Junior e gli amici Talloi e Mohamed, quei profughi e quei bambini esagerano sicuramente. La guerra non potrà mica essere più terribile di una scena di Rambo!
L'immaginazione di Ishmael e dei tredicenni Junior, Talloi e Mohamed è catturata da una cosa sola: la musica rap. Affascinati dalla «parlata veloce» di un gruppo americano visto su un enorme televisore a colori nella zona dei divertimenti per turisti bianchi di Mobimbi, i ragazzi hanno fondato una band e se ne vanno in giro a esibirsi nei villaggi vicini.
Un giorno, però, in cui sono in uno di questi villaggi, li raggiunge la terribile notizia: i ribelli hanno attaccato e distrutto Mogbwemo. Ishmael e Junior restano immobili, impietriti per un lungo, doloroso istante, ma poi non esitano a cercare di percorrere velocemente i chilometri che li separano dalla casa dei genitori. Una volta giunti, però, a Kabati, il villaggio della nonna lungo il cammino, la vista degli uomini, che emergono dalla fitta foresta che circonda le case, li fa presto desistere dal tentativo.
«Un uomo» scrive Beah, «portava in braccio il figlio morto, pensando che fosse ancora vivo. Era zuppo del sangue del ragazzo e, correndo, ripeteva senza tregua: "Ti porto in ospedale, piccolo mio, e tutto si risolverà"».
Ishmael non vedrà più casa sua e i suoi genitori. Perderà Junior. Fuggirà nella foresta, dormirà di notte sugli alberi, sarà catturato dall'esercito governativo, imbottito di droga, educato all'orrore, all'omicidio, alla devastazione. Il suo migliore amico non sarà più il tredicenne Talloi ma l'AK-47 e la sua musica non più l'hip-hop ma quella del suo fucile automatico. Testimonianza indimenticabile dal cuore dell'Africa, dove milioni di bambini muoiono di malattie curabili in Occidente e centinaia di migliaia sono mutilati o cadono in guerra, Memorie di un soldato bambino ha fatto gridare al miracolo la critica letteraria americana, stupita da «un'opera dallo sguardo così nitido, dal linguaggio così forte e di tale incomparabile tenerezza» (Melissa Fay Greene).]]>
249 Ishmael Beah 885450176X Dagio_maya 0 to-read, afro-book-club-abc 4.11 2007 Memorie di un soldato bambino
author: Ishmael Beah
name: Dagio_maya
average rating: 4.11
book published: 2007
rating: 0
read at:
date added: 2025/05/04
shelves: to-read, afro-book-club-abc
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Nessuno al mondo 15715639 Avere la madre tutta per sé non sarebbe un problema per il piccolo Suleiman, che a nove anni vede nel padre un rivale talvolta crudele da cui bisogna riuscire a farsi benvolere e amare. L'infelicità della madre diventa senso di impotenza nel bambino che fantastica, ispirato da lei, di poterla salvare come un principe su un cavallo bianco.
Nell'estate del 1979 l'equilibrio fragile del mondo di Suleiman riceve un colpo definitivo. Il regime della grande Rivoluzione di Settembre intende schiacciare gli ispiratori della rivolta studentesca. Un vicino di casa viene arrestato e le assenze del padre di Suleiman diventano più inquietanti. Il piccolo cerca di capire quello che sta succedendo alla sua famiglia, ma il groviglio di emozioni contrastanti è inestricabile.
La solitudine di Suleiman, lo struggimento di fronte alle pene della madre, il turbamento che lo spinge a mimare i comportamenti più ambigui e distruttivi, sono raccontati con apparente semplicità e implacabile nitore. Lo sguardo del bambino segue ogni mossa degli adulti come la luce abbagliante del sole estivo che non dà tregua all'ombra finché non scende su Tripoli la «misericordia della notte».]]>
238 Hisham Matar 8806183281 Dagio_maya 0 to-read, afro-book-club-abc 3.86 2006 Nessuno al mondo
author: Hisham Matar
name: Dagio_maya
average rating: 3.86
book published: 2006
rating: 0
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date added: 2025/05/04
shelves: to-read, afro-book-club-abc
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Tra me e il mondo 30240723 207 Ta-Nehisi Coates 8875786054 Dagio_maya 0 to-read, afro-book-club-abc 4.03 2015 Tra me e il mondo
author: Ta-Nehisi Coates
name: Dagio_maya
average rating: 4.03
book published: 2015
rating: 0
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date added: 2025/05/04
shelves: to-read, afro-book-club-abc
review:

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<![CDATA[Con gli occhi rivolti al cielo]]> 25710618 191 Zora Neale Hurston 8845236307 Dagio_maya 5 "Vedi, dolcezza, noi gente di colore siamo alberi senza radici, e allora le cose vanno per uno strano verso.
Per te specialmente. Io sono nata ai tempi degli schiavi, sicché non era destino che realizzassi i miei sogni su come dovrebbe essere e cosa dovrebbe fare una donna.
È una delle catene della schiavitù. Ma a te, niente può impedire di avere desideri.
Nessuno può essere calpestato al punto da rubargli la volontà. Io non volevo essere adoperata come bue per lavorare o come scrofa per figliare, né volevo che succedesse a mia figlia.
Non è stato per mia volontà che le cose sono andate in un certo modo"





description

Zora Neale Hurston (1891- 1960) fu una delle scrittrici principali dell’”Harlem Renaissance” (movimento artistico afroamericano sorto negli anni ’20).
Si laureò in antropologia intraprendendo con successo la carriera letteraria.
Le sue produzioni furono tuttavia, oggetto di duri attacchi proprio da parte di alcuni intellettuali afroamericani.

In sostanza le si imputava la colpa di scrivere a favore del un pubblico bianca razzista dato che i suoi personaggi si esprimono con forme di slang dialettale venendo così a rafforzare secondo i suoi detrattori, l’immagine stereotipata del “nero”.

Huston, inoltre si discostava, dalla linea principale della letteratura di quegli anni dettata, in particolar modo da Richard Whright (uno dei suoi avversari) e che, in sostanza, richiedeva che ogni opera contenesse chiari messaggi politici di lotta.
Forse per questo motivo e forse anche per una posizione apertamente repubblicana e conservatrice, le opere della Hurston hanno faticato ad avere dei riconoscimenti.

Their Eyes Were Watching God (scritto in sole settimane durante un viaggio di studio ad Haiti) fu pubblicato da Frassinelli per la prima volta in Italia nel 1938 (e stranamente dato che si era in pieno fascismo e censura!) con il titolo: “I loro occhi guardavano Dio” mentre Bompiani nel 1998, lo ripubblica col titolo” “Con gli occhi rivolti al cielo” .


” I desideri degli uomini viaggiano a bordo di navi lontane.
Per alcuni arrivano in porto con la marea. Per altri navigano in eterno all’orizzonte, mai fuori vista, mai in porto, finché chi sta di vedetta non distoglie gli occhi rassegnato, i suoi sogni sbeffeggiati a morte dal tempo. Tale è la vita degli uomini.

Le donne… Be’, le donne dimenticano tutto quello che non vogliono ricordare, e ricordano tutto quello che non vogliono dimenticare. Il sogno è la verità. E si comportano di conseguenza.”



Così prende l’avvio il racconto che la protagonista Janie Crawford fa all’amica Pheoby.
Janie è appena ritornata a Eatonville dopo essere fuggita assieme ad un giovane ragazzo.
Cosa è successo?
Così il racconto va a ritroso raccontandoci una storia d’amore popolata da una comunità apparentemente coesa ma in realtà pronta a colpire laddove qualcuno stia facendo qualche passo falso.
I portici che troneggiano davanti alle case sembrano i naturali raduni perché le lingue si uniscano a spettegolare, criticare anche aspramente tutti coloro che non fanno parte del “cerchio”:


” Vedere la donna com’era fece loro ricordare l’invidia che avevano accumulato da altri tempi. Perciò rimasticarono la parte oscura della mente e inghiottirono di gusto. Espressero giudizi arroventati con le domande, e fecero delle risate strumenti di morte. Crudeltà di massa. Personificazione di un umore. Parole a spasso senza il padrone; parole in armonia in una canzone.”


Janie, però, non è interessata ai giudizi altrui e riserva il suo racconto all’amica del cuore.
Una storia di sogni e desideri.

Nata da uno stupro ed abbandonata alla nascita dalla madre, Janie è cresciuta dalla nonna che cerca di metterla in guardia dalle insidie dell’amore (” Eccolo, il chiodo dove tutte noi donne nere restiamo impigliate: l’amore!”) indirizzandola verso un matrimonio di convenienza.

"L’amore è qualcosa che viene col tempo”, le dice, ma dopo essersi sposata a diciassette anni con un uomo agiaoa e più vecchio di lei capisce che non è proprio così che funziona.

Fuggire per ricostruirsi una vita diversa e vedere i propri sogni infranti un’altra volta: è proprio questo il destino di Janie?

La storia di una donna che impara, giorno dopo giorno, ad essere autonoma e a credere nei suoi sogni, si accompagna a quella di una comunità che si assomiglia un po’ dovunque con quel suo accumulo di invidia e rabbia.

Un destino che pare ineluttabile e gli occhi rivolti al cielo in cerca di una risposta o forse anche solo di un po’ di pietà per chi ha già sofferto abbastanza…

” Scrutò intensamente il cielo, per vedere se qualcosa si muovesse lassù, da prendere come un segno. Una stella di giorno, magari, o un grido del sole, o il balbettio di un tuono. Levò le braccia in un gesto di supplica disperata. No, non di supplica, di domanda rivolta al cielo. Il cielo rimase fermo, duro e silenzioso, e Janie rientrò in casa. Dio avrebbe fatto meno di quello che aveva in mente.”

Grande classico da riscoprire (e ripubblicare!).]]>
3.93 1937 Con gli occhi rivolti al cielo
author: Zora Neale Hurston
name: Dagio_maya
average rating: 3.93
book published: 1937
rating: 5
read at: 2024/01/30
date added: 2025/05/04
shelves: afroamericana, alfemminile, classica, 5-stelle, afro-book-club-abc
review:
"Vedi, dolcezza, noi gente di colore siamo alberi senza radici, e allora le cose vanno per uno strano verso.
Per te specialmente. Io sono nata ai tempi degli schiavi, sicché non era destino che realizzassi i miei sogni su come dovrebbe essere e cosa dovrebbe fare una donna.
È una delle catene della schiavitù. Ma a te, niente può impedire di avere desideri.
Nessuno può essere calpestato al punto da rubargli la volontà. Io non volevo essere adoperata come bue per lavorare o come scrofa per figliare, né volevo che succedesse a mia figlia.
Non è stato per mia volontà che le cose sono andate in un certo modo"





description

Zora Neale Hurston (1891- 1960) fu una delle scrittrici principali dell’”Harlem Renaissance” (movimento artistico afroamericano sorto negli anni ’20).
Si laureò in antropologia intraprendendo con successo la carriera letteraria.
Le sue produzioni furono tuttavia, oggetto di duri attacchi proprio da parte di alcuni intellettuali afroamericani.

In sostanza le si imputava la colpa di scrivere a favore del un pubblico bianca razzista dato che i suoi personaggi si esprimono con forme di slang dialettale venendo così a rafforzare secondo i suoi detrattori, l’immagine stereotipata del “nero”.

Huston, inoltre si discostava, dalla linea principale della letteratura di quegli anni dettata, in particolar modo da Richard Whright (uno dei suoi avversari) e che, in sostanza, richiedeva che ogni opera contenesse chiari messaggi politici di lotta.
Forse per questo motivo e forse anche per una posizione apertamente repubblicana e conservatrice, le opere della Hurston hanno faticato ad avere dei riconoscimenti.

Their Eyes Were Watching God (scritto in sole settimane durante un viaggio di studio ad Haiti) fu pubblicato da Frassinelli per la prima volta in Italia nel 1938 (e stranamente dato che si era in pieno fascismo e censura!) con il titolo: “I loro occhi guardavano Dio” mentre Bompiani nel 1998, lo ripubblica col titolo” “Con gli occhi rivolti al cielo” .


” I desideri degli uomini viaggiano a bordo di navi lontane.
Per alcuni arrivano in porto con la marea. Per altri navigano in eterno all’orizzonte, mai fuori vista, mai in porto, finché chi sta di vedetta non distoglie gli occhi rassegnato, i suoi sogni sbeffeggiati a morte dal tempo. Tale è la vita degli uomini.

Le donne… Be’, le donne dimenticano tutto quello che non vogliono ricordare, e ricordano tutto quello che non vogliono dimenticare. Il sogno è la verità. E si comportano di conseguenza.”



Così prende l’avvio il racconto che la protagonista Janie Crawford fa all’amica Pheoby.
Janie è appena ritornata a Eatonville dopo essere fuggita assieme ad un giovane ragazzo.
Cosa è successo?
Così il racconto va a ritroso raccontandoci una storia d’amore popolata da una comunità apparentemente coesa ma in realtà pronta a colpire laddove qualcuno stia facendo qualche passo falso.
I portici che troneggiano davanti alle case sembrano i naturali raduni perché le lingue si uniscano a spettegolare, criticare anche aspramente tutti coloro che non fanno parte del “cerchio”:


” Vedere la donna com’era fece loro ricordare l’invidia che avevano accumulato da altri tempi. Perciò rimasticarono la parte oscura della mente e inghiottirono di gusto. Espressero giudizi arroventati con le domande, e fecero delle risate strumenti di morte. Crudeltà di massa. Personificazione di un umore. Parole a spasso senza il padrone; parole in armonia in una canzone.”


Janie, però, non è interessata ai giudizi altrui e riserva il suo racconto all’amica del cuore.
Una storia di sogni e desideri.

Nata da uno stupro ed abbandonata alla nascita dalla madre, Janie è cresciuta dalla nonna che cerca di metterla in guardia dalle insidie dell’amore (” Eccolo, il chiodo dove tutte noi donne nere restiamo impigliate: l’amore!”) indirizzandola verso un matrimonio di convenienza.

"L’amore è qualcosa che viene col tempo”, le dice, ma dopo essersi sposata a diciassette anni con un uomo agiaoa e più vecchio di lei capisce che non è proprio così che funziona.

Fuggire per ricostruirsi una vita diversa e vedere i propri sogni infranti un’altra volta: è proprio questo il destino di Janie?

La storia di una donna che impara, giorno dopo giorno, ad essere autonoma e a credere nei suoi sogni, si accompagna a quella di una comunità che si assomiglia un po’ dovunque con quel suo accumulo di invidia e rabbia.

Un destino che pare ineluttabile e gli occhi rivolti al cielo in cerca di una risposta o forse anche solo di un po’ di pietà per chi ha già sofferto abbastanza…

” Scrutò intensamente il cielo, per vedere se qualcosa si muovesse lassù, da prendere come un segno. Una stella di giorno, magari, o un grido del sole, o il balbettio di un tuono. Levò le braccia in un gesto di supplica disperata. No, non di supplica, di domanda rivolta al cielo. Il cielo rimase fermo, duro e silenzioso, e Janie rientrò in casa. Dio avrebbe fatto meno di quello che aveva in mente.”

Grande classico da riscoprire (e ripubblicare!).
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Pelle d'uomo 57727489 Dall’immaginazione del compianto Hubert e dalla matita del bravissimo Zanzim, un libro importante, che sconvolge gli stereotipi e getta luce sull’ipocrisia dei rapporti tra i generi. Una storia geniale e necessaria.]]> 160 Hubert Zanzim 8832735679 Dagio_maya 3 4.20 2020 Pelle d'uomo
author: Hubert Zanzim
name: Dagio_maya
average rating: 4.20
book published: 2020
rating: 3
read at: 2024/12/08
date added: 2025/05/04
shelves: graphic-novel, afro-book-club-abc
review:

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<![CDATA[La stagione della migrazione a Nord]]> 18212865
But what is the meaning of Mustafa’s shocking confession? Mustafa disappears without explanation, leaving the young man—whom he has asked to look after his wife—in an unsettled and violent no-man’s-land between Europe and Africa, tradition and innovation, holiness and defilement, and man and woman, from which no one will escape unaltered or unharmed.

Season of Migration to the North is a rich and sensual work of deep honesty and incandescent lyricism. In 2001 it was selected by a panel of Arab writers and critics as the most important Arab novel of the twentieth century.]]>
182 Tayeb Salih 883892533X Dagio_maya 4 «Sono venuto a voi da conquistatore»


Dopo aver vissuto per sette anni in Inghilterra un uomo – voce narrante- torna a casa in un piccolo villaggio del Sudan:


” Tornai alla mia gente, signori miei, dopo una lunga assenza, sette anni per la precisione, durante i quali ero stato in Europa ad apprendere. Avevo appreso molto, e molto mi era sfuggito, ma quella è un’altra storia.
L’importante è che tornai, con dentro un’immensa nostalgia per i miei cari in quel piccolo villaggio sull’ansa del Nilo. Sette anni a desiderarli e a sognarli, e quando arrivai fu un momento meraviglioso trovarmi veramente lì in mezzo a loro. Mi circondarono, festanti e chiassosi. E non passò molto che sentii come un ghiaccio sciogliersi nel mio intimo, come un assiderato sul quale sorge il sole; quello era il calore della vita nella comunità, mi era mancato a lungo in un paese «dove pure i pesci muoiono di freddo».



La voce narrante – di cui non conosceremo mai il nome ma che è parte attiva nella storia- rientra e trova un passato intatto così come era conservato nella sua memoria.

Custode delle tradizioni è il nonno: personaggio che ha del miracoloso vista l’età.
Ma il cuore del racconto è l’incontro con un personaggio estraneo; un uomo che si è trasferito nel villaggio mentre la voce narrante era all’estero.
Il suo nome è Mustafà Sa’ìd e la sua storia s’inserisce con un gioco di incastri all’interno del racconto.

Un romanzo breve ma estremamente denso di tematiche tanto da mettermi in difficoltà a parlarne.

Un primo interrogativo riguarda la conoscenza, l’istruzione: il sapere è un’arma oppure uno strumento?
Probabilmente entrambe le cose a seconda delle persone:

«Istruiamo gli uomini per aprirne le menti e liberarne le energie nascoste. Tuttavia non possiamo predire il risultato. La libertà. Liberiamo i cuori dalle leggende. Diamo al popolo la chiave del futuro perché ne faccia ciò che vuole».

Con una prosa lirica, Salih non concentra il suo sguardo sull’atto della migrazione quanto sull’aspetto più tenebroso e crudele del colonialismo: l’atto della conquista come appropriazione violenta.
In questa storia ci viene ricordato come non sono solo i territori in senso stretto ad essere oggetto per definire il Potere ma, spesso e volentieri, la supremazia si “gioca” sui corpi delle donne.

” Sì, signori, sono venuto a voi da conquistatore fin dentro casa vostra.
Una goccia del veleno che avete iniettato nelle vene della Storia. Io non sono Otello.
Otello era una menzogna”

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4.06 1966 La stagione della migrazione a Nord
author: Tayeb Salih
name: Dagio_maya
average rating: 4.06
book published: 1966
rating: 4
read at: 2024/12/27
date added: 2025/05/04
shelves: classica, africana, afro-book-club-abc
review:
«Sono venuto a voi da conquistatore»


Dopo aver vissuto per sette anni in Inghilterra un uomo – voce narrante- torna a casa in un piccolo villaggio del Sudan:


” Tornai alla mia gente, signori miei, dopo una lunga assenza, sette anni per la precisione, durante i quali ero stato in Europa ad apprendere. Avevo appreso molto, e molto mi era sfuggito, ma quella è un’altra storia.
L’importante è che tornai, con dentro un’immensa nostalgia per i miei cari in quel piccolo villaggio sull’ansa del Nilo. Sette anni a desiderarli e a sognarli, e quando arrivai fu un momento meraviglioso trovarmi veramente lì in mezzo a loro. Mi circondarono, festanti e chiassosi. E non passò molto che sentii come un ghiaccio sciogliersi nel mio intimo, come un assiderato sul quale sorge il sole; quello era il calore della vita nella comunità, mi era mancato a lungo in un paese «dove pure i pesci muoiono di freddo».



La voce narrante – di cui non conosceremo mai il nome ma che è parte attiva nella storia- rientra e trova un passato intatto così come era conservato nella sua memoria.

Custode delle tradizioni è il nonno: personaggio che ha del miracoloso vista l’età.
Ma il cuore del racconto è l’incontro con un personaggio estraneo; un uomo che si è trasferito nel villaggio mentre la voce narrante era all’estero.
Il suo nome è Mustafà Sa’ìd e la sua storia s’inserisce con un gioco di incastri all’interno del racconto.

Un romanzo breve ma estremamente denso di tematiche tanto da mettermi in difficoltà a parlarne.

Un primo interrogativo riguarda la conoscenza, l’istruzione: il sapere è un’arma oppure uno strumento?
Probabilmente entrambe le cose a seconda delle persone:

«Istruiamo gli uomini per aprirne le menti e liberarne le energie nascoste. Tuttavia non possiamo predire il risultato. La libertà. Liberiamo i cuori dalle leggende. Diamo al popolo la chiave del futuro perché ne faccia ciò che vuole».

Con una prosa lirica, Salih non concentra il suo sguardo sull’atto della migrazione quanto sull’aspetto più tenebroso e crudele del colonialismo: l’atto della conquista come appropriazione violenta.
In questa storia ci viene ricordato come non sono solo i territori in senso stretto ad essere oggetto per definire il Potere ma, spesso e volentieri, la supremazia si “gioca” sui corpi delle donne.

” Sì, signori, sono venuto a voi da conquistatore fin dentro casa vostra.
Una goccia del veleno che avete iniettato nelle vene della Storia. Io non sono Otello.
Otello era una menzogna”


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Maud Martha 95587697 Maud Martha Brown è una ragazzina cresciuta nel South Side della Chicago degli anni Quaranta. Tra bettole fatiscenti e cortili incolti, sogna New York, un amore romantico, il futuro. Ammira i denti di leone, impara a bere il caffè, si innamora, arreda il suo angolo cottura, sventra un pollo, risparmia un topo, compra cappelli, cerca di vedersi bella, partorisce una bambina. Anche suo marito, che ha la pelle solo un po’ più chiara, ha dei il Foxy Cat Club, le donne bianche, il mito della guerra. Ma i sogni di Maud Martha e di quelli come lei vengono, immancabilmente, messi alla prova da “brandelli di odio sgomento”: una certa parola di una commessa, quella visita al cinema, la crudeltà di un Babbo Natale nei grandi magazzini. Una realtà inospitale, dura, né bianca né nera, ma fondamentalmente una realtà in cui, anche se la rassegnazione è la scelta più ovvia, c’è chi, come Maud Martha, trova ancora il modo di non arrendersi, pur di rendere luminosissimo quel grigio. Malgrado tutto.
Scritto nel 1953 ma pubblicato ora per la prima volta in Italia, Maud Martha è un mosaico delicato e devastante, capace di trasmettere al lettore il ritratto straordinario di una vita ordinaria, vissuta con saggezza, umorismo, rabbia, dignità e gioia.]]>
120 Gwendolyn Brooks 8894814866 Dagio_maya 4 ” Essere amata era il desiderio più grande che albergava nel cuore di Maud Martha Brown”

Gwendolyne Brooks (1917-2000), poetessa afroamericana pluripremiata (un Pulitzer nel 1950 segna l’apice di molti altri riconoscimenti), pubblicò nel 1953 “Maud Martha” unico suo romanzo riscoperto e tradotto recentemente.
Un testo breve composto da trentaquattro istantanee che ritraggono la protagonista – Maud Martha, per l’appunto- dall’infanzia alla maturità.
Siamo a Chicago. Una bambina di sette anni, seduta sotto il portico di casa (quando ancora in periferia c’erano case di questo genere) fa questi pensieri:

” Le piacevano le caramelle a forma di bottone e i libri e dipingere la musica (blu intenso o argento delicato) e il cielo dell’ovest, così mutevole dai gradini del portico sul retro, e poi il tarassaco.
Avrebbe voluto un fior di loto, o un astro della Cina o l’iris giapponese, oppure i gigli di campo, perché bastava la parola campo a farla respirare più a fondo e sollevare estatica le braccia – o pensare di farlo, a seconda di chi aveva accanto – verso chiunque la stesse guardando là in cielo. Ma era il tarassaco che vedeva ovunque. Gemme gialle per tutti i giorni, che ornavano l’abito verde rattoppato del suo cortile. Le piaceva la loro grazia misurata e il fatto che fossero ordinari, dettaglio che le sembrava rispecchiasse l’immagine che aveva di sé, e le dava conforto pensare che una cosa tanto comune potesse anche essere un fiore.”


Una bambina come tante ma con un sensibilità più accentuata.
Un costante bisogno di essere amata, le paure, le gioie, la morte, l’amore. Leggendo sembra di sbirciare nella vita di questa bimba, poi ragazza, poi donna e madre.
Una corda tesa attraversa le pagine e rischia di fare inciampare Maud Martha: è il razzismo sempre presente ovunque si vada. Sono le parole sferzanti, gli sguardi taglienti quella continua sensazione di sentirsi un intruso.
Nonostante tutto ciò Maud Martha è una donna che ama e vuole essere amata.
Una donna che in mezzo a tante cattiverie sa cogliere la bellezza di un fiore:


” E i giornali dei neri (sulle cui prime pagine brillavano le solite rappresentazioni della Bellezza femminile, pallida e cotonata) riportavano i dettagli dell’ultimo linciaggio in Georgia e Mississippi…
Ma il sole splendeva, e tante persone erano rimaste in vita nel mondo, ed era improbabile che le assurde azioni dell’uomo sarebbero mai riuscite ad annientare completamente il mondo e nemmeno la naturale tenacia del fiore più infimo e comune: perché non poteva rispuntare in primavera? Sarebbe rispuntato, se necessario, vicino, in mezzo o persino dai cadaveri fracassati – cosa orribilmente inopportuna – che giacevano rigidi e dignitosi in quel silenzio infallibile, sincero.”

]]>
3.84 1953 Maud Martha
author: Gwendolyn Brooks
name: Dagio_maya
average rating: 3.84
book published: 1953
rating: 4
read at: 2025/01/12
date added: 2025/05/04
shelves: afroamericana, classica, afro-book-club-abc
review:
” Essere amata era il desiderio più grande che albergava nel cuore di Maud Martha Brown”

Gwendolyne Brooks (1917-2000), poetessa afroamericana pluripremiata (un Pulitzer nel 1950 segna l’apice di molti altri riconoscimenti), pubblicò nel 1953 “Maud Martha” unico suo romanzo riscoperto e tradotto recentemente.
Un testo breve composto da trentaquattro istantanee che ritraggono la protagonista – Maud Martha, per l’appunto- dall’infanzia alla maturità.
Siamo a Chicago. Una bambina di sette anni, seduta sotto il portico di casa (quando ancora in periferia c’erano case di questo genere) fa questi pensieri:

” Le piacevano le caramelle a forma di bottone e i libri e dipingere la musica (blu intenso o argento delicato) e il cielo dell’ovest, così mutevole dai gradini del portico sul retro, e poi il tarassaco.
Avrebbe voluto un fior di loto, o un astro della Cina o l’iris giapponese, oppure i gigli di campo, perché bastava la parola campo a farla respirare più a fondo e sollevare estatica le braccia – o pensare di farlo, a seconda di chi aveva accanto – verso chiunque la stesse guardando là in cielo. Ma era il tarassaco che vedeva ovunque. Gemme gialle per tutti i giorni, che ornavano l’abito verde rattoppato del suo cortile. Le piaceva la loro grazia misurata e il fatto che fossero ordinari, dettaglio che le sembrava rispecchiasse l’immagine che aveva di sé, e le dava conforto pensare che una cosa tanto comune potesse anche essere un fiore.”


Una bambina come tante ma con un sensibilità più accentuata.
Un costante bisogno di essere amata, le paure, le gioie, la morte, l’amore. Leggendo sembra di sbirciare nella vita di questa bimba, poi ragazza, poi donna e madre.
Una corda tesa attraversa le pagine e rischia di fare inciampare Maud Martha: è il razzismo sempre presente ovunque si vada. Sono le parole sferzanti, gli sguardi taglienti quella continua sensazione di sentirsi un intruso.
Nonostante tutto ciò Maud Martha è una donna che ama e vuole essere amata.
Una donna che in mezzo a tante cattiverie sa cogliere la bellezza di un fiore:


” E i giornali dei neri (sulle cui prime pagine brillavano le solite rappresentazioni della Bellezza femminile, pallida e cotonata) riportavano i dettagli dell’ultimo linciaggio in Georgia e Mississippi…
Ma il sole splendeva, e tante persone erano rimaste in vita nel mondo, ed era improbabile che le assurde azioni dell’uomo sarebbero mai riuscite ad annientare completamente il mondo e nemmeno la naturale tenacia del fiore più infimo e comune: perché non poteva rispuntare in primavera? Sarebbe rispuntato, se necessario, vicino, in mezzo o persino dai cadaveri fracassati – cosa orribilmente inopportuna – che giacevano rigidi e dignitosi in quel silenzio infallibile, sincero.”


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L'occhio più azzurro 52789415 240 Toni Morrison 8893427265 Dagio_maya 5 "Una bambina nera che voleva uscire dal suo abisso nero e vedere il mondo con occhi azzurri.”


Uno sguardo, una frase, un racconto ascoltato dietro ad una porta.
Così, spesso, nasce la l’idea di un romanzo.

“Avevamo appena iniziato la scuola elementare. Lei disse che voleva avere gli occhi azzurri.”


Così racconta Toni Morrison (1931-2019) in un’illuminante postfazione (edizione del 1993) de L'occhio più azzurro (1970) suo esordio letterario.

Questa confidenza ricevuta durante l’infanzia è davvero solo un’innocua frase da bambini?
Il dolore, la forza insita in queste parole resteranno sedimentate nell’autrice fino a sfociare, molti anni dopo, in una storia.


” Nessuno ne parla, ma nell’autunno del 1941 non ci furono calendole.
Pensavamo, a quel tempo, che non crescessero perché Pecola aspettava un bambino dal padre.
Un rapido esame e molta malinconia in meno ci avrebbero mostrato che non erano solo i nostri semi a non germogliare, ma anche quelli degli altri. Quell’anno neppure nei giardini di fronte al lago spuntarono calendole.
Ma eravamo così preoccupate per la salute e la nascita del bambino di Pecola da non pensare che alla nostra magia: se piantavamo i semi pronunciando le parole giuste, sarebbero fioriti e tutto sarebbe andato bene.”



Questo l'incipit.
Poche righe che ci dicono già tutto senza per altro guastare la lettura.

Si parte dall’autunno procedendo con le stagioni fino all’estate del 1941 in cui i semi di calendula non attecchiscono ma la comunità afroamericana ha sulle spalle secoli in cui si sono interiorizzate e calcificate immagini che dall’estetica della pelle e delle caratteristiche somatiche sono diventate il simbolo della bruttezza.

Pecola, protagonista principale, rappresenta tutte le fragilità degli ultimi.
La fragilità delle donne nere:

"Tutto il mondo si trovava nella posizione di dar loro ordini.
Le donne bianche dicevano: «Fai questo».
I bambini bianchi dicevano: «Dammi quello».
Gli uomini bianchi: «Vieni qui».
I neri dicevano: «Coricati».
Le sole persone da cui non dovevano prendere ordini erano i bambini neri e loro stesse.
Eppure accettavano tutto quanto, ricreandolo a loro immagine. Mandavano avanti le case dei bianchi, e lo sapevano. Quando gli uomini bianchi picchiavano il loro uomo, pulivano il sangue e tornavano a casa per essere maltrattate dalla vittima. Con una mano picchiavano i figli e con l’altra rubavano per loro"


Bambina, femmina e nata in una famiglia dove tutto è sbagliato.

Una storia solo apparentemente lineare ma in realtà concentrica nel suo raccontare le sfumature sociali e un flusso emotivo che comprende Odio, Disperazione, Rabbia, Dolore.

Diversi sono i modi di reagire.
Chiudersi in se stessi concentrandosi i sul proprio nido oppure ubriacandosi.
Distruggere l’Altro simile a te usando la violenza in tutte le sue declinazioni.
Rassegnandosi ed allineandosi alle immagini dominanti, imitando i bianchi, fingendo di essere uno di Loro, oppure scappare dalla realtà come Pecola:


"Sembrava raccolta su se stessa, come un’ala piegata.
Il suo dolore mi provocava: volevo scuoterla, farle saltare i nervi, ficcarle un bastone giù per quella spina dorsale curva e ingobbita, costringerla a stare diritta e a sputar fuori l’infelicità per le strade. Lei invece la tratteneva dentro di sé, e lasciava che le inghiottisse gli occhi."


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3.69 1970 L'occhio più azzurro
author: Toni Morrison
name: Dagio_maya
average rating: 3.69
book published: 1970
rating: 5
read at: 2025/02/08
date added: 2025/05/04
shelves: 2019-terza-lista-bp, riletture, afroamericana, classica, afro-book-club-abc
review:
"Una bambina nera che voleva uscire dal suo abisso nero e vedere il mondo con occhi azzurri.”


Uno sguardo, una frase, un racconto ascoltato dietro ad una porta.
Così, spesso, nasce la l’idea di un romanzo.

“Avevamo appena iniziato la scuola elementare. Lei disse che voleva avere gli occhi azzurri.”


Così racconta Toni Morrison (1931-2019) in un’illuminante postfazione (edizione del 1993) de L'occhio più azzurro (1970) suo esordio letterario.

Questa confidenza ricevuta durante l’infanzia è davvero solo un’innocua frase da bambini?
Il dolore, la forza insita in queste parole resteranno sedimentate nell’autrice fino a sfociare, molti anni dopo, in una storia.


” Nessuno ne parla, ma nell’autunno del 1941 non ci furono calendole.
Pensavamo, a quel tempo, che non crescessero perché Pecola aspettava un bambino dal padre.
Un rapido esame e molta malinconia in meno ci avrebbero mostrato che non erano solo i nostri semi a non germogliare, ma anche quelli degli altri. Quell’anno neppure nei giardini di fronte al lago spuntarono calendole.
Ma eravamo così preoccupate per la salute e la nascita del bambino di Pecola da non pensare che alla nostra magia: se piantavamo i semi pronunciando le parole giuste, sarebbero fioriti e tutto sarebbe andato bene.”



Questo l'incipit.
Poche righe che ci dicono già tutto senza per altro guastare la lettura.

Si parte dall’autunno procedendo con le stagioni fino all’estate del 1941 in cui i semi di calendula non attecchiscono ma la comunità afroamericana ha sulle spalle secoli in cui si sono interiorizzate e calcificate immagini che dall’estetica della pelle e delle caratteristiche somatiche sono diventate il simbolo della bruttezza.

Pecola, protagonista principale, rappresenta tutte le fragilità degli ultimi.
La fragilità delle donne nere:

"Tutto il mondo si trovava nella posizione di dar loro ordini.
Le donne bianche dicevano: «Fai questo».
I bambini bianchi dicevano: «Dammi quello».
Gli uomini bianchi: «Vieni qui».
I neri dicevano: «Coricati».
Le sole persone da cui non dovevano prendere ordini erano i bambini neri e loro stesse.
Eppure accettavano tutto quanto, ricreandolo a loro immagine. Mandavano avanti le case dei bianchi, e lo sapevano. Quando gli uomini bianchi picchiavano il loro uomo, pulivano il sangue e tornavano a casa per essere maltrattate dalla vittima. Con una mano picchiavano i figli e con l’altra rubavano per loro"


Bambina, femmina e nata in una famiglia dove tutto è sbagliato.

Una storia solo apparentemente lineare ma in realtà concentrica nel suo raccontare le sfumature sociali e un flusso emotivo che comprende Odio, Disperazione, Rabbia, Dolore.

Diversi sono i modi di reagire.
Chiudersi in se stessi concentrandosi i sul proprio nido oppure ubriacandosi.
Distruggere l’Altro simile a te usando la violenza in tutte le sue declinazioni.
Rassegnandosi ed allineandosi alle immagini dominanti, imitando i bianchi, fingendo di essere uno di Loro, oppure scappare dalla realtà come Pecola:


"Sembrava raccolta su se stessa, come un’ala piegata.
Il suo dolore mi provocava: volevo scuoterla, farle saltare i nervi, ficcarle un bastone giù per quella spina dorsale curva e ingobbita, costringerla a stare diritta e a sputar fuori l’infelicità per le strade. Lei invece la tratteneva dentro di sé, e lasciava che le inghiottisse gli occhi."



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Giù nel cieco mondo 183440335
Questo libro è per chi ha deciso di aprirsi al canto così da trovare conforto e forza, per chi ricorda senza soccombere al peso della memoria, per la voce solenne di Annie Lennox in Strange fruit, e per chi ha sognato di volare via dalla sua vita come un airone che sfiora la superficie dell’acqua, leggero come carta sul vento.]]>
270 Jesmyn Ward 1255750022 Dagio_maya 4 «Resisti» dico, cercando a tentoni il prossimo ritaglio di memoria

Jesmyn Ward lascia Bois Sauvage (/series/2424...)

Protagonista è sempre il popolo afroamericano ma dall’inferno delle miserie contemporanee si ritorna a quelle del passato.

“Or discendiam qua giù nel cieco mondo” dice Virgilio a Dante nel canto quarto dell'Inferno, introducendolo al limbo.

Annis sente per la prima volta parlare del vecchio poeta italiano origliando dietro la porta dove le sue sorellastre facevano lezione con un precettore.

Loro, le figlie bianche e legittime.
Lei meticcia figlia di uno stupro.
Loro libere.
Lei schiava, un corpo rubato.

La madre le racconta della nonna che era una moglie guerriera e da lei ha imparato l’arte del combattimento ed ora è il turno di Annis imparare.
Gli sguardi, del padrone, tuttavia, si fanno sempre più lascivi e la madre che cerca di impedire un altro stupro viene presto venduta.

Per Annis la separazione dalla madre sarà uno strappo a cui solo la scoperta dell’amore potrà dare sollievo.
Si sopravvive insomma, fino a quando anche Annis sarà venduta ed inizierà la discesa nel «Cieco mondo» nel viaggio verso la “città dolente”: New Orleans.

Una morte prima della morte” finché ai suoi occhi appare una donna: un’antenata; qualcosa a cui credere, qualcuno a cui aggrapparsi.

Ma ogni religione pretende cieca fede e sottomissione..

Libro amarissimo.
Non c’è pagina, non c’è riga che faccia tirare un sospiro di sollievo se non [spoilers removed]

Mi volto verso la terra battuta della baracca e inspiro, ma questa qui è terra cattiva, intrisa di sudore e piscio e vomito e feci, l’acido della disperazione e della paura. Non c’è vita qui, non c’è un tocco leggero se non nel ricordo, un ricordo che fluttua in alto sopra le sognatrici, che ribolle con il dolore, con la memoria. Più profondo nel silenzio.”
]]>
3.71 2023 Giù nel cieco mondo
author: Jesmyn Ward
name: Dagio_maya
average rating: 3.71
book published: 2023
rating: 4
read at: 2025/02/21
date added: 2025/05/04
shelves: afroamericana, storica, afro-book-club-abc
review:
«Resisti» dico, cercando a tentoni il prossimo ritaglio di memoria

Jesmyn Ward lascia Bois Sauvage (/series/2424...)

Protagonista è sempre il popolo afroamericano ma dall’inferno delle miserie contemporanee si ritorna a quelle del passato.

“Or discendiam qua giù nel cieco mondo” dice Virgilio a Dante nel canto quarto dell'Inferno, introducendolo al limbo.

Annis sente per la prima volta parlare del vecchio poeta italiano origliando dietro la porta dove le sue sorellastre facevano lezione con un precettore.

Loro, le figlie bianche e legittime.
Lei meticcia figlia di uno stupro.
Loro libere.
Lei schiava, un corpo rubato.

La madre le racconta della nonna che era una moglie guerriera e da lei ha imparato l’arte del combattimento ed ora è il turno di Annis imparare.
Gli sguardi, del padrone, tuttavia, si fanno sempre più lascivi e la madre che cerca di impedire un altro stupro viene presto venduta.

Per Annis la separazione dalla madre sarà uno strappo a cui solo la scoperta dell’amore potrà dare sollievo.
Si sopravvive insomma, fino a quando anche Annis sarà venduta ed inizierà la discesa nel «Cieco mondo» nel viaggio verso la “città dolente”: New Orleans.

Una morte prima della morte” finché ai suoi occhi appare una donna: un’antenata; qualcosa a cui credere, qualcuno a cui aggrapparsi.

Ma ogni religione pretende cieca fede e sottomissione..

Libro amarissimo.
Non c’è pagina, non c’è riga che faccia tirare un sospiro di sollievo se non [spoilers removed]

Mi volto verso la terra battuta della baracca e inspiro, ma questa qui è terra cattiva, intrisa di sudore e piscio e vomito e feci, l’acido della disperazione e della paura. Non c’è vita qui, non c’è un tocco leggero se non nel ricordo, un ricordo che fluttua in alto sopra le sognatrici, che ribolle con il dolore, con la memoria. Più profondo nel silenzio.”

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Cittadina di seconda classe 15980168 Il romanzo autobiografico di una donna che con coraggio e umorismo ha realizzato i suoi sogni di fama e benessere.]]> 373 Buchi Emecheta 880920106X Dagio_maya 4 ”Lei era diversa e i suoi figli sarebbero stati diversi


Scovato nel mercatino dove ciclicamente torno a spulciare, attratta dal titolo particolare e, ancor di più, dal nome sconosciuto dell’autrice, mi sono subito immersa in una scrittura spiritosa, frizzante, coinvolgente (non capisco chi commenta dicendo il contrario ma, in ogni caso, evviva, il pensiero libero!)

Tutto mi aspettavo da questo libro meno che questo.
Avendo inteso che Emecheta raccontasse la sua vita da migrante che dalla Nigeria l’ha portata nel Regno Unito, scioccamente mi aspettavo dei toni malinconici.
E invece..

Adah's Story (titolo originale) inizia con un sogno.

E’ il sogno di un bambina che, nonostante nasca e cresca in una famiglia umile, è consapevole che l’istruzione può essere lo strumento per liberarsi.
Per riuscire ad andare a scuola – privilegio riservato al solo fratello maschio- Adah imbroglia, mente, fugge.
In una confusione di credenze religiose e superstizioni ciò che sembra rimanere fermo e saldo è il rigido sistema patriarcale che la protagonista volge a suo favore.
Si sposa per poter continuare a studiare (una ragazza non può andare a vivere da sola) e riesce poi a convincere la famiglia del marito (che una volta sposata diventa il perno di ogni decisione della coppia) che convenga emigrare in Inghilterra.
Lei, infatti, lavorando come bibliotecaria, è quella che porta a casa i soldi e può permettere al marito di continuare gli studi.

Quando arriva nel Regno Unito, sono gli anni ’60 e Adah ha soli vent’anni e già due figli.
Il percorso di inserimento nella società inglese è travagliato così come quello di un matrimonio sbagliato.

description

La sua ironia scoppiettante riempie le pagine di una vita tutt’altro che facile soprattutto quando si ritrova a toccare il fondo: sola, con cinque figli, costretta a lasciare il lavoro e nelle mani dei servizi sociali.
Sarà proprio la scoperta della solidarietà tra chi sta ai margini a darle la forza per rialzarsi.

Un racconto che esplora a 360° Il mondo delle relazioni tra uomo- donna, bianco-nero- povero- ricco, istruito- ignorante.
Una gamma di emozioni accompagnano una giovane donna nera, africana, madre, moglie che cerca di sbrogliare la matassa delle difficoltà sociali attraverso la conoscenza e la scrittura.


”Devi sapere mia cara giovane signora che a Lagos puoi anche far parte della macchina propagandistica degli americani, puoi guadagnare un milione di sterline al giorno (..) ma il giorno in cui metti piedi in Inghilterra sei una cittadina di seconda classe..”
]]>
3.86 1974 Cittadina di seconda classe
author: Buchi Emecheta
name: Dagio_maya
average rating: 3.86
book published: 1974
rating: 4
read at: 2025/03/24
date added: 2025/05/04
shelves: africana, classica, afro-book-club-abc
review:
”Lei era diversa e i suoi figli sarebbero stati diversi


Scovato nel mercatino dove ciclicamente torno a spulciare, attratta dal titolo particolare e, ancor di più, dal nome sconosciuto dell’autrice, mi sono subito immersa in una scrittura spiritosa, frizzante, coinvolgente (non capisco chi commenta dicendo il contrario ma, in ogni caso, evviva, il pensiero libero!)

Tutto mi aspettavo da questo libro meno che questo.
Avendo inteso che Emecheta raccontasse la sua vita da migrante che dalla Nigeria l’ha portata nel Regno Unito, scioccamente mi aspettavo dei toni malinconici.
E invece..

Adah's Story (titolo originale) inizia con un sogno.

E’ il sogno di un bambina che, nonostante nasca e cresca in una famiglia umile, è consapevole che l’istruzione può essere lo strumento per liberarsi.
Per riuscire ad andare a scuola – privilegio riservato al solo fratello maschio- Adah imbroglia, mente, fugge.
In una confusione di credenze religiose e superstizioni ciò che sembra rimanere fermo e saldo è il rigido sistema patriarcale che la protagonista volge a suo favore.
Si sposa per poter continuare a studiare (una ragazza non può andare a vivere da sola) e riesce poi a convincere la famiglia del marito (che una volta sposata diventa il perno di ogni decisione della coppia) che convenga emigrare in Inghilterra.
Lei, infatti, lavorando come bibliotecaria, è quella che porta a casa i soldi e può permettere al marito di continuare gli studi.

Quando arriva nel Regno Unito, sono gli anni ’60 e Adah ha soli vent’anni e già due figli.
Il percorso di inserimento nella società inglese è travagliato così come quello di un matrimonio sbagliato.

description

La sua ironia scoppiettante riempie le pagine di una vita tutt’altro che facile soprattutto quando si ritrova a toccare il fondo: sola, con cinque figli, costretta a lasciare il lavoro e nelle mani dei servizi sociali.
Sarà proprio la scoperta della solidarietà tra chi sta ai margini a darle la forza per rialzarsi.

Un racconto che esplora a 360° Il mondo delle relazioni tra uomo- donna, bianco-nero- povero- ricco, istruito- ignorante.
Una gamma di emozioni accompagnano una giovane donna nera, africana, madre, moglie che cerca di sbrogliare la matassa delle difficoltà sociali attraverso la conoscenza e la scrittura.


”Devi sapere mia cara giovane signora che a Lagos puoi anche far parte della macchina propagandistica degli americani, puoi guadagnare un milione di sterline al giorno (..) ma il giorno in cui metti piedi in Inghilterra sei una cittadina di seconda classe..”

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<![CDATA[Il mondo conosciuto (Italian Edition)]]> 74338427 Dopo aver tagliato i ponti con la famiglia e aver rinnegato le sue origini, lascerà, una volta morto, tutti i possedimenti in gestione alla moglie Caldonia.
In questo romanzo corale, appassionante e struggente, Edward P. Jones, autore nero, ribalta completamente la prospettiva attraverso cui narrare della schiavitù.]]>
448 Edward P. Jones Dagio_maya 5 “Lavati le mani dalla lordura dello schiavismo”


Un romanzo corale: un fiume di personaggi che travolge il lettore fin dalle prime pagine.
Rimanere a galla può essere faticoso soprattutto perché ci si ritrova ad annaspare nel bel mezzo dei dolori della Storia.
La schiavitù: l’Uomo reso carne e/o oggetto.

Non sono una da superlativi ma questo romanzo mi sembra quello più riuscito a trasportare sulle pagine non solo l’inenarrabile ma a farlo cogliendone tutta la varietà.
Perchè l'essere padroni e l'essere schiavi non è mai stata una condizione univoca ma colorata diversamente dato che ci sono molti modi di vivere e molti altri per sopravvivere.

Siamo in Virginia negli anni ’40 dell’Ottocento.
Quella della schiavitù è una macchina rodata da tempo.
Esistono leggi che proteggono i Padroni ed assicurazioni che li risarciscono per ogni danno.
Chi scappa, ad esempio, è un ladro perché sottrae una proprietà privata (se stesso).

Il romanzo si apre portandoci direttamente in una piantagione dove il Padrone è appena morto,
La cosa sorprendente è che il Padrone era un nero libero.
Henry Townsend, nato in schiavitù e poi affrancato dai suoi genitori naturali, subisce il fascino del suo Padrone bianco anche quando potrebbe allontanarsene e decide di seguirne le orme.


” Henry aveva sempre detto di voler essere un padrone migliore di tutti i bianchi che aveva conosciuto. Non capiva come il mondo che voleva creare fosse destinato al fallimento ancor prima che pronunciasse la sillaba iniziale della parola “padrone”.


Improvvisamente, però, muore lasciando a Caldonia, la giovane moglie il compito di gestire l’eredità:


”Gli schiavi che Henry Townsend lasciò a sua moglie erano tredici donne, undici uomini e nove bambini.”

Il mondo conosciuto è quello di Manchester County, il fulcro la piantagione Townsend.
Tutti coloro che vivono o ruotano attorno a questi luoghi diventano protagonisti del romanzo offrendoci non solo una prospettiva allargata rispetto allo schiavismo ma anche sugli stessi schiavi attraverso una narrazione che balza sulla linea del tempo.


La fusione tra immaginazione e realtà storica è completa perché non solo lo scenario assolutamente fedele alla bieca versione originale ma Edward P. Jones ha inserito elementi che spingono a ricercare le fonti.

Ad esempio, c’è la presenza di un tal Anderson Frazier autore del pamphlet “From Slavery to Freedom: The African-American” alle prese con le interviste ad alcuni schiavi affrancati

description

Oppure la mappa cinquecentesca del cartografo tedesco Martin Waldseemüller (che nel libro è chiamato Hans)



”… era la prima volta che la parola “America” veniva scritta su una mappa. L’America settentrionale vi appariva più piccola di quanto non fosse in realtà e, dove avrebbe dovuto esserci la Florida, non c’era niente. Il Sudamerica sembrava delle dimensioni giuste, ma era l’unico dei due continenti a venir chiamato “America”. L’America settentrionale non aveva alcun nome.”

Come a dire che quello che consideriamo la realtà è racchiuso in uno sguardo spesso limitato da paraocchi..]]>
4.50 2003 Il mondo conosciuto (Italian Edition)
author: Edward P. Jones
name: Dagio_maya
average rating: 4.50
book published: 2003
rating: 5
read at: 2025/03/30
date added: 2025/05/04
shelves: afroamericana, storica, afro-book-club-abc
review:
“Lavati le mani dalla lordura dello schiavismo”


Un romanzo corale: un fiume di personaggi che travolge il lettore fin dalle prime pagine.
Rimanere a galla può essere faticoso soprattutto perché ci si ritrova ad annaspare nel bel mezzo dei dolori della Storia.
La schiavitù: l’Uomo reso carne e/o oggetto.

Non sono una da superlativi ma questo romanzo mi sembra quello più riuscito a trasportare sulle pagine non solo l’inenarrabile ma a farlo cogliendone tutta la varietà.
Perchè l'essere padroni e l'essere schiavi non è mai stata una condizione univoca ma colorata diversamente dato che ci sono molti modi di vivere e molti altri per sopravvivere.

Siamo in Virginia negli anni ’40 dell’Ottocento.
Quella della schiavitù è una macchina rodata da tempo.
Esistono leggi che proteggono i Padroni ed assicurazioni che li risarciscono per ogni danno.
Chi scappa, ad esempio, è un ladro perché sottrae una proprietà privata (se stesso).

Il romanzo si apre portandoci direttamente in una piantagione dove il Padrone è appena morto,
La cosa sorprendente è che il Padrone era un nero libero.
Henry Townsend, nato in schiavitù e poi affrancato dai suoi genitori naturali, subisce il fascino del suo Padrone bianco anche quando potrebbe allontanarsene e decide di seguirne le orme.


” Henry aveva sempre detto di voler essere un padrone migliore di tutti i bianchi che aveva conosciuto. Non capiva come il mondo che voleva creare fosse destinato al fallimento ancor prima che pronunciasse la sillaba iniziale della parola “padrone”.


Improvvisamente, però, muore lasciando a Caldonia, la giovane moglie il compito di gestire l’eredità:


”Gli schiavi che Henry Townsend lasciò a sua moglie erano tredici donne, undici uomini e nove bambini.”

Il mondo conosciuto è quello di Manchester County, il fulcro la piantagione Townsend.
Tutti coloro che vivono o ruotano attorno a questi luoghi diventano protagonisti del romanzo offrendoci non solo una prospettiva allargata rispetto allo schiavismo ma anche sugli stessi schiavi attraverso una narrazione che balza sulla linea del tempo.


La fusione tra immaginazione e realtà storica è completa perché non solo lo scenario assolutamente fedele alla bieca versione originale ma Edward P. Jones ha inserito elementi che spingono a ricercare le fonti.

Ad esempio, c’è la presenza di un tal Anderson Frazier autore del pamphlet “From Slavery to Freedom: The African-American” alle prese con le interviste ad alcuni schiavi affrancati

description

Oppure la mappa cinquecentesca del cartografo tedesco Martin Waldseemüller (che nel libro è chiamato Hans)



”… era la prima volta che la parola “America” veniva scritta su una mappa. L’America settentrionale vi appariva più piccola di quanto non fosse in realtà e, dove avrebbe dovuto esserci la Florida, non c’era niente. Il Sudamerica sembrava delle dimensioni giuste, ma era l’unico dei due continenti a venir chiamato “America”. L’America settentrionale non aveva alcun nome.”

Come a dire che quello che consideriamo la realtà è racchiuso in uno sguardo spesso limitato da paraocchi..
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Disorientale 36335497 Uno dei maggiori successi editoriali dell’ultimo anno in Francia.

«Emozionante, divertente, intenso e drammatico».
Elle

«Una voce che incanta e al tempo stesso ci stringe dolorosamente».
Le Monde des livres

«Un’epopea romanzesca».
Le Figaro littéraire

«Una storia romanzesca all’ennesima potenza, piena di digressioni squisitamente orientali».
Télérama

In esilio a Parigi dall’età di dieci anni, Kimiâ, nata a Teheran, ha sempre cercato di tenere a distanza il suo paese, la sua cultura, la sua famiglia. Ma i jinn, i genii usciti dalla lampada (in questo caso il passato), la riacciuffano per far sfilare una strabiliante serie d’immagini di tre generazioni della sua storia familiare: le tribolazioni degli antenati, un decennio di rivoluzione politica, il passaggio burrascoso dell’adolescenza, la frenesia del rock, il sorriso malandrino di una bassista bionda…
Un affresco fiammeggiante sulla memoria e l’identità; un grande romanzo sull’Iran di ieri e sull’Europa di oggi.

Premio 2016 per il miglior esordio letterario della rivista Lire.
Premio 2016 dello Stile.
Premio delle Librerie Folies d’Encre & L’Autre Monde.]]>
325 Négar Djavadi 8866329088 Dagio_maya 5 Ho cambiato paesi e lingue, mi sono inventata altri passati, altre identità.
Ho lottato, sì, ho lottato contro il vento imperioso che si è alzato molto tempo fa in una remota provincia della Persia
chiamata Mazandaran1, un vento carico di nascite e morti, di geni recessivi e dominanti, di colpi di Stato e rivoluzioni, che a ogni mio tentativo di sfuggirgli mi ha afferrata per il collo e rimessa al mio posto.
Per farvi capire cosa sto dicendo devo riavvolgere il nastro e ripartire dall’inizio, farvi sentire, come la sento io stessa in questo momento mentre un’infermiera ci dà un’occhiata e si allontana indifferente, la voce di mio zio Saddeq Sadr, detto Zio Numero Due, che in tono minore, soave come un clarinetto, racconta quella che fra noi chiamavamo “La famosa storia di Zio Numero Due”


Parigi.
In una fredda e silenziosa sala di attesa del reparto procreazione assistita, Kimiâ Sadr si lascia andare ai ricordi della sua vita.


Un racconto denso, fitto di avvenimenti che si accavallano e reclamano attenzione.
Teheran prima e dopo la rivoluzione; il luogo della prima infanzia in una famiglia particolare.
Figlia di due dissidenti (dello scià prima e dell’ayatollah dopo), il padre giornalista e la madre insegnante di Storia.
Storie che si attorcigliano tra i racconti fatti chiudendo le porte della cucina dalla fedele domestica Bibi oppure declamati dallo Zio Numero Due in soggiorno a beneficio di un pubblico più ampio.

Racconti che riportano indietro alle origini e assumono toni quasi fiabeschi raccontando di una nonna nata in un harem e si scontrano con la serenità che va sbriciolandosi alla fine degli anni ‘70 dove arresti e minacce di morte costringono ad una fuga disperata e clandestina.
La Storia della Persia diventata Iran è fondamentale e l'autrice fornisce note importanti alla fine di ogni capitolo.

La fuga dunque e, così, Kimiâ vive una seconda nascita.

Quando arriva a Parigi ha dieci anni :


” A dire la verità niente somiglia più all’esilio della nascita: strapparsi con violenza e speranza, per istinto di sopravvivenza o per necessità, alla propria casa, al proprio nido sicuro, per essere proiettati in un mondo sconosciuto in cui bisogna continuamente fare i conti con sguardi curiosi. Nessun esilio è slegato dal cammino che conduce all’espatrio, dal canale uterino, cupa giunzione tra passato e futuro che, una volta oltrepassata, si richiude e ti condanna al peregrinare.”


Strutturato in due parti (un Lato A ed un Lato B come nei vecchi vinili), “Disorientale” già dal titolo ci parla di una fusione.
La combinazione tra il disorientamento della propria identità e la forza con cui le radici orientali la trattengono.
Un dibattersi per non essere incatenata né da una parte né dall’altra.

Non il “solito” libro che parla di immigrazione ma un racconto ricco e forte che dal passato trae la forza per costruire un nuovo presente e un modo di essere Donna.


” Kimiâ. Dall’arabo al-kimiya, alchimia, che a sua volta viene dal greco khemia, magia nera, che a sua volta deriva dall’egiziano kem, nero. E quindi Kimiâ, l’arte che consiste nel rendere puro l’impuro, nel trasformare i metalli in oro e il brutto in bello. E nella mente in chiaroscuro di Sara a trasformare il maschio in femmina.”]]>
4.21 2016 Disorientale
author: Négar Djavadi
name: Dagio_maya
average rating: 4.21
book published: 2016
rating: 5
read at: 2021/03/04
date added: 2025/05/02
shelves: europea, alfemminile, 5-stelle
review:
Ho cambiato paesi e lingue, mi sono inventata altri passati, altre identità.
Ho lottato, sì, ho lottato contro il vento imperioso che si è alzato molto tempo fa in una remota provincia della Persia
chiamata Mazandaran1, un vento carico di nascite e morti, di geni recessivi e dominanti, di colpi di Stato e rivoluzioni, che a ogni mio tentativo di sfuggirgli mi ha afferrata per il collo e rimessa al mio posto.
Per farvi capire cosa sto dicendo devo riavvolgere il nastro e ripartire dall’inizio, farvi sentire, come la sento io stessa in questo momento mentre un’infermiera ci dà un’occhiata e si allontana indifferente, la voce di mio zio Saddeq Sadr, detto Zio Numero Due, che in tono minore, soave come un clarinetto, racconta quella che fra noi chiamavamo “La famosa storia di Zio Numero Due”



Parigi.
In una fredda e silenziosa sala di attesa del reparto procreazione assistita, Kimiâ Sadr si lascia andare ai ricordi della sua vita.


Un racconto denso, fitto di avvenimenti che si accavallano e reclamano attenzione.
Teheran prima e dopo la rivoluzione; il luogo della prima infanzia in una famiglia particolare.
Figlia di due dissidenti (dello scià prima e dell’ayatollah dopo), il padre giornalista e la madre insegnante di Storia.
Storie che si attorcigliano tra i racconti fatti chiudendo le porte della cucina dalla fedele domestica Bibi oppure declamati dallo Zio Numero Due in soggiorno a beneficio di un pubblico più ampio.

Racconti che riportano indietro alle origini e assumono toni quasi fiabeschi raccontando di una nonna nata in un harem e si scontrano con la serenità che va sbriciolandosi alla fine degli anni ‘70 dove arresti e minacce di morte costringono ad una fuga disperata e clandestina.
La Storia della Persia diventata Iran è fondamentale e l'autrice fornisce note importanti alla fine di ogni capitolo.

La fuga dunque e, così, Kimiâ vive una seconda nascita.

Quando arriva a Parigi ha dieci anni :


” A dire la verità niente somiglia più all’esilio della nascita: strapparsi con violenza e speranza, per istinto di sopravvivenza o per necessità, alla propria casa, al proprio nido sicuro, per essere proiettati in un mondo sconosciuto in cui bisogna continuamente fare i conti con sguardi curiosi. Nessun esilio è slegato dal cammino che conduce all’espatrio, dal canale uterino, cupa giunzione tra passato e futuro che, una volta oltrepassata, si richiude e ti condanna al peregrinare.”


Strutturato in due parti (un Lato A ed un Lato B come nei vecchi vinili), “Disorientale” già dal titolo ci parla di una fusione.
La combinazione tra il disorientamento della propria identità e la forza con cui le radici orientali la trattengono.
Un dibattersi per non essere incatenata né da una parte né dall’altra.

Non il “solito” libro che parla di immigrazione ma un racconto ricco e forte che dal passato trae la forza per costruire un nuovo presente e un modo di essere Donna.


” Kimiâ. Dall’arabo al-kimiya, alchimia, che a sua volta viene dal greco khemia, magia nera, che a sua volta deriva dall’egiziano kem, nero. E quindi Kimiâ, l’arte che consiste nel rendere puro l’impuro, nel trasformare i metalli in oro e il brutto in bello. E nella mente in chiaroscuro di Sara a trasformare il maschio in femmina.”
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Ohio 53434799 Ohio è il grande romanzo dei nostri anni.

È un posto dimenticato da Dio, New Canaan. Dopo il diploma, dieci anni fa, se ne sono andati tutti. Bill, attivista disilluso con una passione per i guai; Stacey, una dottoranda che ha imparato ad accettare la propria omosessualità; Dan, reduce dall'Iraq segnato nel corpo e nella mente; Tina, ex cheerleader fragile e amareggiata. Ma la notte in cui le traiettorie dei quattro giovani si incrociano di nuovo, passato e presente, i giorni del liceo carichi di promesse e le disillusioni dell'età adulta, fanno contatto ed esplodono. Da anni non si leggeva un romanzo che affrontasse, con tanta ferocia e pietà, la perdita dell'innocenza.]]>
538 Stephen Markley 8806244108 Dagio_maya 4 americana ” Non credi che tutti ci portiamo dietro qualcosa di cui ci vergogniamo?
Qualcosa che vorremmo tanto cancellare?”




Un preludio assordante, scaraventa il lettore nel bel mezzo di una parata commemorativa per un giovane soldato morto in Afghanistan.
Una farsa in realtà: il corpo non è stato inviato, il feretro è vuoto.
Una folla invade le strade di New Canaan (che ho scoperto essere, in realtà, nel Connecticut ) con tutte quelle sfumature che più che differenziare omologano.


”Rispetto alla nostra storia, la parata è importante non per le persone che vi parteciparono ma per le persone assenti quel giorno. Bill Ashcraft e Porno Tina. Stacey Moore, ex campionessa di pallavolo ed ex seguace della First Christian Church. Un ragazzo di nome Danny Eaton che era ancora sotto le armi in Iraq, qualche anno prima di perdere uno dei suoi begli occhi nocciola. Ognuno di loro era assente per ragioni personali, e un giorno tutti quanti sarebbero tornati.”

E proprio su questo ritorno si basa il romanzo:


” Dunque cominciamo piú o meno sei anni dopo la parata offerta in onore del caporale Rick Brinklan, in un’allucinogena notte estiva del 2013.
Cominciamo con i cani della storia che ululano, che provano sofferenza in ogni nervo, in ogni muscolo. Cominciamo con quattro automobili e i relativi occupanti che convergono su questa cittadina dell’Ohio da nord, sud, est e ovest.”



Quattro capitoli ad ognuno di loro dedicato più un fanalino di coda per un finale magistrale.

Si procede a scossoni nel tempo un viaggio che ricalca lo stato allucinatorio provocato dalle molte droghe ed alcool.
La stessa notte – quasi per una convergenza astrale- Bill, Dan, Stacey e Tina, tornano rituffandosi nella memoria di un passato da cui erano fuggiti per ragioni diverse.

Sembra il solito romanzo americano.
Abbiamo già visto e letto tutto eppure non è mai abbastanza.
U
s
a
Tanti stati, tante sfumature eppure quella linea che ripercorrere le highways tesa a legarne i confini.
La linea dell' eccesso: tutto tanto materialmente eccessivo a gridarci un bisogno di affermare continuamente una grandezza truffaldina.
Così è tanta anche la miseria.
Generazioni di vitelloni e cheerleaders che pochi anni dopo il diploma fanno la danza del fentanyl piegati sui marciapiedi...

Il mito del liceo come fattore fondativo su cui si basa un passato da cancellare o mitizzare a seconda del ruolo avuto: vittima o carnefice?
Popolare o bullizzato? Eroe o vigliacco?

Un esordio importante per Stephen Markley che, sorprendentemente, contiene i semi del suo libro successivo..

”I credenti potevano socchiudere gli occhi e immaginare che fosse la tanto chiacchierata Fine del mondo, la stagione del diluvio universale anziché la prossima volta il fuoco. Molti di loro se l’augurarono in segreto.”

★★★★½
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3.87 2018 Ohio
author: Stephen Markley
name: Dagio_maya
average rating: 3.87
book published: 2018
rating: 4
read at: 2025/04/30
date added: 2025/04/30
shelves: americana
review:
” Non credi che tutti ci portiamo dietro qualcosa di cui ci vergogniamo?
Qualcosa che vorremmo tanto cancellare?”




Un preludio assordante, scaraventa il lettore nel bel mezzo di una parata commemorativa per un giovane soldato morto in Afghanistan.
Una farsa in realtà: il corpo non è stato inviato, il feretro è vuoto.
Una folla invade le strade di New Canaan (che ho scoperto essere, in realtà, nel Connecticut ) con tutte quelle sfumature che più che differenziare omologano.


”Rispetto alla nostra storia, la parata è importante non per le persone che vi parteciparono ma per le persone assenti quel giorno. Bill Ashcraft e Porno Tina. Stacey Moore, ex campionessa di pallavolo ed ex seguace della First Christian Church. Un ragazzo di nome Danny Eaton che era ancora sotto le armi in Iraq, qualche anno prima di perdere uno dei suoi begli occhi nocciola. Ognuno di loro era assente per ragioni personali, e un giorno tutti quanti sarebbero tornati.”

E proprio su questo ritorno si basa il romanzo:


” Dunque cominciamo piú o meno sei anni dopo la parata offerta in onore del caporale Rick Brinklan, in un’allucinogena notte estiva del 2013.
Cominciamo con i cani della storia che ululano, che provano sofferenza in ogni nervo, in ogni muscolo. Cominciamo con quattro automobili e i relativi occupanti che convergono su questa cittadina dell’Ohio da nord, sud, est e ovest.”



Quattro capitoli ad ognuno di loro dedicato più un fanalino di coda per un finale magistrale.

Si procede a scossoni nel tempo un viaggio che ricalca lo stato allucinatorio provocato dalle molte droghe ed alcool.
La stessa notte – quasi per una convergenza astrale- Bill, Dan, Stacey e Tina, tornano rituffandosi nella memoria di un passato da cui erano fuggiti per ragioni diverse.

Sembra il solito romanzo americano.
Abbiamo già visto e letto tutto eppure non è mai abbastanza.
U
s
a
Tanti stati, tante sfumature eppure quella linea che ripercorrere le highways tesa a legarne i confini.
La linea dell' eccesso: tutto tanto materialmente eccessivo a gridarci un bisogno di affermare continuamente una grandezza truffaldina.
Così è tanta anche la miseria.
Generazioni di vitelloni e cheerleaders che pochi anni dopo il diploma fanno la danza del fentanyl piegati sui marciapiedi...

Il mito del liceo come fattore fondativo su cui si basa un passato da cancellare o mitizzare a seconda del ruolo avuto: vittima o carnefice?
Popolare o bullizzato? Eroe o vigliacco?

Un esordio importante per Stephen Markley che, sorprendentemente, contiene i semi del suo libro successivo..

”I credenti potevano socchiudere gli occhi e immaginare che fosse la tanto chiacchierata Fine del mondo, la stagione del diluvio universale anziché la prossima volta il fuoco. Molti di loro se l’augurarono in segreto.”

★★★★½

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<![CDATA[Donne bellissime: Tre racconti tradotti da Paolo Nori]]> 11220694 26 Anton Chekhov 8871685768 Dagio_maya 4 3.88 1888 Donne bellissime: Tre racconti tradotti da Paolo Nori
author: Anton Chekhov
name: Dagio_maya
average rating: 3.88
book published: 1888
rating: 4
read at:
date added: 2025/04/30
shelves:
review:

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Oblòmov 9827848 687 Ivan Goncharov 8889145412 Dagio_maya 4 classica, russa Vivere in orizzontale


Che cosa strana.
La difficoltà nello scrivere un commento a questa lettura rispecchia, in qualche modo, l’indolenza di Oblomov.
Ma partiamo dall’inizio..

Ero frizzante e molto partecipativa nella lettura così come quando il giovane Oblomov lascia la tenuta famigliare per andare a Pietroburgo a studiare ed intraprendere una carriera come funzionario pubblico ma al minimo intoppo lascia senza fare neppure il minimo sforzo per rimediare ad un errore commesso sul posto di lavoro.
Si lascia così andare ad una vita di società ma girando di salotto in salotto sente che il vuoto dell’ipocrisia sociale non è cosa per lui e poco a poco si rintana nel suo appartamento fino ad occupare il letto e ad alzarsi raramente.

I primi capitoli sono s p e t t a c o l a r i:
teatro puro dove il servo della gleba Zachar è una spalla sublime.

Sono scene in cui Oblomov si sveglia e compie tentativi alzarsi perdendosi continuamente in pensieri che lo distolgono dall’agire.
Nel frattempo, al suo capezzale riceve amici di diverso stampo che ci aiutano a delineare la storia.

Oblomov vive di rendita grazie ai possedimenti di famiglia.
Una rendita. Tuttavia, che si assottiglia sempre più dato che lui non si reca da anni di persona a controllare e probabilmente chi è delegato a fare i suoi affari non si comporta onestamente.

Sarà l’amico Stoltz a dare una sferzata alla situazione: non solo facendolo fisicamente alzare ed uscire ma presentandogli la bellissima Olga di cui è impossibile non innamorarsi.

Ma (non) si diventa ciò che (non ) si è e nessuno può modificare la nostra natura...

Classico eccezionale che fa riflettere sull’oblomovismo che c’è in ognuno di noi.

Non assegno cinque stelle solo per i capitoli un po’ estenuanti di un amore [spoilers removed]

…finalmente scopri che l’orizzonte della sua attività e della sua esistenza era celato in lui stesso

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4.25 1859 Oblòmov
author: Ivan Goncharov
name: Dagio_maya
average rating: 4.25
book published: 1859
rating: 4
read at: 2025/04/25
date added: 2025/04/29
shelves: classica, russa
review:
Vivere in orizzontale


Che cosa strana.
La difficoltà nello scrivere un commento a questa lettura rispecchia, in qualche modo, l’indolenza di Oblomov.
Ma partiamo dall’inizio..

Ero frizzante e molto partecipativa nella lettura così come quando il giovane Oblomov lascia la tenuta famigliare per andare a Pietroburgo a studiare ed intraprendere una carriera come funzionario pubblico ma al minimo intoppo lascia senza fare neppure il minimo sforzo per rimediare ad un errore commesso sul posto di lavoro.
Si lascia così andare ad una vita di società ma girando di salotto in salotto sente che il vuoto dell’ipocrisia sociale non è cosa per lui e poco a poco si rintana nel suo appartamento fino ad occupare il letto e ad alzarsi raramente.

I primi capitoli sono s p e t t a c o l a r i:
teatro puro dove il servo della gleba Zachar è una spalla sublime.

Sono scene in cui Oblomov si sveglia e compie tentativi alzarsi perdendosi continuamente in pensieri che lo distolgono dall’agire.
Nel frattempo, al suo capezzale riceve amici di diverso stampo che ci aiutano a delineare la storia.

Oblomov vive di rendita grazie ai possedimenti di famiglia.
Una rendita. Tuttavia, che si assottiglia sempre più dato che lui non si reca da anni di persona a controllare e probabilmente chi è delegato a fare i suoi affari non si comporta onestamente.

Sarà l’amico Stoltz a dare una sferzata alla situazione: non solo facendolo fisicamente alzare ed uscire ma presentandogli la bellissima Olga di cui è impossibile non innamorarsi.

Ma (non) si diventa ciò che (non ) si è e nessuno può modificare la nostra natura...

Classico eccezionale che fa riflettere sull’oblomovismo che c’è in ognuno di noi.

Non assegno cinque stelle solo per i capitoli un po’ estenuanti di un amore [spoilers removed]

…finalmente scopri che l’orizzonte della sua attività e della sua esistenza era celato in lui stesso


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L'Agnese va a morire 4485369 246 Renata Viganò 8806134884 Dagio_maya 5 Eppure leggi sperando che ciò non accada.

Grassa, malata, vecchia, con occhi duri (”un aspetto che non dava troppo coraggio”) ma forte dentro.
Capace di affrontare a viso aperto questi tedeschi che le risultavano così inumani:

” L’aia, la campagna, il mondo furono guastati dai loro aspetti meccanici disumani, pelle, ciglia, capelli quasi tutti di un solo colore sbiadito, e occhi stretti, crudeli, opachi come di vetro sporco. I mitra sembravano parte di essi, della loro stessa sostanza viva.”

Non esiste un libro sulla R*e*s*i*s*t*e*n*z*a* che assolva il compito di parlare di tutto.


Troppi aspetti, troppi risvolti...
Qui si narra di un modo per affrontare la paura.
Dell’odio per chi non dimostra umanità alcuna.

Rileggo questo testo dopo tanti anni eppure ritrovo intatta l’Agnese di Palita che ciabatta nei terreni paludosi della Valle di Comacchio.

L’Agnese di Palita: moglie e madre della Resistenza.

Mi emoziona ancora e forse ancor di più…


” Un giorno, a un tratto, la libertà si fermò. Non aveva più voglia di camminare. Se ne infischiava di quelli che l’aspettavano, mancava all’appuntamento senza un motivo, come fanno gli innamorati già un po’ stanchi.”]]>
4.20 1949 L'Agnese va a morire
author: Renata Viganò
name: Dagio_maya
average rating: 4.20
book published: 1949
rating: 5
read at: 2017/08/06
date added: 2025/04/26
shelves: 5-stelle, resistenza, italiana, non-dimentico
review:
Che Agnese morirà lo sai già dal titolo.
Eppure leggi sperando che ciò non accada.

Grassa, malata, vecchia, con occhi duri (”un aspetto che non dava troppo coraggio”) ma forte dentro.
Capace di affrontare a viso aperto questi tedeschi che le risultavano così inumani:

” L’aia, la campagna, il mondo furono guastati dai loro aspetti meccanici disumani, pelle, ciglia, capelli quasi tutti di un solo colore sbiadito, e occhi stretti, crudeli, opachi come di vetro sporco. I mitra sembravano parte di essi, della loro stessa sostanza viva.”

Non esiste un libro sulla R*e*s*i*s*t*e*n*z*a* che assolva il compito di parlare di tutto.


Troppi aspetti, troppi risvolti...
Qui si narra di un modo per affrontare la paura.
Dell’odio per chi non dimostra umanità alcuna.

Rileggo questo testo dopo tanti anni eppure ritrovo intatta l’Agnese di Palita che ciabatta nei terreni paludosi della Valle di Comacchio.

L’Agnese di Palita: moglie e madre della Resistenza.

Mi emoziona ancora e forse ancor di più…


” Un giorno, a un tratto, la libertà si fermò. Non aveva più voglia di camminare. Se ne infischiava di quelli che l’aspettavano, mancava all’appuntamento senza un motivo, come fanno gli innamorati già un po’ stanchi.”
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Le nozze di al-Zain 18042856 La stagione della migrazione a Nord, uno dei massimi romanzi moderni in lingua araba, Le nozze di al-Zain (pubblicato nel 1969) racconta le stravaganti imprese sentimentali di un personaggio unico nella letteratura di ogni paese. Alto e sgraziato, due soli denti in bocca, al-Zain si è conquistato sul campo una fama sfortunata, quella di un uomo che si invaghisce perdutamente di ragazze che finiscono sempre per sposare qualcun altro. Non gli manca il buon gusto, visto che «si innamorava solo delle ragazze più belle e attraenti del paese, quelle più educate, e quelle con la parlata più dolce», ma tanto efficace è questa sua paradossale qualità, questo suo disperato talento, che le madri affrante di figlie zitelle lo cercano e lo inseguono, confidando nel suo amore senza speranze per cambiare il destino nuziale di quelle giovani donne dall’incerto futuro.
Ma un giorno nel villaggio affacciato sul Nilo tutti rimangono sorpresi per una notizia che ha dell’incredibile: al-Zain la «Giraffa», al-Zain che appena nato non aveva pianto ma era esploso in una risata, che sin dai primi mesi faceva divertire fino alle lacrime donne e bambini, al-Zain che ha perso i denti a sei anni e che non ha mai avuto un pelo di barba, né ciglia, né sopracciglia – al-Zain, si sposa. Per lui è più di un miracolo, per il villaggio una sconvolgente rivelazione da cui nascono confronti e tensioni, discussioni e diatribe, tra i devoti e gli empi, tra poveri e benestanti, tra moderni e tradizionalisti. E forse solo la sfacciata fortuna di al-Zain potrà riconciliare e sancire l’integrità di un mondo e di una comunità.
Adattato per il teatro in Libia, il romanzo è stato anche trasposto in un film dal regista kuwaitiano Khalid al-Siddiq, vincendo un premio a Cannes nel 1976. Commistione esemplare di un sofisticato stile letterario e di un gusto narrativo che accoglie la tradizione del racconto orale, Le nozze di al-Zain è un piccolo classico ormai famoso in tutto il mondo. Lo scrittore britannico Kingsley Amis ha celebrato l’eleganza con cui il lettore è invitato a ridere e a sorridere degli abitanti del villaggio, e l’umorismo sempre premuroso della vicenda: «Anche quando toccano l’apice del ridicolo i protagonisti mantengono una fondamentale dignità».
Completano il volume due tra i migliori racconti brevi dell’autore, ulteriore esempio di uno sguardo dal carisma universale.]]>
122 Tayeb Salih 8838930570 Dagio_maya 0 wishlist 3.43 1969 Le nozze di al-Zain
author: Tayeb Salih
name: Dagio_maya
average rating: 3.43
book published: 1969
rating: 0
read at:
date added: 2025/04/23
shelves: wishlist
review:

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La locandiera 3918570 La locandiera piacque subito molto, anche se forse non riuscì ad affascinare del tutto il pubblico del tempo. Originale, spiazzante, giocata su una storia d'amore che non si sviluppa secondo gli schemi consueti, ma anzi li rovescia in un gioco di imprevisti, La locandiera era probabilmente troppo "moderna", troppo audace per la sua epoca. Più che una vicenda sentimentale, il commediografo veneziano aveva infatti scritto una storia sull'egoismo e sulla forza di carattere, magnificamente rappresentati nella seducente e sicura Mirandolina, civetta e donna d'affari, indimenticabile e luminoso esempio di un eterno femminino davanti al quale devono crollare tutte le difese degli uomini, anche (e soprattutto) di quelli che fanno sfoggio di un'esasperata misoginia.]]> 176 Carlo Goldoni 8804236167 Dagio_maya 5 "La nobiltà non fa per me.
La ricchezza la stimo e non la stimo.
Tutto il mio piacere consiste nel vedermi servita, desiderata, adorata.
Questa è la mia debolezza, e questa è la debolezza di quasi tutte le donne…"




Rappresentata, per la prima volta, a Venezia nel 1753, “La locandiera” è una commedia, in tre atti, nota a tutti come commedia d’amore.

Appare, tuttavia, ben chiaro che, più che l’arte della seduzione in sé, è l’orgoglio a muoversi sulla scena.

Mirandolina, bella locandiera di Firenze, abituata ad essere corteggiata dai tutti i suoi clienti, accoglie come una sfida l’atteggiamento sprezzante del Cavaliere di Ripafratta, noto misogino. Scaltrezza e finzione sono le armi di Mirandolina che giostra con gli uomini in scena a colpi di battute beffarde.
La furbizia femminile è anche un’arma di rivalsa sociale.
La commedia rappresenta, infatti, diversi tipi maschili che rispecchiano le differenze sociali.
Il sipario si apre proprio su due soggetti opposti.

Il primo è il Marchese di Forlipopoli: rappresentante dell’antica nobiltà decaduta che, pur di mantenere le apparenze degli antichi lussi, diventa personaggio di grande comicità.
L’altro è il Conte d'Albafiorita, facente parte della classe sociale ai vertici, una nuova nobiltà che ostenta le immense ricchezze.
Il Cavaliere di Ripafratta si colloca tra i due caratterizzandosi, più che per il ceto, per il suo odio contro le donne che sarà poi la miccia della commedia e che gli varrà il nome di “Rustico”, ossia, selvatico.
L’ultimo nella scala sociale è il cameriere Fabrizio che appare meno ma avrà una sua funzione specifica nella storia.

Mirandolina in fondo cosa fa per conquistare questi uomini?
Nulla di particolare se non dire quello che ognuno di loro desidera sentire.

Commedia che segnò una svolta epocale nella produzione di Goldoni e nella storia del teatro e che rimane un classico indelebile.


Questo vuol dir saper vivere, saper fare, saper profittare di tutto, con buona grazia, con pulizia, con un poco di disinvoltura.
In materia d'accortezza, non voglio che si dica ch'io faccia torto al sesso"
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3.57 1753 La locandiera
author: Carlo Goldoni
name: Dagio_maya
average rating: 3.57
book published: 1753
rating: 5
read at: 2022/01/05
date added: 2025/04/19
shelves: teatro, italiana, 5-stelle, non-dimentico
review:
"La nobiltà non fa per me.
La ricchezza la stimo e non la stimo.
Tutto il mio piacere consiste nel vedermi servita, desiderata, adorata.
Questa è la mia debolezza, e questa è la debolezza di quasi tutte le donne…"




Rappresentata, per la prima volta, a Venezia nel 1753, “La locandiera” è una commedia, in tre atti, nota a tutti come commedia d’amore.

Appare, tuttavia, ben chiaro che, più che l’arte della seduzione in sé, è l’orgoglio a muoversi sulla scena.

Mirandolina, bella locandiera di Firenze, abituata ad essere corteggiata dai tutti i suoi clienti, accoglie come una sfida l’atteggiamento sprezzante del Cavaliere di Ripafratta, noto misogino. Scaltrezza e finzione sono le armi di Mirandolina che giostra con gli uomini in scena a colpi di battute beffarde.
La furbizia femminile è anche un’arma di rivalsa sociale.
La commedia rappresenta, infatti, diversi tipi maschili che rispecchiano le differenze sociali.
Il sipario si apre proprio su due soggetti opposti.

Il primo è il Marchese di Forlipopoli: rappresentante dell’antica nobiltà decaduta che, pur di mantenere le apparenze degli antichi lussi, diventa personaggio di grande comicità.
L’altro è il Conte d'Albafiorita, facente parte della classe sociale ai vertici, una nuova nobiltà che ostenta le immense ricchezze.
Il Cavaliere di Ripafratta si colloca tra i due caratterizzandosi, più che per il ceto, per il suo odio contro le donne che sarà poi la miccia della commedia e che gli varrà il nome di “Rustico”, ossia, selvatico.
L’ultimo nella scala sociale è il cameriere Fabrizio che appare meno ma avrà una sua funzione specifica nella storia.

Mirandolina in fondo cosa fa per conquistare questi uomini?
Nulla di particolare se non dire quello che ognuno di loro desidera sentire.

Commedia che segnò una svolta epocale nella produzione di Goldoni e nella storia del teatro e che rimane un classico indelebile.


Questo vuol dir saper vivere, saper fare, saper profittare di tutto, con buona grazia, con pulizia, con un poco di disinvoltura.
In materia d'accortezza, non voglio che si dica ch'io faccia torto al sesso"

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<![CDATA[Storia di una fattoria africana]]> 27287863 304 Olive Schreiner 8809796683 Dagio_maya 5 ” Ma questo pensiero solo rimane sempre fisso, non se ne va mai – se solo potessi rinascere nel futuro; allora, forse, nascere donne non significherà essere marchiate a vita “


Figlia di un missionario tedesco e di una donna inglese, Olive Schreiner cresce in Sud Africa dove trascorrerà la maggior parte della sua vita.
Attiva politicamente in difesa dei diritti delle donne, contro la guerra ed il razzismo, conoscerà il successo proprio con Storia di una fattoria africana indicato come uno dei primi romanzi femministi.

Pubblicato nel 1883 con lo pseudonimo maschile di Ralph Iron (Il nome in onore di Emerson, il cognome probabilmente riconducibile alla gabbia di ferro in cui sono costrette le donne), il romanzo racconta la vita di tre personaggi principali: le due cugine Em e Lyndall e il Waldo un pastore apparentemente selvatico ma con le mani e l'animo di un artista.

” Le vicende della vita possono essere dipinte in due modi. Si può adottare il metodo teatrale: esso ci permette di predefinire e schierare in scena ogni personaggio con la sua bella etichetta; sappiamo con immutabile certezza che, al momento giusto, ognuno di loro interverrà a svolgere il proprio ruolo e che, una volta calato il sipario, tutti si presenteranno alla ribalta con un inchino. Questo metodo senza dubbio procura in noi un senso di soddisfazione e di completezza. Ma c’è anche un altro metodo, quello comunemente adottato nella nostra vita di tutti i giorni. In esso non è dato profetizzare nulla. I percorsi s’intrecciano in modo strano e casuale.”

Cosi la Schreiner scrive nella prefazione della ristampa dopo il successo della prima pubblicazione (1883) e dove svelò il suo vero nome.
Il tema della casualità fa sì che nella fattoria governata dalla grassa boera Tant’ Sannie (rappresentante la tipica coloniale limitata dai pregiudizi e dalle superstizioni) si presentino, a volte, personaggi misteriosi e bizzarri.
Da bambini a giovani adulti seguiamo i tre protagonisti nei loro percorsi di crescita.
Un racconto in cui si passa facilmente dal riso alla commozione e dove i meravigliosi paesaggi acuiscono il senso di solitudine.
Una storia dove assistiamo tanto all'estenuante ricerca di un dio amorevole quanto alla presa di coscienza delle ingiustizie e all'affermazione dei diritti delle donne.
Si ride anche per le caricature di uomini e donne che abitavano quelle sperdute colonie.
E ci si sorprende di trovare, in un romanzo di fine ottocento, pensieri così apertamente agnostici (“Dio non esiste!”) e uomini che fanno emergere la propria femminilità travestendosi.

Un libro dei sogni.
Di quelli che si fanno, però, ad occhi aperti e delineano le forme di un mondo più giusto.

Intanto attorno a queste bianche vite girano presenze nere, indigeni con cui ci si rapporta come strumenti da lavoro e chiamati con dispregiativo boero “cafri”.
L’autrice non li fa parlare e questo rende ancora più vivida l’atroce realtà della colonia sudafricana.

Lettura, per me, molto soddisfacente per il coinvolgimento e la sorpresa
Non mi aspettavo, infatti, una trama così ricca di movimento forse perché credevo che un romanzo ambientato nel karoo riflettesse l’aridità statica del suo ambiente.

Ad Olive Schreiner ci sono arrivata tramite Janet Frame che ne parla nella sua autobiografia Un angelo alla mia tavola.
Dopo vari anni che ci giro attorno finalmente l’ho letto e il gradimento è stata completo.


” Le sbarre della realtà ci premono da vicino e non c’è concesso aprire le ali perché le urtiamo subito e ricadiamo sanguinanti a terra, ma quando riusciamo a scivolare attraverso quelle sbarre, per inoltrarci nell’ignoto che è al di là di esse, possiamo volare per sempre nel glorioso azzurro, non vedendo altra cosa se non la nostra ombra. E così un’epoca si sostituisce all’altra e un sogno si sostituisce a un altro e nessuno conosce le gioie del sognatore se non è egli stesso un sognatore.
I nostri padri avevano i loro sogni; noi abbiamo i nostri; la generazione che verrà avrà i propri sogni. Senza sogni e fantasmi l’uomo non può vivere.”

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2.78 1883 Storia di una fattoria africana
author: Olive Schreiner
name: Dagio_maya
average rating: 2.78
book published: 1883
rating: 5
read at: 2020/06/17
date added: 2025/04/18
shelves: africana, alfemminile, classica, 5-stelle, non-dimentico
review:
” Ma questo pensiero solo rimane sempre fisso, non se ne va mai – se solo potessi rinascere nel futuro; allora, forse, nascere donne non significherà essere marchiate a vita “


Figlia di un missionario tedesco e di una donna inglese, Olive Schreiner cresce in Sud Africa dove trascorrerà la maggior parte della sua vita.
Attiva politicamente in difesa dei diritti delle donne, contro la guerra ed il razzismo, conoscerà il successo proprio con Storia di una fattoria africana indicato come uno dei primi romanzi femministi.

Pubblicato nel 1883 con lo pseudonimo maschile di Ralph Iron (Il nome in onore di Emerson, il cognome probabilmente riconducibile alla gabbia di ferro in cui sono costrette le donne), il romanzo racconta la vita di tre personaggi principali: le due cugine Em e Lyndall e il Waldo un pastore apparentemente selvatico ma con le mani e l'animo di un artista.

” Le vicende della vita possono essere dipinte in due modi. Si può adottare il metodo teatrale: esso ci permette di predefinire e schierare in scena ogni personaggio con la sua bella etichetta; sappiamo con immutabile certezza che, al momento giusto, ognuno di loro interverrà a svolgere il proprio ruolo e che, una volta calato il sipario, tutti si presenteranno alla ribalta con un inchino. Questo metodo senza dubbio procura in noi un senso di soddisfazione e di completezza. Ma c’è anche un altro metodo, quello comunemente adottato nella nostra vita di tutti i giorni. In esso non è dato profetizzare nulla. I percorsi s’intrecciano in modo strano e casuale.”

Cosi la Schreiner scrive nella prefazione della ristampa dopo il successo della prima pubblicazione (1883) e dove svelò il suo vero nome.
Il tema della casualità fa sì che nella fattoria governata dalla grassa boera Tant’ Sannie (rappresentante la tipica coloniale limitata dai pregiudizi e dalle superstizioni) si presentino, a volte, personaggi misteriosi e bizzarri.
Da bambini a giovani adulti seguiamo i tre protagonisti nei loro percorsi di crescita.
Un racconto in cui si passa facilmente dal riso alla commozione e dove i meravigliosi paesaggi acuiscono il senso di solitudine.
Una storia dove assistiamo tanto all'estenuante ricerca di un dio amorevole quanto alla presa di coscienza delle ingiustizie e all'affermazione dei diritti delle donne.
Si ride anche per le caricature di uomini e donne che abitavano quelle sperdute colonie.
E ci si sorprende di trovare, in un romanzo di fine ottocento, pensieri così apertamente agnostici (“Dio non esiste!”) e uomini che fanno emergere la propria femminilità travestendosi.

Un libro dei sogni.
Di quelli che si fanno, però, ad occhi aperti e delineano le forme di un mondo più giusto.

Intanto attorno a queste bianche vite girano presenze nere, indigeni con cui ci si rapporta come strumenti da lavoro e chiamati con dispregiativo boero “cafri”.
L’autrice non li fa parlare e questo rende ancora più vivida l’atroce realtà della colonia sudafricana.

Lettura, per me, molto soddisfacente per il coinvolgimento e la sorpresa
Non mi aspettavo, infatti, una trama così ricca di movimento forse perché credevo che un romanzo ambientato nel karoo riflettesse l’aridità statica del suo ambiente.

Ad Olive Schreiner ci sono arrivata tramite Janet Frame che ne parla nella sua autobiografia Un angelo alla mia tavola.
Dopo vari anni che ci giro attorno finalmente l’ho letto e il gradimento è stata completo.


” Le sbarre della realtà ci premono da vicino e non c’è concesso aprire le ali perché le urtiamo subito e ricadiamo sanguinanti a terra, ma quando riusciamo a scivolare attraverso quelle sbarre, per inoltrarci nell’ignoto che è al di là di esse, possiamo volare per sempre nel glorioso azzurro, non vedendo altra cosa se non la nostra ombra. E così un’epoca si sostituisce all’altra e un sogno si sostituisce a un altro e nessuno conosce le gioie del sognatore se non è egli stesso un sognatore.
I nostri padri avevano i loro sogni; noi abbiamo i nostri; la generazione che verrà avrà i propri sogni. Senza sogni e fantasmi l’uomo non può vivere.”


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<![CDATA[La casa estrema: Un anno di vita sulla grande spiaggia di Cape Cod]]> 41560927 192 Henry Beston 8868338483 Dagio_maya 4 real, classica ”La vita è un’energia presente in natura al pari di elettricità e attrazione gravitazionale; la vita nutre la vita.”


Siamo a Cape Cod, paesino del Maine che qualcuno ricorda per la televisiva signora Fletcher (La signora in giallo).
E’ il 1925 quando Henry Beston si fa costruire una casa sulla spiaggia: cento anni fa.

Eccola la casa estrema.

description

Estrema per la posizione così pericolosamente vicina ai capricci delle maree.
Estrema nel suo minimalismo studiato per trascorrere qualche week end che poi diventa un anno.

«Fo’ castle», castello di prua. Questo il nome che B. dà alla casa che con dieci finestre che la circondano declamano il ruolo di chi ci abita.
Beston non è un turista per caso, non un avventuriero della domenica ma un vero e proprio osservatore.
Le dieci finestre sono i suoi occhi su ciò che lo circonda.

Queste pagine testimoniano ciò che vede nella natura circostante e chi pensasse che c’è poco da dire in un paesaggio che vede solo il passaggio delle stagioni si sbaglia di grosso.
La natura offre un ricco spettacolo e Beston ha saputo rendere partecipi i suoi lettori con descrizioni ancora oggi così cariche di emozioni.

Mi sono ritrovata molto nelle riflessioni fatte osservando gli uccelli: guardare l’ordine degli stormi che a volte sembra confuso eppure ha un suo muto senso, chiedersi dove vanno a ripararsi quando ci sono le tempeste.
Tutte considerazioni che ho fatto tante volte.

Invece una cosa a cui non avevo mai pensato è la varietà dei suoni del mare che solo ad un orecchio inesperto e superficiale (il mio ad esempio) può dirsi monotono ma invece è uno strumento con tante note a seconda di ogni sfumatura di vento.

Beston ci lasciato pagine meravigliose che oggi più che mai risuonano come monito.


..l’animale non va misurato con il metro dell’uomo. In un mondo più antico e perfetto del nostro gli animali si muovono completi, finiti, dotati di sensi che noi abbiamo perduto o forse mai avuto, e vivono di voci che noi mai udremo. Non sono né fratelli né esseri inferiori: sono altre nazioni, intrappolate con noi nella rete della vita e del tempo, nostri compagni di prigionia nello splendore e nel travaglio del pianeta.

Se solo avessimo cambiato questo sguardo quante cose sarebbero andate diversamente...

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3.95 1928 La casa estrema: Un anno di vita sulla grande spiaggia di Cape Cod
author: Henry Beston
name: Dagio_maya
average rating: 3.95
book published: 1928
rating: 4
read at: 2025/04/17
date added: 2025/04/17
shelves: real, classica
review:
”La vita è un’energia presente in natura al pari di elettricità e attrazione gravitazionale; la vita nutre la vita.”


Siamo a Cape Cod, paesino del Maine che qualcuno ricorda per la televisiva signora Fletcher (La signora in giallo).
E’ il 1925 quando Henry Beston si fa costruire una casa sulla spiaggia: cento anni fa.

Eccola la casa estrema.

description

Estrema per la posizione così pericolosamente vicina ai capricci delle maree.
Estrema nel suo minimalismo studiato per trascorrere qualche week end che poi diventa un anno.

«Fo’ castle», castello di prua. Questo il nome che B. dà alla casa che con dieci finestre che la circondano declamano il ruolo di chi ci abita.
Beston non è un turista per caso, non un avventuriero della domenica ma un vero e proprio osservatore.
Le dieci finestre sono i suoi occhi su ciò che lo circonda.

Queste pagine testimoniano ciò che vede nella natura circostante e chi pensasse che c’è poco da dire in un paesaggio che vede solo il passaggio delle stagioni si sbaglia di grosso.
La natura offre un ricco spettacolo e Beston ha saputo rendere partecipi i suoi lettori con descrizioni ancora oggi così cariche di emozioni.

Mi sono ritrovata molto nelle riflessioni fatte osservando gli uccelli: guardare l’ordine degli stormi che a volte sembra confuso eppure ha un suo muto senso, chiedersi dove vanno a ripararsi quando ci sono le tempeste.
Tutte considerazioni che ho fatto tante volte.

Invece una cosa a cui non avevo mai pensato è la varietà dei suoni del mare che solo ad un orecchio inesperto e superficiale (il mio ad esempio) può dirsi monotono ma invece è uno strumento con tante note a seconda di ogni sfumatura di vento.

Beston ci lasciato pagine meravigliose che oggi più che mai risuonano come monito.


..l’animale non va misurato con il metro dell’uomo. In un mondo più antico e perfetto del nostro gli animali si muovono completi, finiti, dotati di sensi che noi abbiamo perduto o forse mai avuto, e vivono di voci che noi mai udremo. Non sono né fratelli né esseri inferiori: sono altre nazioni, intrappolate con noi nella rete della vita e del tempo, nostri compagni di prigionia nello splendore e nel travaglio del pianeta.

Se solo avessimo cambiato questo sguardo quante cose sarebbero andate diversamente...


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La città e i cani 9794495 La ciudad y los perros - bruciato in piazza dai militari, considerato dalla critica il migliore tra i suoi romanzi, - fosse un romanzo «sulla violenza».
E la violenza - fisica e non - fa da sfondo al microcosmo del Collegio Leoncio Prado di Lima dove avviene l'educazione del protagonista-alter ego dell'autore. Un collegio retto da militari secondo una disciplina militare in cui confluiscono sia i figli delle classi inferiori ammessi per merito sia quelli delle classi alte mandati lì dalle famiglie nella speranza di domarli, e dove la sopraffazione, la forza bruta, il dispotismo sono le leggi della convivenza, a dispetto di regolamenti e norme. «Ero un bambino viziatissimo, presuntuosissimo, cresciuto, faccio per dire, come una bambina... Mio padre pensava che il Leoncio Prado avrebbe fatto di me un uomo, - ricorda Vargas Llosa, - ma per me fu come scoprire l'inferno».]]>
402 Mario Vargas Llosa 8806187686 Dagio_maya 4 «E’ per questo che sei un coglione,» dice Alberto.
«Lo sanno tutti che hai paura. Per farsi rispettare, di tanto in tanto bisogna menare le mani.
Se no sarai un fallito anche nella vita.»



Una gran fatica.
Mentirei se dicessi che ho letto senza sforzo.

Pubblicato nel 1963, La città e i cani è il romanzo di esordio del grandissimo scrittore Mario Vargas Llosa.

Protagonisti sono un gruppo di adolescenti che si ritrovano nel Collegio Militare Leoncio Prado.


"Era l’ultimo giorno d’estate e il cielo di Lima si stava rannuvolando; dopo aver bruciato le spiagge per tre mesi come un tizzone ardente, ora si stava preparando a un lungo sonno grigio. Venivano da tutti gli angoli del Perù; non si erano mai visti prima e ora formavano una massa compatta attonita davanti a quelle costruzioni di cemento il cui interno non conoscevano ancora."


Come si addice ad ogni adolescente, una tempesta di emozioni; nessuna mezza misura ma un’esplosione alla massima potenza fino a confondere gli opposti di amore ed odio anche come reazione alle privazioni dovute alla vita militare.

Le regole rigide ed impietose che gli uomini hanno eretto attorno al tempio del dio Marte sono macigni che i ragazzi caricano sulle giovani spalle rassegnandosi al fatto che non c’è altra via perché è solo «così che si diventa uomini!».

A parte un unico caso, tutti protagonisti entrano nel collegio sospinti dalle pesanti mani genitoriali («E’ per il tuo bene!»).
Nel momento stesso in cui varcano il cancello si perdono le tracce della loro infanzia ed umanità:
le reclute, infatti, sono “i cani” che come in una sorta di rinascita hanno bisogno di essere battezzati con continui e pesanti violenze fisiche e psicologiche.

Giorno dopo giorno, livido dopo livido ognuno cerca sacche di sopravvivenza.

Così Alberto Fernandez (alter ego di Vargas Llosa che frequentò veramente il Collegio Militare Leoncio Prado) detto il poeta proprio perché esercita la sua dote della scrittura vendendo tanto storielle pornografiche ad uso e consumo dei compagni o scrivendo lettere alle piccole fidanzate.

Cosi Ricardo Arana che non ha nulla a che fare con il machismo dominante e si sottomette tanto da essere chiamato lo Schiavo..

Non manca poi il leader naturale detto il Giaguaro, ragazzo di strada che alcune regole le ha dovute apprendere già fuori dalle mura del collegio.

Un incipit in media res (una partita clandestina a dadi) catapulta il lettore in questa storia che riga dopo riga compie salti di tempo e spazio così repentini da confondere, costringendo a ricominciare il paragrafo, salvo poi arrendersi alla confusione che sappiamo sarà snebbiata andando avanti [spoilers removed].


Nonostante tutta questa fatica, Llosa è capace d’incantarmi sia con dei guizzi descrittivi che mi lasciano senza fiato.
Ad esempio:

” Era l’ora ambigua, incerta, in cui la sera e la notte si equilibrano e quasi si neutralizzano. Una semiombra logorava la prospettiva delle camerate, rispettava i profili dei cadetti avvolti nei grossi pastrani, ma cancellava le loro fattezze, riduceva a uno stesso colore cenere il cortile che era grigio chiaro, i muri, il viale quasi bianco e il prato deserto.
Il chiarore ipocrita falsava anche il movimento e il rumore: tutti sembravano muoversi più in fretta o più piano nella luce moribonda e parlare tra i denti, mormorare o strillare, azzuffarsi.”



Sia per lo spessore che caratterizza questi giovani protagonisti che veramente non solo sono credibili ma figure reali.

Sia, infine, per quella che chiamerò "morale" della storia e che è poi in definitiva un vero e proprio atto di accusa verso un sistema che, ancora una volta, fa soccombere i più deboli.


"Poteva sopportare la solitudine e le umiliazioni che aveva imparato a conoscere fin da piccolo e che ferivano soltanto il suo spirito; ma non poteva sopportare la prigionia, quella gran solitudine esteriore che non aveva scelto, che qualcuno gli aveva imposto come una camicia di forza."

★★★½]]>
4.06 1962 La città e i cani
author: Mario Vargas Llosa
name: Dagio_maya
average rating: 4.06
book published: 1962
rating: 4
read at: 2024/11/17
date added: 2025/04/16
shelves: latinoamericana, classica, gdl
review:
«E’ per questo che sei un coglione,» dice Alberto.
«Lo sanno tutti che hai paura. Per farsi rispettare, di tanto in tanto bisogna menare le mani.
Se no sarai un fallito anche nella vita.»



Una gran fatica.
Mentirei se dicessi che ho letto senza sforzo.

Pubblicato nel 1963, La città e i cani è il romanzo di esordio del grandissimo scrittore Mario Vargas Llosa.

Protagonisti sono un gruppo di adolescenti che si ritrovano nel Collegio Militare Leoncio Prado.


"Era l’ultimo giorno d’estate e il cielo di Lima si stava rannuvolando; dopo aver bruciato le spiagge per tre mesi come un tizzone ardente, ora si stava preparando a un lungo sonno grigio. Venivano da tutti gli angoli del Perù; non si erano mai visti prima e ora formavano una massa compatta attonita davanti a quelle costruzioni di cemento il cui interno non conoscevano ancora."


Come si addice ad ogni adolescente, una tempesta di emozioni; nessuna mezza misura ma un’esplosione alla massima potenza fino a confondere gli opposti di amore ed odio anche come reazione alle privazioni dovute alla vita militare.

Le regole rigide ed impietose che gli uomini hanno eretto attorno al tempio del dio Marte sono macigni che i ragazzi caricano sulle giovani spalle rassegnandosi al fatto che non c’è altra via perché è solo «così che si diventa uomini!».

A parte un unico caso, tutti protagonisti entrano nel collegio sospinti dalle pesanti mani genitoriali («E’ per il tuo bene!»).
Nel momento stesso in cui varcano il cancello si perdono le tracce della loro infanzia ed umanità:
le reclute, infatti, sono “i cani” che come in una sorta di rinascita hanno bisogno di essere battezzati con continui e pesanti violenze fisiche e psicologiche.

Giorno dopo giorno, livido dopo livido ognuno cerca sacche di sopravvivenza.

Così Alberto Fernandez (alter ego di Vargas Llosa che frequentò veramente il Collegio Militare Leoncio Prado) detto il poeta proprio perché esercita la sua dote della scrittura vendendo tanto storielle pornografiche ad uso e consumo dei compagni o scrivendo lettere alle piccole fidanzate.

Cosi Ricardo Arana che non ha nulla a che fare con il machismo dominante e si sottomette tanto da essere chiamato lo Schiavo..

Non manca poi il leader naturale detto il Giaguaro, ragazzo di strada che alcune regole le ha dovute apprendere già fuori dalle mura del collegio.

Un incipit in media res (una partita clandestina a dadi) catapulta il lettore in questa storia che riga dopo riga compie salti di tempo e spazio così repentini da confondere, costringendo a ricominciare il paragrafo, salvo poi arrendersi alla confusione che sappiamo sarà snebbiata andando avanti [spoilers removed].


Nonostante tutta questa fatica, Llosa è capace d’incantarmi sia con dei guizzi descrittivi che mi lasciano senza fiato.
Ad esempio:

” Era l’ora ambigua, incerta, in cui la sera e la notte si equilibrano e quasi si neutralizzano. Una semiombra logorava la prospettiva delle camerate, rispettava i profili dei cadetti avvolti nei grossi pastrani, ma cancellava le loro fattezze, riduceva a uno stesso colore cenere il cortile che era grigio chiaro, i muri, il viale quasi bianco e il prato deserto.
Il chiarore ipocrita falsava anche il movimento e il rumore: tutti sembravano muoversi più in fretta o più piano nella luce moribonda e parlare tra i denti, mormorare o strillare, azzuffarsi.”



Sia per lo spessore che caratterizza questi giovani protagonisti che veramente non solo sono credibili ma figure reali.

Sia, infine, per quella che chiamerò "morale" della storia e che è poi in definitiva un vero e proprio atto di accusa verso un sistema che, ancora una volta, fa soccombere i più deboli.


"Poteva sopportare la solitudine e le umiliazioni che aveva imparato a conoscere fin da piccolo e che ferivano soltanto il suo spirito; ma non poteva sopportare la prigionia, quella gran solitudine esteriore che non aveva scelto, che qualcuno gli aveva imposto come una camicia di forza."

★★★½
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L'avaro 71588375 240 Molière 8807904101 Dagio_maya 4 classica, teatro, europea "Ahimè, il mio gruzzolo, il mio povero gruzzolo! il mio amico più caro!"


Andata in scena per la prima volta a al Palais-Royal di Parigi il 9 settembre 1668, la piéce de L'Avaro (in cinque atti) è tra le più rappresentate al mondo con sfumature differenti che vanno a favore a volte più della rappresentazione drammatica ed altre di quella più comica.

description

Arpagone (deriva dal greco arpax, arpagos – “rapace” – e poi dal latino harpago, harpagonis, che significa al contempo “uncino” e “ladro”) è un ricco vedovo noto per la sua estrema avarizia.

La storia prende l’avvio da un momento di debolezza del protagonista e cosa se non l’amore può far vacillare un uomo?
La passione per una ragazzina di nome Marianna fa perdere la bussola ad Arpagone ma per rimediare al fatto che questa non può permettersi una dote combina due matrimoni proficui per Elisa e Cleante i suoi due figli che, tuttavia, hanno altri programmi...

La forza del testo sta nel doppio che gioca non solo sulla atmosfere tragiche / farsesche ma sul duplice ruolo che ogni personaggio stesso interpreta perché l’intrigo si compia.

Una doppiezza chiara nel sottotitolo dell’opera, ossia: École du mensonge (Scuola della menzogna.)
Tutti mentono tranne, per l’appunto Arpagone che rimane fedele al suo vero amore: l’avere.
La vera sorpresa, per me, leggendo questo famoso testo della letteratura classica teatrale francese, è scoprire quanto Arpagone sia l’unico personaggio trasparente.



ARPAGONE (grida “al ladro” dal giardino ed entra senza cappello) Al ladro! al ladro! all’assassino! all’omicida! Giustizia, giusto Cielo! sono perduto, mi hanno assassinato, mi hanno tagliato la gola, mi hanno rubato i miei soldi. Chi può essere stato? Che fine ha fatto? Dov’è? Dove si nasconde? Come fare a trovarlo? Dove correre? Dove non correre? Non è qui? Non è lì? Chi è là? Fermati. Ridammi i miei soldi, mascalzone… (Prende se stesso per un braccio) Ah! sono io.]]>
4.07 1668 L'avaro
author: Molière
name: Dagio_maya
average rating: 4.07
book published: 1668
rating: 4
read at: 2025/04/12
date added: 2025/04/13
shelves: classica, teatro, europea
review:
"Ahimè, il mio gruzzolo, il mio povero gruzzolo! il mio amico più caro!"


Andata in scena per la prima volta a al Palais-Royal di Parigi il 9 settembre 1668, la piéce de L'Avaro (in cinque atti) è tra le più rappresentate al mondo con sfumature differenti che vanno a favore a volte più della rappresentazione drammatica ed altre di quella più comica.

description

Arpagone (deriva dal greco arpax, arpagos – “rapace” – e poi dal latino harpago, harpagonis, che significa al contempo “uncino” e “ladro”) è un ricco vedovo noto per la sua estrema avarizia.

La storia prende l’avvio da un momento di debolezza del protagonista e cosa se non l’amore può far vacillare un uomo?
La passione per una ragazzina di nome Marianna fa perdere la bussola ad Arpagone ma per rimediare al fatto che questa non può permettersi una dote combina due matrimoni proficui per Elisa e Cleante i suoi due figli che, tuttavia, hanno altri programmi...

La forza del testo sta nel doppio che gioca non solo sulla atmosfere tragiche / farsesche ma sul duplice ruolo che ogni personaggio stesso interpreta perché l’intrigo si compia.

Una doppiezza chiara nel sottotitolo dell’opera, ossia: École du mensonge (Scuola della menzogna.)
Tutti mentono tranne, per l’appunto Arpagone che rimane fedele al suo vero amore: l’avere.
La vera sorpresa, per me, leggendo questo famoso testo della letteratura classica teatrale francese, è scoprire quanto Arpagone sia l’unico personaggio trasparente.



ARPAGONE (grida “al ladro” dal giardino ed entra senza cappello) Al ladro! al ladro! all’assassino! all’omicida! Giustizia, giusto Cielo! sono perduto, mi hanno assassinato, mi hanno tagliato la gola, mi hanno rubato i miei soldi. Chi può essere stato? Che fine ha fatto? Dov’è? Dove si nasconde? Come fare a trovarlo? Dove correre? Dove non correre? Non è qui? Non è lì? Chi è là? Fermati. Ridammi i miei soldi, mascalzone… (Prende se stesso per un braccio) Ah! sono io.
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Le anime grigie 13484984 La voce narrante è il poliziotto del villaggio che, a vent'anni di distanza, ricostruisce queste vicende nella speranza di portare ordine, fare luce nella Storia e nel suo proprio passato. E scrive, per mantenersi in vita, dire la sua verità. Aiutato dai ricordi dei testimoni, lacerato dal rimorso e dal rimpianto, egli ripercorre quei giorni e la catena di eventi che li hanno preceduti e seguiti: l'orrore insensato della guerra e quei tragici delitti che non trovano spiegazione, entrambi espressioni del lato oscuro degli uomini.]]> 224 Philippe Claudel 8879287036 Dagio_maya 4 storica, gialla, europea "Sono caduto per terra. Sono caduto. Continuo a cadere.
Vivo soltanto in quella caduta. Ancora e sempre."




La forza delle atmosfere, la chirurgica presenza della penna di un Autore raffinato, la magistrale consistenza dei personaggi messi in scena, la storia in apparenza piana ma poi insidiosa con le sue curve cieche: questi alcuni degli ingredienti di Les Âmes grises (2003).

Un ritratto drammatico di un’epoca precisa che si muove negli anni terribili della prima guerra mondiale.
Il nucleo della storia si svolge in piccolo villaggio francese.
Il fronte non è lontano ma il paese, nonostante ne veda i segni e ne senta il tuonare dei cannoni, rimane come nascosto; una nicchia che racchiude altri drammi.


” Non so bene da dove cominciare. È molto difficile. C’è tutto questo tempo andato, che le parole non riacciufferanno mai, e così i volti, i sorrisi, le ferite. Ma bisogna pure che io cerchi di dire. Di dire ciò che da vent’anni mi rode l’animo. I rimorsi e le grandi domande. Bisogna che apra il mistero a coltellate come se fosse una pancia, e che vi immerga le mani, anche se questo non cambierà niente di niente.”


La voce narrante è quella di un poliziotto -di cui non conosceremo il nome- che ci accompagna in un racconto costruito su flashback e che, geograficamente, vaga tra il piccolo villaggio e la vicina città di V.

Tutto si attorciglia attorno a quello che viene chiamato il Caso, ossia il rinvenimento del cadavere di Bella di giorno, un bimba di soli dieci anni il cui soprannome richiama lo splendore della tenera età ma come il fiore destinato a durare poco.

Attorno a questa truce storia Claudel fa ruotare personaggi emblematici come:
il procuratore Pierre-Ange Destinat, ieratico e misterioso;
il giudice Mierck, cinico e più incline ai piaceri della tavola piuttosto che alla pietà umana;
Matziev, un colonnello (un Apollo graduato) a cui viene affidato il comando delle indagini ma che passa il tempo a fumare sigari e ad ascoltare sempre la stessa canzone al grammofono; Lysia Verhareine, incantevole e giovane maestra dal passato oscuro;
Clémence (moglie della voce narrante), giovane e bella e felice della sua avanzata gravidanza..


Ognuno di loro appartiene ad una drammatico microcosmo che contribuisce a dipingere un affresco a tinte fosche.

Il bianco, il Bene. Il nero, il Male ma nella realtà è il Grigio che domina.
In ognuno c’è bene e male.
Nelle nostre scelte, la tonalità di grigio che ci definisce..


«Carogne, santi, non ne ho mai visti. Niente è tutto nero o tutto bianco, è il grigio che la vince. Idem gli uomini e le loro anime… Sei un’anima grigia, graziosamente grigia, come noi tutti…»

★★★★½]]>
3.60 2003 Le anime grigie
author: Philippe Claudel
name: Dagio_maya
average rating: 3.60
book published: 2003
rating: 4
read at: 2025/04/09
date added: 2025/04/09
shelves: storica, gialla, europea
review:
"Sono caduto per terra. Sono caduto. Continuo a cadere.
Vivo soltanto in quella caduta. Ancora e sempre."




La forza delle atmosfere, la chirurgica presenza della penna di un Autore raffinato, la magistrale consistenza dei personaggi messi in scena, la storia in apparenza piana ma poi insidiosa con le sue curve cieche: questi alcuni degli ingredienti di Les Âmes grises (2003).

Un ritratto drammatico di un’epoca precisa che si muove negli anni terribili della prima guerra mondiale.
Il nucleo della storia si svolge in piccolo villaggio francese.
Il fronte non è lontano ma il paese, nonostante ne veda i segni e ne senta il tuonare dei cannoni, rimane come nascosto; una nicchia che racchiude altri drammi.


” Non so bene da dove cominciare. È molto difficile. C’è tutto questo tempo andato, che le parole non riacciufferanno mai, e così i volti, i sorrisi, le ferite. Ma bisogna pure che io cerchi di dire. Di dire ciò che da vent’anni mi rode l’animo. I rimorsi e le grandi domande. Bisogna che apra il mistero a coltellate come se fosse una pancia, e che vi immerga le mani, anche se questo non cambierà niente di niente.”


La voce narrante è quella di un poliziotto -di cui non conosceremo il nome- che ci accompagna in un racconto costruito su flashback e che, geograficamente, vaga tra il piccolo villaggio e la vicina città di V.

Tutto si attorciglia attorno a quello che viene chiamato il Caso, ossia il rinvenimento del cadavere di Bella di giorno, un bimba di soli dieci anni il cui soprannome richiama lo splendore della tenera età ma come il fiore destinato a durare poco.

Attorno a questa truce storia Claudel fa ruotare personaggi emblematici come:
il procuratore Pierre-Ange Destinat, ieratico e misterioso;
il giudice Mierck, cinico e più incline ai piaceri della tavola piuttosto che alla pietà umana;
Matziev, un colonnello (un Apollo graduato) a cui viene affidato il comando delle indagini ma che passa il tempo a fumare sigari e ad ascoltare sempre la stessa canzone al grammofono; Lysia Verhareine, incantevole e giovane maestra dal passato oscuro;
Clémence (moglie della voce narrante), giovane e bella e felice della sua avanzata gravidanza..


Ognuno di loro appartiene ad una drammatico microcosmo che contribuisce a dipingere un affresco a tinte fosche.

Il bianco, il Bene. Il nero, il Male ma nella realtà è il Grigio che domina.
In ognuno c’è bene e male.
Nelle nostre scelte, la tonalità di grigio che ci definisce..


«Carogne, santi, non ne ho mai visti. Niente è tutto nero o tutto bianco, è il grigio che la vince. Idem gli uomini e le loro anime… Sei un’anima grigia, graziosamente grigia, come noi tutti…»

★★★★½
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Sillabe di fuoco 56974000 143 Gabriela Mistral 885878930X Dagio_maya 3 poesia, latinoamericana Questa lunga stanchezza sarà più intensa un giorno


Una silloge che raccoglie i componimenti della poetessa cilena Gabriela Mistral (pseudonimo di Lucila Godoy Alcayaga) che vanno dal 1922 al 1967 (quest'ultimi sono postumi).
Quarant'anni in cui è possibile scorgere un'evoluzione poetica che rimane fedele alla propria terra.

La Mistral fu la prima letterata latina ad ottenere un Premio Nobel che le fu assegnato nel 1945 con questa motivazione:
“Per la sua opera lirica che, ispirata da potenti emozioni, ha reso il suo nome un simbolo delle aspirazioni idealiste di tutto il mondo latinoamericano.”

Potenti emozioni che scaturiscono dalle sillabe di fuoco che personalmente mi hanno colpito solo a tratti forse per una mancata assonanza su alcuni temi (ad esempio quelli religiosi).

Leggere è sempre qualcosa di molto personale.
Leggere poesia è qualcosa di molto intimo e nel mio intimo ad esempio sono entrati questi versi

1
Amo le cose che mai ho avuto
con le altre che ormai non ho:
Io tocco un’acqua silenziosa,
ferma su pascoli di freddo,
che senza alcun vento tremava
nel vuoto che era il mio orto.
La guardo come la guardavo:
mi reca uno strano pensiero,
e gioco, lenta, con quest’acqua
di pesci o di mistero densa.
2
Penso all’uscio dove ho lasciato
passi allegri che più non compio,
sull’uscio vedo una ferita
piena di muschio e di silenzio.
3
Ritrovo un verso ormai perduto,
che a sette anni avevo udito
da donna che faceva il pane,
e la sua santa bocca vedo.
4
Giunge un aroma rotto in raffiche;
sono assai allegra se lo sento;
così magro che non è aroma,
ma solo l’odore dei mandorli.
Rende bambini i miei sensi;
ne cerco il nome e non lo trovo,
e annuso invano l’aria e i luoghi
cercando mandorli scomparsi.
5
Un fiume suona qui vicino.
È quarant’anni che lo sento.
È cantilena del mio sangue
o forse un ritmo avuto in sorte.
O il fiume Elqui, dell’infanzia
che ho guadato e che ho risalito.
Mai io lo perdo; stretti stretti,
come bambini, ci teniamo.
6
Quando sogno la Cordigliera,
cammino lungo le sue gole,
e di esse odo, senza tregua,
un fischio, quasi un giuramento.


Cosas- Cose- 1938



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3.17 Sillabe di fuoco
author: Gabriela Mistral
name: Dagio_maya
average rating: 3.17
book published:
rating: 3
read at: 2025/04/06
date added: 2025/04/06
shelves: poesia, latinoamericana
review:
Questa lunga stanchezza sarà più intensa un giorno


Una silloge che raccoglie i componimenti della poetessa cilena Gabriela Mistral (pseudonimo di Lucila Godoy Alcayaga) che vanno dal 1922 al 1967 (quest'ultimi sono postumi).
Quarant'anni in cui è possibile scorgere un'evoluzione poetica che rimane fedele alla propria terra.

La Mistral fu la prima letterata latina ad ottenere un Premio Nobel che le fu assegnato nel 1945 con questa motivazione:
“Per la sua opera lirica che, ispirata da potenti emozioni, ha reso il suo nome un simbolo delle aspirazioni idealiste di tutto il mondo latinoamericano.”

Potenti emozioni che scaturiscono dalle sillabe di fuoco che personalmente mi hanno colpito solo a tratti forse per una mancata assonanza su alcuni temi (ad esempio quelli religiosi).

Leggere è sempre qualcosa di molto personale.
Leggere poesia è qualcosa di molto intimo e nel mio intimo ad esempio sono entrati questi versi

1
Amo le cose che mai ho avuto
con le altre che ormai non ho:
Io tocco un’acqua silenziosa,
ferma su pascoli di freddo,
che senza alcun vento tremava
nel vuoto che era il mio orto.
La guardo come la guardavo:
mi reca uno strano pensiero,
e gioco, lenta, con quest’acqua
di pesci o di mistero densa.
2
Penso all’uscio dove ho lasciato
passi allegri che più non compio,
sull’uscio vedo una ferita
piena di muschio e di silenzio.
3
Ritrovo un verso ormai perduto,
che a sette anni avevo udito
da donna che faceva il pane,
e la sua santa bocca vedo.
4
Giunge un aroma rotto in raffiche;
sono assai allegra se lo sento;
così magro che non è aroma,
ma solo l’odore dei mandorli.
Rende bambini i miei sensi;
ne cerco il nome e non lo trovo,
e annuso invano l’aria e i luoghi
cercando mandorli scomparsi.
5
Un fiume suona qui vicino.
È quarant’anni che lo sento.
È cantilena del mio sangue
o forse un ritmo avuto in sorte.
O il fiume Elqui, dell’infanzia
che ho guadato e che ho risalito.
Mai io lo perdo; stretti stretti,
come bambini, ci teniamo.
6
Quando sogno la Cordigliera,
cammino lungo le sue gole,
e di esse odo, senza tregua,
un fischio, quasi un giuramento.


Cosas- Cose- 1938




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La scala di ferro 28815781 179 Georges Simenon 8845930505 Dagio_maya 4 gialla, classica, europea ” Dopodiché, ancora un momento di silenzio, di vuoto.
Finalmente lui sentì vibrare il primo gradino della scala di ferro...”



Louise ed Étienne sono sposati da quindici anni.
Una coppia chiusa nelle proprie abitudini che ha stabilito un’intesa fatta di sguardi e comportamenti che non hanno bisogno di parole.

description

La scala di ferro, assieme ad un tubo acustico posto in cucina, collega la cartoleria del piano di sotto alla loro casa.

Tutto sembra procedere bene finché un giorno, dopo una serie di malesseri, Étienne comincia ad avere il sospetto che qualcosa sia cambiato.


Il dubbio si moltiplica e diventa una tormentosa ossessione che nutre le ore di quella vita che non è più così pacifica.
Il silenzio che prima era la rassicurante certezza d’intendersi si trasforma in qualcosa di doloroso e letale.

Le parole feriscono ma i silenzi, spesso, uccidono.

Torbido, perverso Simenon, maestro di drammi occultati tra le quattro mura di una qualsiasi casa borghese.

”Erano stati due solitari che, ansiosi solo di rendere sempre più profonda la loro solitudine, avevano ridotto l’universo al loro appartamento, alla loro camera, al loro letto,”]]>
3.89 1953 La scala di ferro
author: Georges Simenon
name: Dagio_maya
average rating: 3.89
book published: 1953
rating: 4
read at: 2021/10/03
date added: 2025/03/28
shelves: gialla, classica, europea
review:

” Dopodiché, ancora un momento di silenzio, di vuoto.
Finalmente lui sentì vibrare il primo gradino della scala di ferro...”



Louise ed Étienne sono sposati da quindici anni.
Una coppia chiusa nelle proprie abitudini che ha stabilito un’intesa fatta di sguardi e comportamenti che non hanno bisogno di parole.

description

La scala di ferro, assieme ad un tubo acustico posto in cucina, collega la cartoleria del piano di sotto alla loro casa.

Tutto sembra procedere bene finché un giorno, dopo una serie di malesseri, Étienne comincia ad avere il sospetto che qualcosa sia cambiato.


Il dubbio si moltiplica e diventa una tormentosa ossessione che nutre le ore di quella vita che non è più così pacifica.
Il silenzio che prima era la rassicurante certezza d’intendersi si trasforma in qualcosa di doloroso e letale.

Le parole feriscono ma i silenzi, spesso, uccidono.

Torbido, perverso Simenon, maestro di drammi occultati tra le quattro mura di una qualsiasi casa borghese.

”Erano stati due solitari che, ansiosi solo di rendere sempre più profonda la loro solitudine, avevano ridotto l’universo al loro appartamento, alla loro camera, al loro letto,”
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Eugénie Grandet 17201838 178 Honoré de Balzac 8811580250 Dagio_maya 4 classica, europea Il mestiere dell’avaro

Fisionomie, amori, giuramenti, dispiaceri e per finire “così va il mondo”.
In mezzo un cugino bellissimo.
Di quella bellezza che solo i parigini sembrano avere: un’aurea da intoccabili adoni, plateali don Giovanni che nonostante la sfrontata ricerca di una rendita cospicua vengono perdonati ed accolti.

Un incipit così, vi basta per farvi capire da subito dove vi state andando a caccciare?

” In alcune città di provincia si trovano delle case la cui vista ispira una malinconia pari a quella che destano i chiostri più tetri, le lande più brulle e le rovine più tristi. Forse in queste case sono presenti allo stesso tempo il silenzio del chiostro, l’aridità delle lande e l’ossatura delle rovine: la vita e il movimento sono così placidi che uno straniero le potrebbe credere disabitate, se all’improvviso non incontrasse lo sguardo spento e freddo di una persona immobile la cui figura per metà monastica si affacci dal davanzale della finestra, al rumore di un passo sconosciuto. Questi principi di malinconia sono presenti nella fisionomia di una casa situata a Saumur,

Saumur, per l’appunto è il luogo dove si svolge questa storia.


Qui abita Grandet, vignaiolo arricchito e di un’avarizia leggendaria a cui moglie, figlia e serva sono sottomesse giorno dopo giorno in stanze buie, fredde e con il cibo contato.

Una storia talmente tragica da sembrare comica nel solco di quella grande discrepanza tra vita di provincia, fatta di risparmi, e i tentacoli della Parigi avida e corruttrice.

I due poli si muovono ai loro estremi: da un lato l’ossessione di accumulare l’oro, dall’altro quella di spendere e spandere il più possibile.

Un gioco degli eccessi a cui la giovane Eugénie si sottomette con una spiazzante ingenuità:

”Non c’è una delle sue felicità che non provenga dall’ignoranza.”

Forse il cugino Charles sarà colui che la farà aprire gli occhi?


Sono convinta che molti (non tutti) nascono con uno scopo.
Balzac è nato per lasciarci questa meraviglia..

”Nella pura e monotona vita delle fanciulle giunge un’ora deliziosa in cui il sole diffonde i propri raggi nella loro anima, dove il fiore esprime loro dei pensieri, e le palpitazioni del cuore comunicano al cervello la loro calda potenza fecondatrice, e fondono le idee in un vago desiderio; giorno d’innocente malinconia e di soavi gioie! Quando i bambini cominciano a vedere sorridono, quando una fanciulla intravede il sentimento della natura, sorride come sorrideva da bambina. Se la luce è il primo amore della vita, l’amore non è la luce del cuore? Per Eugénie era giunto il momento di vedere con chiarezza le cose di questo mondo. “

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3.75 1833 Eugénie Grandet
author: Honoré de Balzac
name: Dagio_maya
average rating: 3.75
book published: 1833
rating: 4
read at: 2025/03/19
date added: 2025/03/20
shelves: classica, europea
review:

Il mestiere dell’avaro

Fisionomie, amori, giuramenti, dispiaceri e per finire “così va il mondo”.
In mezzo un cugino bellissimo.
Di quella bellezza che solo i parigini sembrano avere: un’aurea da intoccabili adoni, plateali don Giovanni che nonostante la sfrontata ricerca di una rendita cospicua vengono perdonati ed accolti.

Un incipit così, vi basta per farvi capire da subito dove vi state andando a caccciare?

” In alcune città di provincia si trovano delle case la cui vista ispira una malinconia pari a quella che destano i chiostri più tetri, le lande più brulle e le rovine più tristi. Forse in queste case sono presenti allo stesso tempo il silenzio del chiostro, l’aridità delle lande e l’ossatura delle rovine: la vita e il movimento sono così placidi che uno straniero le potrebbe credere disabitate, se all’improvviso non incontrasse lo sguardo spento e freddo di una persona immobile la cui figura per metà monastica si affacci dal davanzale della finestra, al rumore di un passo sconosciuto. Questi principi di malinconia sono presenti nella fisionomia di una casa situata a Saumur,

Saumur, per l’appunto è il luogo dove si svolge questa storia.


Qui abita Grandet, vignaiolo arricchito e di un’avarizia leggendaria a cui moglie, figlia e serva sono sottomesse giorno dopo giorno in stanze buie, fredde e con il cibo contato.

Una storia talmente tragica da sembrare comica nel solco di quella grande discrepanza tra vita di provincia, fatta di risparmi, e i tentacoli della Parigi avida e corruttrice.

I due poli si muovono ai loro estremi: da un lato l’ossessione di accumulare l’oro, dall’altro quella di spendere e spandere il più possibile.

Un gioco degli eccessi a cui la giovane Eugénie si sottomette con una spiazzante ingenuità:

”Non c’è una delle sue felicità che non provenga dall’ignoranza.”

Forse il cugino Charles sarà colui che la farà aprire gli occhi?


Sono convinta che molti (non tutti) nascono con uno scopo.
Balzac è nato per lasciarci questa meraviglia..

”Nella pura e monotona vita delle fanciulle giunge un’ora deliziosa in cui il sole diffonde i propri raggi nella loro anima, dove il fiore esprime loro dei pensieri, e le palpitazioni del cuore comunicano al cervello la loro calda potenza fecondatrice, e fondono le idee in un vago desiderio; giorno d’innocente malinconia e di soavi gioie! Quando i bambini cominciano a vedere sorridono, quando una fanciulla intravede il sentimento della natura, sorride come sorrideva da bambina. Se la luce è il primo amore della vita, l’amore non è la luce del cuore? Per Eugénie era giunto il momento di vedere con chiarezza le cose di questo mondo. “


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<![CDATA[The Incredible Nellie Bly: Journalist, Investigator, Feminist, and Philanthropist]]> 54776164 A visual biography of the groundbreaking investigative journalist

Born in 1864, Nellie Bly was a woman who did not allow herself to be defined by the time she lived in, she rewrote the narrative and made her own way.
Luciana Cimino’s meticulously researched graphic-novel biography tells Bly’s story through Miriam, a fictionalized female student at the Columbia School of Journalism in 1921. While interviewing the famous journalist, Miriam learns not only about Bly's more sensational adventures, but also about her focus on self-reliance from an early age, the scathing letter to the editor that jump-started her career as a newspaper columnist, and her dedication to the empowerment of women. In fact, in 1884, Bly was one of the few journalists who interviewed Belva Ann Lockwood, who was the first woman candidate for a presidential election—a contest that was ultimately won by Grover Cleveland—and Bly predicted correctly that women would not get the vote until 1920.
Of course Bly’s most well-known exploits are also covered—how she pretended to be mad in order to get institutionalized so she could carry out an undercover investigation in an insane asylum, and Bly's greatest feat of all, her journey around the world in 72 days—alone—which was unthinkable for a woman in the late 19th century. As Miriam learns more of Bly's story, she realizes that the most important stories are necessarily the ones with the most dramatic headlines, but the ones that, in Nellie’s words, “come from a deep feeling.”
This beautifully executed graphic novel paints a portrait of a woman who defied societal expectations—not only with her investigative journalism, but with her keen mind for industry, and her original inventions.
 ]]>
144 Luciana Cimino 1419750178 Dagio_maya 4 alfemminile, graphic-novel Non a caso, nel 1998 il suo nome è stato inserito nel National Women's Hall of Fame.
La caparbietà con cui s’inserì nel settore giornalistico dove ben presto s’intuì quanto fosse sprecata per le sole pagine di moda e società.

La Bly condusse vere e proprie azioni investigative perché il suo scrivere non era mai fine a se stesso ma mirava a smuovere quel macigno d’ingiustizie che schiacciava quotidianamente le donne povere.

description

Questa meravigliosa biografia grafica, edita dalla casa editrice tunué ci accompagna nei momenti salienti di questa vita tumultuosa come, ad esempio quando s’infiltrò tra le internate del manicomio di Blackwell (vedi "Dieci giorni in manicomio)e alternando la sua storia a quella di Miriam, una ragazza degli anni ’20 che vorrebbe intraprendere la carriera giornalistica scontrandosi con i molti ostacoli.

La sua svolta potrebbe essere quella di intervistare la famosa Nellie Bly, pioniera del giornalismo. Negli anni ’20 le donne, nonostante il suo esempio, sono di nuovo relegate alle tematiche più frivole.

Un’ottima graphic novel per conoscere le imprese di questa meravigliosa donna
description]]>
3.62 2019 The Incredible Nellie Bly: Journalist, Investigator, Feminist, and Philanthropist
author: Luciana Cimino
name: Dagio_maya
average rating: 3.62
book published: 2019
rating: 4
read at: 2023/09/06
date added: 2025/03/19
shelves: alfemminile, graphic-novel
review:
La naturalezza con cui Elizabeth Jane Cochran (1864-1922), al secolo Nellie Bly, affrontò le convenzioni sociali colpisce anche per l’energia che dedicò a tutte le sue imprese.
Non a caso, nel 1998 il suo nome è stato inserito nel National Women's Hall of Fame.
La caparbietà con cui s’inserì nel settore giornalistico dove ben presto s’intuì quanto fosse sprecata per le sole pagine di moda e società.

La Bly condusse vere e proprie azioni investigative perché il suo scrivere non era mai fine a se stesso ma mirava a smuovere quel macigno d’ingiustizie che schiacciava quotidianamente le donne povere.

description

Questa meravigliosa biografia grafica, edita dalla casa editrice tunué ci accompagna nei momenti salienti di questa vita tumultuosa come, ad esempio quando s’infiltrò tra le internate del manicomio di Blackwell (vedi "Dieci giorni in manicomio)e alternando la sua storia a quella di Miriam, una ragazza degli anni ’20 che vorrebbe intraprendere la carriera giornalistica scontrandosi con i molti ostacoli.

La sua svolta potrebbe essere quella di intervistare la famosa Nellie Bly, pioniera del giornalismo. Negli anni ’20 le donne, nonostante il suo esempio, sono di nuovo relegate alle tematiche più frivole.

Un’ottima graphic novel per conoscere le imprese di questa meravigliosa donna
description
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<![CDATA[Amico fragile: Fabrizio de André]]> 52653882 Italian 254 Cesare G. Romana 8862310684 Dagio_maya 4 nonfiction, italiana La mia sintonia è sempre stata su frequenze musicali (molto più) rock.
Mi sono avvicinata al cantautore genovese principalmente per i suoi testi scoprendo una grande affinità soprattutto inerente all’Idea anarchica.

“Amico fragile” è il titolo di una sua canzone del 1975, titolo che il giornalista e caro amico Cesare G. Romana scelse per questo ritratto biografico.

Si procede dall’infanzia alla morte e si procede per temi (la guerra, la gente per bene, i randagi…) in cui il lettore è accompagnato alla conoscenza principalmente dell’uomo e attraverso gli amori, la famiglia, le amicizie e tutto il contesto della Genova balorda dei vicoli, dei bar e dei bordelli fino alle sale d’incisioni e la case discografiche.

De Andrè figlio di un imprenditore e politico così avverso alle logiche dei partiti e, per contro, così attento e sensibile all’umanità e alle ingiustizie.
Una figura molto spesso mitizzata nonostante lui esibisse come sua peculiarità il suo essere in continua contraddizione e quindi non un essere senza macchia.

Molto belle le pagine che riguardano il sequestro.
«Mi sentivo un soggetto osservatore più che una vittima»

Un itinerario veramente molto interessante e in cui la voce del giornalista e quella del cantante sembrano fondersi: intervistato e intervistatore hanno un’unica voce.]]>
4.33 1991 Amico fragile: Fabrizio de André
author: Cesare G. Romana
name: Dagio_maya
average rating: 4.33
book published: 1991
rating: 4
read at: 2025/03/15
date added: 2025/03/16
shelves: nonfiction, italiana
review:
Non sono una seguace di De Andrè da tempo immemore.
La mia sintonia è sempre stata su frequenze musicali (molto più) rock.
Mi sono avvicinata al cantautore genovese principalmente per i suoi testi scoprendo una grande affinità soprattutto inerente all’Idea anarchica.

“Amico fragile” è il titolo di una sua canzone del 1975, titolo che il giornalista e caro amico Cesare G. Romana scelse per questo ritratto biografico.

Si procede dall’infanzia alla morte e si procede per temi (la guerra, la gente per bene, i randagi…) in cui il lettore è accompagnato alla conoscenza principalmente dell’uomo e attraverso gli amori, la famiglia, le amicizie e tutto il contesto della Genova balorda dei vicoli, dei bar e dei bordelli fino alle sale d’incisioni e la case discografiche.

De Andrè figlio di un imprenditore e politico così avverso alle logiche dei partiti e, per contro, così attento e sensibile all’umanità e alle ingiustizie.
Una figura molto spesso mitizzata nonostante lui esibisse come sua peculiarità il suo essere in continua contraddizione e quindi non un essere senza macchia.

Molto belle le pagine che riguardano il sequestro.
«Mi sentivo un soggetto osservatore più che una vittima»

Un itinerario veramente molto interessante e in cui la voce del giornalista e quella del cantante sembrano fondersi: intervistato e intervistatore hanno un’unica voce.
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<![CDATA[I testi e gli spartiti di tutte le canzoni]]> 40951835 302 Fabrizio De André 8804465611 Dagio_maya 5 "
Un uomo onesto, un uomo probo
Tralalalalla tralallalero
S'innamorò perdutamente
D'una che non lo amava niente."



Centoquattordici testi con relativi spartiti e non sono certo tutta la produzione di De Andrè ma quasi ci siamo.

De Andrè poeta per quella capacità di legare parole, ritmo, immagini e questo anche nella concezione generale degli album (detti, per l’appunto, concettuali) che seppur composti da canzoni indipendenti ed autonome si legavano ad una medesima storia.

Ad esempio nel 1973 pubblicò: “ Storia di un impiegato .

Un impiegato, dopo aver sentito, una canzone del Maggio Francese decide di ribellarsi e l’album segue questo percorso.
Come ne Al Ballo Mascherato, dove l’impiegato sogna di far saltare tutti i simboli del potere.
Il ballo in maschera è l’evento dove i potenti nascondono il vero volto, la vera natura è nascosta dietro una facciata.

Centoquattordici testi e quindi centoquattordici storie.

Da due mesi leggo e rileggo queste pagine e trovo impossibile eleggere una sola canzone, un solo verso significativo come il migliore per me.

Farò quindi un torto scegliendo qualche brano a discapito di tanti altri.

“Città vecchia” , ad esempio, che parla della Genova dei bassifondi introducendola così:

” Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi
Ha già troppi impegni per scaldar la gente d'altri paraggi”


Per concludere così:

” Se t'inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli
In quell'aria spessa, carica di sale, gonfia di odori
Lì ci troverai i ladri, gli assassini e il tipo strano
Quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano
Se tu penserai e giudicherai da buon borghese
Li condannerai a cinquemila anni più le spese
Ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
Se non sono gigli, son pur sempre figli, vittime di questo mondo”


Oppure – la meno conosciuta (credo)- “Coda di lupo” che fa riferimento al fallimento della rivolta sessantottina:


” E forse avevo diciott'anni e non puzzavo più di serpente
Possedevo una spranga un cappello e una fionda
E una notte di gala con un sasso a punta
Uccisi uno smoking e glielo rubai
E al Dio della scala non credere mai “



E concluderei con “Quello che non ho” più che altro perché da giorni mi martella in testa:


” Quello che non ho è una camicia bianca
Quello che non ho è un segreto in banca
Quello che non ho sono le tue pistole
Per conquistarmi il cielo per guadagnarmi il sole
Quello che non ho è di farla franca
Quello che non ho è quel che non mi manca
Quello che non ho sono le tue parole
Per guadagnarmi il cielo per conquistarmi il sole
Quello che non ho è un orologio avanti
Per correre più in fretta e avervi più distanti
Quello che non ho è un treno arrugginito
Che mi riporti indietro da dove sono partito
Quello che non ho sono i tuoi denti d'oro
Quello che non ho è un pranzo di lavoro
Quello che non ho è questa prateria
Per correre più forte della malinconia
Quello che non ho sono le mani in pasta
Quello che non ho è un indirizzo in tasca
Quello che non ho sei tu dalla mia parte
Quello che non ho è di fregarti a carte
Quello che non ho è una camicia bianca
Quello che non ho è di farla franca
Quello che non ho sono le sue pistole
Per conquistarmi il cielo per guadagnarmi il sole
Quello che non ho”


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4.83 I testi e gli spartiti di tutte le canzoni
author: Fabrizio De André
name: Dagio_maya
average rating: 4.83
book published:
rating: 5
read at: 2025/03/16
date added: 2025/03/16
shelves:
review:
"
Un uomo onesto, un uomo probo
Tralalalalla tralallalero
S'innamorò perdutamente
D'una che non lo amava niente."



Centoquattordici testi con relativi spartiti e non sono certo tutta la produzione di De Andrè ma quasi ci siamo.

De Andrè poeta per quella capacità di legare parole, ritmo, immagini e questo anche nella concezione generale degli album (detti, per l’appunto, concettuali) che seppur composti da canzoni indipendenti ed autonome si legavano ad una medesima storia.

Ad esempio nel 1973 pubblicò: “ Storia di un impiegato .

Un impiegato, dopo aver sentito, una canzone del Maggio Francese decide di ribellarsi e l’album segue questo percorso.
Come ne Al Ballo Mascherato, dove l’impiegato sogna di far saltare tutti i simboli del potere.
Il ballo in maschera è l’evento dove i potenti nascondono il vero volto, la vera natura è nascosta dietro una facciata.

Centoquattordici testi e quindi centoquattordici storie.

Da due mesi leggo e rileggo queste pagine e trovo impossibile eleggere una sola canzone, un solo verso significativo come il migliore per me.

Farò quindi un torto scegliendo qualche brano a discapito di tanti altri.

“Città vecchia” , ad esempio, che parla della Genova dei bassifondi introducendola così:

” Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi
Ha già troppi impegni per scaldar la gente d'altri paraggi”


Per concludere così:

” Se t'inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli
In quell'aria spessa, carica di sale, gonfia di odori
Lì ci troverai i ladri, gli assassini e il tipo strano
Quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano
Se tu penserai e giudicherai da buon borghese
Li condannerai a cinquemila anni più le spese
Ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
Se non sono gigli, son pur sempre figli, vittime di questo mondo”


Oppure – la meno conosciuta (credo)- “Coda di lupo” che fa riferimento al fallimento della rivolta sessantottina:


” E forse avevo diciott'anni e non puzzavo più di serpente
Possedevo una spranga un cappello e una fionda
E una notte di gala con un sasso a punta
Uccisi uno smoking e glielo rubai
E al Dio della scala non credere mai “



E concluderei con “Quello che non ho” più che altro perché da giorni mi martella in testa:


” Quello che non ho è una camicia bianca
Quello che non ho è un segreto in banca
Quello che non ho sono le tue pistole
Per conquistarmi il cielo per guadagnarmi il sole
Quello che non ho è di farla franca
Quello che non ho è quel che non mi manca
Quello che non ho sono le tue parole
Per guadagnarmi il cielo per conquistarmi il sole
Quello che non ho è un orologio avanti
Per correre più in fretta e avervi più distanti
Quello che non ho è un treno arrugginito
Che mi riporti indietro da dove sono partito
Quello che non ho sono i tuoi denti d'oro
Quello che non ho è un pranzo di lavoro
Quello che non ho è questa prateria
Per correre più forte della malinconia
Quello che non ho sono le mani in pasta
Quello che non ho è un indirizzo in tasca
Quello che non ho sei tu dalla mia parte
Quello che non ho è di fregarti a carte
Quello che non ho è una camicia bianca
Quello che non ho è di farla franca
Quello che non ho sono le sue pistole
Per conquistarmi il cielo per guadagnarmi il sole
Quello che non ho”



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Una come lei e altre poesie 203320318 48 Anne Sexton 8862261322 Dagio_maya 4 poesia, classica, americana "Ero stanca di essere una donna.."

Venti componimenti (di cui circa sette li avevo già letti neIl libro della follia) che ci restituiscono perfettamente la complessità di quest'autrice: profana e poi attenta alla spiritualità (sono le produzioni degli ultimi periodi); riflessiva ed impulsiva..

Apre la raccolta “Come lei ” del 1960.

Mi colpisce perché Sexton mi riporta a qualcosa a cui ho spesso pensato:
come doveva sentirsi una donna che in altre epoche non riusciva a stare negli schemi?

Sexton usa l’immagine della strega per collegare lo stato di solitudine in cui le donne comunque sono state storicamente relegate.
Sia che partecipino alla recita sociale sia che non lo facciano, in ogni caso si è una donna incompresa .

Dal momento in cui si nega ad una persona la possibilità di essere se stessa incomincia un dramma.
Una tragedia che dalla nascita ha colpito le donne a cui erano affidati copioni scritti da mani maschili e a cui non ci si poteva sottrarre se non pagando la pena dell’esclusione.

Così la strega della poesia vola sulle case di notte, osserva da lontano le altrui vite, si nasconde in caverne che riscalda con il suo amore, fino al momento in cui sarà messa al rogo:
” Una donna così non si vergogna di morire.
Sono stata come lei.


Segue: Suonare le campane” in cui si sofferma sul ricordo dell’attività musicale nella clinica psichiatrica*:


” Suonano le campane a *Bedlam
e questa è la signora delle campane
che viene tutti i martedì mattina
per darci una lezione di musica
e perché gli assistenti ci fanno andare
e perché ci importa per istinto,
come api intrappolate nell’alveare sbagliato,
siamo il circolo delle pazze

che siedono nella sala della clinica psichiatrica
e sorridono alla donna sorridente
che passa a ciascuna una campanella,”


Il terzo componimento è titolato: ”Lettera scritta sul ferry mentre attraversavo lo stretto di Long Island” con un attacco ad effetto:

” Mi stupisce vedere
che l'oceano è ancora qui
ora me ne sto andando
e ho strappato la mia mano
dalla tua mano come avevo detto
e ce l’ho fatta fin qui
come avevo detto
e sono sul ponte ora
stringendo il mio portafoglio, le mie sigarette
e le chiavi dell’auto
alle due di un martedì
di agosto del 1960”


Quarta poesia: In compagnia degli angeli

Ero stanca di essere una donna,
stanca di cucchiai e pentole,
stanca della mia bocca e dei miei seni,
stanca di trucchi e sete.
Alla mia tavola c'erano ancora uomini seduti,
raccolti intorno alla coppa che offrivo.
La coppa era piena di chicchi d'uva viola
e vi ronzavano attorno mosche per l’odore
e anche mio padre giunse col suo osso bianco.
io però ero stanca del genere delle cose.

La notte scorsa ho fatto un sogno
e gli ho detto...
“Tu sei la risposta.
Tu sopravvivrai a mio marito e a mio padre”.
Nel sogno c'era una città di catene
dove Giovanna fu messa a morte in abiti maschili
e la natura degli angeli non era spiegata,
non c'erano due della stessa specie,
chi col naso, chi con l’orecchio in mano,
ognuno obbediente a se stesso come un poema,
facendo le veci di Dio,
un popolo differente.

“Tu sei la risposta”,
dissi, ed entrai,
sdraiata alle porte della città.
Poi fui messa in catene
e persi il mio genere e l’aspetto finale.
Adamo era alla mia sinistra,
Eva era alla mia destra,
entrambi in contrasto con il mondo razionale.
Intrecciamo le braccia
e cavalcammo sotto il sole.
Non ero più donna,
né una cosa né l'altra.

O figlie di Gerusalemme,
il re mi ha condotto nelle sue stanze.
Sono nera e bella,
Sono stata aperta e spogliata.
Non ho né braccia né gambe.
Sono tutta pelle come un pesce.
Non sono più donna
di quanto Gesù fosse uomo.”



Leggendo i primi versi mi è venuto in mente l'incipit di un racconto di Grace Paley intitolato Allevatori di ragazzini di seconda mano :


” C’erano due mariti scontenti delle uova.
In quel modo non piacciono neanche a me, dissi. Fatevele da soli. Loro sospirarono all’unisono. Uno era livido; uno era pallido.
Qui non c’è neanche niente da bere, vero?, domandò Livido.
Ma quando mai, disse Pallido. Non stare a cercare; ’sta casa è un deserto. Spinse via le uova, disgusto e dolore il suo blasone.
Livido disse: No, ma davvero non c’è niente? Una birra?, speranzoso.
Niente, disse Pallido, che aveva già passato in rassegna dispense, armadietti e frigoriferi in cerca di una camicia bianca.

Credo nella diaspora, non solo come fatto ma come concetto. Sono contro Israele per motivi tecnici. Sono alquanto delusa che abbia deciso di diventare una nazione proprio nel corso della mia vita. Nella diaspora ci credo: tutto sommato, gli ebrei sono il popolo eletto. È inutile che ridi, è vero. Ma quando s’accalcano tutti insieme in un angolino di deserto diventano uguali a tutti gli altri: francesi, italiani, nazionalità terrene. Gli ebrei hanno un’unica speranza – restare un rimasuglio nel retrobottega degli affari mondiali – no, volevo dire un’altra cosa – una scheggia nell’alluce della civiltà, una vittima che pesi sulle coscienze.
Livido e Pallido rimasero attoniti davanti al mio sfogo, giacché di rado mi esprimo su argomenti seri e mi limito invece a vivere il mio destino, che è quello di essere, fino alla data di scadenza, la ridicola serva del maschio.”




Il quinto componimento è Voglia di morire” in cui la tendenza al suicidio non solo è cosa innata (” Nati morti, non sempre muoiono) ma un canto delle sirene(” abbagliati, non possono dimenticare una droga così dolce”) al cui richiamo all’improvviso si risponde:

” In equilibrio lì, i suicidi a volte si incontrano,
infuriati per il frutto di una luna pompata,
lasciando il pane che hanno scambiato per un bacio,
lasciando la pagina del libro aperta con noncuranza,
qualcosa di non detto, il telefono fuori gancio
e l'amore qualunque cosa fosse, un'infezione. “


Seguono alcune poesie passionali, dedicate all’amante di turno come “Per il mio amore che torna da sua moglie” (”Ti ridò indietro il tuo cuore/ ti do il permesso” e poi ”Lei è la somma di te stesso (…) Invece io, sono un acquarello/vengo lavata via”) oppure A piedi nudi ("Amami senza scarpe").

Altre che richiamano l'esperienza psichiatrica come in Cosa è successo, Dr Y
(”A vivere sono fuori allenamento”)

Bellissima Il silenzio:

"La mia stanza è imbiancata,
bianca come una stazione di polizia di campagna
e altrettanto silenziosa;
più bianca di ossa di pollo
sbiadite alla luce lunare,
pura spazzatura
e altrettanto silenziosa.
C’è una statua bianca dietro di me
e piante bianche
che crescono come vergini oscene,
e tirano fuori le lingue gommose
ma non dicono niente.
I miei capelli sono cupi.
Bruciati nel fuoco bianco
e carbonizzati.
Anche le mie perle sono nere,
venti occhi vomitanti
dal vulcano,
veramente contorte.
Sto riempiendo la stanza
con le parole che escono dalla penna.
La mia penna perde parole come aborti.
Lancio parole nell’aria e tornano
al balzo come palle da squash.
Eppure c’è silenzio.
Sempre silenzio.
Come un’enorme bocca di neonato. .

Il silenzio è morte.
Ogni giorno arriva come un trauma
si appoggia sulla mia spalla, uccello bianco,
e becca gli occhi neri
e il rosso muscolo vibrante
della mia bocca."


Le poesie dedicate al padre (già lette ne Il libro della follia) le trovo anche nella rilettura abbastanza disturbanti (si accennano fatti incestuosi) così come non ho empatizzato con i versi più religiosi.

Nel complesso un'ottima silloge.]]>
4.00 2010 Una come lei e altre poesie
author: Anne Sexton
name: Dagio_maya
average rating: 4.00
book published: 2010
rating: 4
read at: 2025/03/15
date added: 2025/03/15
shelves: poesia, classica, americana
review:
"Ero stanca di essere una donna.."

Venti componimenti (di cui circa sette li avevo già letti neIl libro della follia) che ci restituiscono perfettamente la complessità di quest'autrice: profana e poi attenta alla spiritualità (sono le produzioni degli ultimi periodi); riflessiva ed impulsiva..

Apre la raccolta “Come lei ” del 1960.

Mi colpisce perché Sexton mi riporta a qualcosa a cui ho spesso pensato:
come doveva sentirsi una donna che in altre epoche non riusciva a stare negli schemi?

Sexton usa l’immagine della strega per collegare lo stato di solitudine in cui le donne comunque sono state storicamente relegate.
Sia che partecipino alla recita sociale sia che non lo facciano, in ogni caso si è una donna incompresa .

Dal momento in cui si nega ad una persona la possibilità di essere se stessa incomincia un dramma.
Una tragedia che dalla nascita ha colpito le donne a cui erano affidati copioni scritti da mani maschili e a cui non ci si poteva sottrarre se non pagando la pena dell’esclusione.

Così la strega della poesia vola sulle case di notte, osserva da lontano le altrui vite, si nasconde in caverne che riscalda con il suo amore, fino al momento in cui sarà messa al rogo:
” Una donna così non si vergogna di morire.
Sono stata come lei.


Segue: Suonare le campane” in cui si sofferma sul ricordo dell’attività musicale nella clinica psichiatrica*:


” Suonano le campane a *Bedlam
e questa è la signora delle campane
che viene tutti i martedì mattina
per darci una lezione di musica
e perché gli assistenti ci fanno andare
e perché ci importa per istinto,
come api intrappolate nell’alveare sbagliato,
siamo il circolo delle pazze

che siedono nella sala della clinica psichiatrica
e sorridono alla donna sorridente
che passa a ciascuna una campanella,”


Il terzo componimento è titolato: ”Lettera scritta sul ferry mentre attraversavo lo stretto di Long Island” con un attacco ad effetto:

” Mi stupisce vedere
che l'oceano è ancora qui
ora me ne sto andando
e ho strappato la mia mano
dalla tua mano come avevo detto
e ce l’ho fatta fin qui
come avevo detto
e sono sul ponte ora
stringendo il mio portafoglio, le mie sigarette
e le chiavi dell’auto
alle due di un martedì
di agosto del 1960”


Quarta poesia: In compagnia degli angeli

Ero stanca di essere una donna,
stanca di cucchiai e pentole,
stanca della mia bocca e dei miei seni,
stanca di trucchi e sete.
Alla mia tavola c'erano ancora uomini seduti,
raccolti intorno alla coppa che offrivo.
La coppa era piena di chicchi d'uva viola
e vi ronzavano attorno mosche per l’odore
e anche mio padre giunse col suo osso bianco.
io però ero stanca del genere delle cose.

La notte scorsa ho fatto un sogno
e gli ho detto...
“Tu sei la risposta.
Tu sopravvivrai a mio marito e a mio padre”.
Nel sogno c'era una città di catene
dove Giovanna fu messa a morte in abiti maschili
e la natura degli angeli non era spiegata,
non c'erano due della stessa specie,
chi col naso, chi con l’orecchio in mano,
ognuno obbediente a se stesso come un poema,
facendo le veci di Dio,
un popolo differente.

“Tu sei la risposta”,
dissi, ed entrai,
sdraiata alle porte della città.
Poi fui messa in catene
e persi il mio genere e l’aspetto finale.
Adamo era alla mia sinistra,
Eva era alla mia destra,
entrambi in contrasto con il mondo razionale.
Intrecciamo le braccia
e cavalcammo sotto il sole.
Non ero più donna,
né una cosa né l'altra.

O figlie di Gerusalemme,
il re mi ha condotto nelle sue stanze.
Sono nera e bella,
Sono stata aperta e spogliata.
Non ho né braccia né gambe.
Sono tutta pelle come un pesce.
Non sono più donna
di quanto Gesù fosse uomo.”



Leggendo i primi versi mi è venuto in mente l'incipit di un racconto di Grace Paley intitolato Allevatori di ragazzini di seconda mano :


” C’erano due mariti scontenti delle uova.
In quel modo non piacciono neanche a me, dissi. Fatevele da soli. Loro sospirarono all’unisono. Uno era livido; uno era pallido.
Qui non c’è neanche niente da bere, vero?, domandò Livido.
Ma quando mai, disse Pallido. Non stare a cercare; ’sta casa è un deserto. Spinse via le uova, disgusto e dolore il suo blasone.
Livido disse: No, ma davvero non c’è niente? Una birra?, speranzoso.
Niente, disse Pallido, che aveva già passato in rassegna dispense, armadietti e frigoriferi in cerca di una camicia bianca.

Credo nella diaspora, non solo come fatto ma come concetto. Sono contro Israele per motivi tecnici. Sono alquanto delusa che abbia deciso di diventare una nazione proprio nel corso della mia vita. Nella diaspora ci credo: tutto sommato, gli ebrei sono il popolo eletto. È inutile che ridi, è vero. Ma quando s’accalcano tutti insieme in un angolino di deserto diventano uguali a tutti gli altri: francesi, italiani, nazionalità terrene. Gli ebrei hanno un’unica speranza – restare un rimasuglio nel retrobottega degli affari mondiali – no, volevo dire un’altra cosa – una scheggia nell’alluce della civiltà, una vittima che pesi sulle coscienze.
Livido e Pallido rimasero attoniti davanti al mio sfogo, giacché di rado mi esprimo su argomenti seri e mi limito invece a vivere il mio destino, che è quello di essere, fino alla data di scadenza, la ridicola serva del maschio.”




Il quinto componimento è Voglia di morire” in cui la tendenza al suicidio non solo è cosa innata (” Nati morti, non sempre muoiono) ma un canto delle sirene(” abbagliati, non possono dimenticare una droga così dolce”) al cui richiamo all’improvviso si risponde:

” In equilibrio lì, i suicidi a volte si incontrano,
infuriati per il frutto di una luna pompata,
lasciando il pane che hanno scambiato per un bacio,
lasciando la pagina del libro aperta con noncuranza,
qualcosa di non detto, il telefono fuori gancio
e l'amore qualunque cosa fosse, un'infezione. “


Seguono alcune poesie passionali, dedicate all’amante di turno come “Per il mio amore che torna da sua moglie” (”Ti ridò indietro il tuo cuore/ ti do il permesso” e poi ”Lei è la somma di te stesso (…) Invece io, sono un acquarello/vengo lavata via”) oppure A piedi nudi ("Amami senza scarpe").

Altre che richiamano l'esperienza psichiatrica come in Cosa è successo, Dr Y
(”A vivere sono fuori allenamento”)

Bellissima Il silenzio:

"La mia stanza è imbiancata,
bianca come una stazione di polizia di campagna
e altrettanto silenziosa;
più bianca di ossa di pollo
sbiadite alla luce lunare,
pura spazzatura
e altrettanto silenziosa.
C’è una statua bianca dietro di me
e piante bianche
che crescono come vergini oscene,
e tirano fuori le lingue gommose
ma non dicono niente.
I miei capelli sono cupi.
Bruciati nel fuoco bianco
e carbonizzati.
Anche le mie perle sono nere,
venti occhi vomitanti
dal vulcano,
veramente contorte.
Sto riempiendo la stanza
con le parole che escono dalla penna.
La mia penna perde parole come aborti.
Lancio parole nell’aria e tornano
al balzo come palle da squash.
Eppure c’è silenzio.
Sempre silenzio.
Come un’enorme bocca di neonato. .

Il silenzio è morte.
Ogni giorno arriva come un trauma
si appoggia sulla mia spalla, uccello bianco,
e becca gli occhi neri
e il rosso muscolo vibrante
della mia bocca."


Le poesie dedicate al padre (già lette ne Il libro della follia) le trovo anche nella rilettura abbastanza disturbanti (si accennano fatti incestuosi) così come non ho empatizzato con i versi più religiosi.

Nel complesso un'ottima silloge.
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Cecità 8633268 276 José Saramago 8807721821 Dagio_maya 5 5-stelle, distopica, europea ” l'organizzarsi è già, in un certo qual modo, cominciare ad avere occhi “


In una città qualunque, in un paese qualunque, si diffonde uno strano morbo della cecità.
Strano nel suo propagarsi poiché non si capisce in che modo avvenga il contagio.
Strano nella sua essenza poiché, se la privazione di vista è nella norma assenza di luce, qui avviene l’esatto contrario: tutto è bianco.

“Il cieco aveva affermato categoricamente di vedere, sempre facendo salvo il verbo, un colore bianco uniforme, denso, come se si trovasse immerso a occhi aperti in un mare di latte. “

I personaggi principali che Saramago muove su questa scena apocalittica sono privati di nomi propri perché l’espediente serve ad innescare un piano metaletterario che annulla l’importanza dell’identità singola.
Ciò che è necessario sapere sono le reazioni, i comportamenti e le conseguenze che derivano da una privazione.
Basterà un elemento distintivo, dunque, per qualificarli: il primo cieco, il ladro, il vecchio dalla benda nera, il ragazzino strabico, la ragazza dagli occhiali scuri, il medico, la moglie del medico…

Tutti tranne una sola persona dovranno subire questa condanna e chi conserverà la vista non sarà certo la persona più fortunata dal momento che dovrà vedere il degrado fatto di oscenità, sozzure e violenza che metteranno l’uomo contro l’uomo nella dura lotta per la sopravvivenza:

”(…) tu non sai cosa sia vedere due ciechi che lottano.
Lottare è sempre stata, più o meno, una forma di cecità, Qui è diverso, Fai pure ciò che ti sembra meglio, ma non dimenticarti di quello che siamo, ciechi, semplicemente ciechi, ciechi senza retoriche né commiserazioni, il mondo caritatevole e pittoresco dei poveri ciechi è finito, adesso è il regno duro, crudele e implacabile dei ciechi, Se tu potessi vedere cosa sono costretta a vedere io, desidereresti essere cieco…”


Non ci risparmia nulla Saramago in questo terrificante viaggio nell’animo umano fatto di tanti egoismi che sovrastano, di una cattiveria che non sembra avere limiti.

Non c’è buio ma un biancore che acceca annullando la capacità di convivere civilmente.
Io non credo che l’intento sia stato di dipingere in modo pessimistico l’umanità ma la semplice realtà perché quello che ci insegna la storia nei secoli è che la malvagità domina partendo da infimi comportamenti quotidiani e irradiandosi nelle guerre che hanno seminato morte con una perfida ciclicità (“Un ciclo siamo macellati. Un ciclo siamo macellai. Un ciclo riempiamo gli arsenali, Un ciclo riempiamo i granai” cantavano i CCCP).

Quello che Saramago ha, tuttavia, messo in risalto è che avere coscienza reale del male che ci circonda è sì doloroso ma solo dal “vedere” può nascere la forza della resistenza e la possibilità del cambiamento perché l’idea di un mondo migliore non appartenga più solo al mondo della retorica e dell’utopia fine a se stessa.


”Perché siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione, Vuoi che ti dica cosa penso?
Parla.
Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.”
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4.24 1995 Cecità
author: José Saramago
name: Dagio_maya
average rating: 4.24
book published: 1995
rating: 5
read at: 2017/09/17
date added: 2025/03/14
shelves: 5-stelle, distopica, europea
review:
” l'organizzarsi è già, in un certo qual modo, cominciare ad avere occhi “


In una città qualunque, in un paese qualunque, si diffonde uno strano morbo della cecità.
Strano nel suo propagarsi poiché non si capisce in che modo avvenga il contagio.
Strano nella sua essenza poiché, se la privazione di vista è nella norma assenza di luce, qui avviene l’esatto contrario: tutto è bianco.

“Il cieco aveva affermato categoricamente di vedere, sempre facendo salvo il verbo, un colore bianco uniforme, denso, come se si trovasse immerso a occhi aperti in un mare di latte. “

I personaggi principali che Saramago muove su questa scena apocalittica sono privati di nomi propri perché l’espediente serve ad innescare un piano metaletterario che annulla l’importanza dell’identità singola.
Ciò che è necessario sapere sono le reazioni, i comportamenti e le conseguenze che derivano da una privazione.
Basterà un elemento distintivo, dunque, per qualificarli: il primo cieco, il ladro, il vecchio dalla benda nera, il ragazzino strabico, la ragazza dagli occhiali scuri, il medico, la moglie del medico…

Tutti tranne una sola persona dovranno subire questa condanna e chi conserverà la vista non sarà certo la persona più fortunata dal momento che dovrà vedere il degrado fatto di oscenità, sozzure e violenza che metteranno l’uomo contro l’uomo nella dura lotta per la sopravvivenza:

”(…) tu non sai cosa sia vedere due ciechi che lottano.
Lottare è sempre stata, più o meno, una forma di cecità, Qui è diverso, Fai pure ciò che ti sembra meglio, ma non dimenticarti di quello che siamo, ciechi, semplicemente ciechi, ciechi senza retoriche né commiserazioni, il mondo caritatevole e pittoresco dei poveri ciechi è finito, adesso è il regno duro, crudele e implacabile dei ciechi, Se tu potessi vedere cosa sono costretta a vedere io, desidereresti essere cieco…”


Non ci risparmia nulla Saramago in questo terrificante viaggio nell’animo umano fatto di tanti egoismi che sovrastano, di una cattiveria che non sembra avere limiti.

Non c’è buio ma un biancore che acceca annullando la capacità di convivere civilmente.
Io non credo che l’intento sia stato di dipingere in modo pessimistico l’umanità ma la semplice realtà perché quello che ci insegna la storia nei secoli è che la malvagità domina partendo da infimi comportamenti quotidiani e irradiandosi nelle guerre che hanno seminato morte con una perfida ciclicità (“Un ciclo siamo macellati. Un ciclo siamo macellai. Un ciclo riempiamo gli arsenali, Un ciclo riempiamo i granai” cantavano i CCCP).

Quello che Saramago ha, tuttavia, messo in risalto è che avere coscienza reale del male che ci circonda è sì doloroso ma solo dal “vedere” può nascere la forza della resistenza e la possibilità del cambiamento perché l’idea di un mondo migliore non appartenga più solo al mondo della retorica e dell’utopia fine a se stessa.


”Perché siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione, Vuoi che ti dica cosa penso?
Parla.
Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.”

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Il dio dei boschi 219443410 544 Liz Moore Dagio_maya 4 americana «Dico solo:
quando sentite degli zoccoli, non pensate subito a una zebra».



Inizio dalla fine.
Un ringraziamento ad Ada Arduini, traduttrice di tutti i libri di Liz Moore e che, nelle pagine finali del romanzo, condivide con il lettore le sue riflessioni del rapporto che si dovrebbe avere con gli autori di cui si diventa, in un qual modo,ambasciatori.

Al terzo libro che leggo di quest’autrice mi sento di poter tracciarne una cifra sia di stile sia di contenuti.

In primo luogo un raccontare per analessi che in quest’ultimo libro si evolve in una struttura su più piani temporali viaggiando dagli anni ’50 al 1975.
Operazione non facile che le riesce benissimo anche grazie ai capitoli brevi dove il tempo è evidenziato in grassetto.

Ad esempio:

.Carl

Anni Cinquanta | 1961 | inverno 1973
giugno 1975 | luglio 1975 | agosto 1975


Un secondo elemento è quello dell’intreccio che grazie ai flashback è in grado di tenerci nascosti alcune parti della storia con continui disvelamenti che intrattengono fino all’ultima pagina.

Un terzo aspetto riguarda il tema della genitorialità (soprattutto nelle sue assenze) soprattutto vista dalla parte di figli e figlie.
Qualcuno dirà: il solito tema ritrito (soprattutto nella narrativa nord americana).
Sì è vero ma l’asso nella manica di Liz Moore è quello di una grande carica empatica che rende i suoi personaggi e le sue storie appassionanti.

Nonostante tutti questi elementi che tornano, ogni romanzo è ambientato in luoghi geografici e sociali molto differenti.

Ne “il dio dei boschi” siamo in un campo estivo delle Adirondack.
Si comincia con un letto vuoto.
Un vaso di Pandora sta per essere rotto e immergersi in queste pagine è un’avventura emozionante..


” «In caso di emergenza possono essere tutti utilizzati per tenervi al caldo. I boschi possono essere pericolosi, ma in un certo senso sono anche generosi».
Si girò di scatto e fece dieci passi in direzione di uno degli alberi vicini, che erano più tozzi.
«Questo» disse «è un abete balsamico. È uno degli alberi della zona più folti, ha un bel fogliame fitto ed è anche uno dei più giovani. Vedete com’è più piccolo di tutti gli altri? Questo significa che in caso di pioggia o neve, o anche di freddo, i rami più bassi formeranno un bel riparo».”


⭐⭐½]]>
4.06 2024 Il dio dei boschi
author: Liz Moore
name: Dagio_maya
average rating: 4.06
book published: 2024
rating: 4
read at: 2025/03/13
date added: 2025/03/14
shelves: americana
review:
«Dico solo:
quando sentite degli zoccoli, non pensate subito a una zebra».



Inizio dalla fine.
Un ringraziamento ad Ada Arduini, traduttrice di tutti i libri di Liz Moore e che, nelle pagine finali del romanzo, condivide con il lettore le sue riflessioni del rapporto che si dovrebbe avere con gli autori di cui si diventa, in un qual modo,ambasciatori.

Al terzo libro che leggo di quest’autrice mi sento di poter tracciarne una cifra sia di stile sia di contenuti.

In primo luogo un raccontare per analessi che in quest’ultimo libro si evolve in una struttura su più piani temporali viaggiando dagli anni ’50 al 1975.
Operazione non facile che le riesce benissimo anche grazie ai capitoli brevi dove il tempo è evidenziato in grassetto.

Ad esempio:

.Carl

Anni Cinquanta | 1961 | inverno 1973
giugno 1975 | luglio 1975 | agosto 1975


Un secondo elemento è quello dell’intreccio che grazie ai flashback è in grado di tenerci nascosti alcune parti della storia con continui disvelamenti che intrattengono fino all’ultima pagina.

Un terzo aspetto riguarda il tema della genitorialità (soprattutto nelle sue assenze) soprattutto vista dalla parte di figli e figlie.
Qualcuno dirà: il solito tema ritrito (soprattutto nella narrativa nord americana).
Sì è vero ma l’asso nella manica di Liz Moore è quello di una grande carica empatica che rende i suoi personaggi e le sue storie appassionanti.

Nonostante tutti questi elementi che tornano, ogni romanzo è ambientato in luoghi geografici e sociali molto differenti.

Ne “il dio dei boschi” siamo in un campo estivo delle Adirondack.
Si comincia con un letto vuoto.
Un vaso di Pandora sta per essere rotto e immergersi in queste pagine è un’avventura emozionante..


” «In caso di emergenza possono essere tutti utilizzati per tenervi al caldo. I boschi possono essere pericolosi, ma in un certo senso sono anche generosi».
Si girò di scatto e fece dieci passi in direzione di uno degli alberi vicini, che erano più tozzi.
«Questo» disse «è un abete balsamico. È uno degli alberi della zona più folti, ha un bel fogliame fitto ed è anche uno dei più giovani. Vedete com’è più piccolo di tutti gli altri? Questo significa che in caso di pioggia o neve, o anche di freddo, i rami più bassi formeranno un bel riparo».”


⭐⭐½
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Don Chisciotte della Mancia 9814427 Il volume comprende un'introduzione di Vittorio Bodini, una biografia dell'autore, una bibliografia essenziale degli studi sul Chisciotte in Italia e all'estero, un'originale interpretazione di Erich Auerbach e un affascinante «commento per immagini» costituito da trentadue incisioni di Gustave Doré.]]> 1212 Miguel de Cervantes Saavedra 8806177796 Dagio_maya 5 classica, europea In soccorso dei deboli e dei bisognosi. ...
.. non Dio ma un cavaliere errante porrà rimedio alle ingiustizie.


Si ride tra queste pagine per lo strambo abbigliamento dell’hildago Alonso Quijano che, ribattezzatosi don Chisciotte, attraversa le terre della Mancia in cerca di avventure.

Si ride per quel Sancho Panza scudiero proverbiale che tra una bastonata e l’altra affianca il suo padrone.

Entrambi affetti da cecità ma se il servo non vede per ignoranza, lui, il cavaliere errante, ha scelto di non vedere la realtà.
Ogni cosa, allora, assume una dimensione magica e così accanto ai famosi mulini a vento anche delle semplici otri contenenti vino, appaiono come mostruosi giganti che vanno eliminati ad ogni costo perché ogni avventura portata a termine è un passo in più verso l’amata Dulcinea, rozza contadina che don Chisciotte trasforma in nobile donna.

Il primo libro è maggiormente un racconto a cornice perché ogni incontro che contiene il racconto delle vicissitudini di personaggi che a loro volta hanno storie intrecciate.
Il dolore di amori non corrisposti oppure impediti dalla prepotenza dei forti: questo sembra essere il leitmotiv.
Un intreccio di genere epico, lirico, tragico e comico.

Se il primo libro finisce, tuttavia, in modo frettoloso, il secondo a mio parere calca troppo la mano sui travestimenti e la burla.
Tutti gli incontri, difatti, di questa seconda parte, sono incentrati su personaggi che assecondano la visione di don Chisciotte e costruiscono scenari per ingannarlo.
Una piega che non mi ha convinta totalmente, dato che ho trovato questo divertimento troppo cinico tanto da essere chiamato alle sue spalle don Chisciocco!

Io sostengo da sempre che il gioco è bello quando e corto e alla lunga stufa.

Ma:

” Ogni giorno si vedono al mondo cose nuove: le burle si trasformano in realtà e i burlatori si trovano burlati.”

Molto interessanti sono le discussioni su svariati argomenti (nobiltà, ricchezza, commedia, poesia..) dove don Chisciotte dimostra cultura e saggezza.

Il contrasto tra la folle illusione e l’acuta ignoranza dei due protagonisti va pian piano sovrapponendosi verso un finale dove chi era folle rinsavisce viceversa.

” non è stata cosí cattiva la mia vita da dover lasciare dietro di me una reputazione di pazzo;”]]>
4.05 1615 Don Chisciotte della Mancia
author: Miguel de Cervantes Saavedra
name: Dagio_maya
average rating: 4.05
book published: 1615
rating: 5
read at: 2023/03/23
date added: 2025/03/12
shelves: classica, europea
review:
In soccorso dei deboli e dei bisognosi. ...
.. non Dio ma un cavaliere errante porrà rimedio alle ingiustizie.


Si ride tra queste pagine per lo strambo abbigliamento dell’hildago Alonso Quijano che, ribattezzatosi don Chisciotte, attraversa le terre della Mancia in cerca di avventure.

Si ride per quel Sancho Panza scudiero proverbiale che tra una bastonata e l’altra affianca il suo padrone.

Entrambi affetti da cecità ma se il servo non vede per ignoranza, lui, il cavaliere errante, ha scelto di non vedere la realtà.
Ogni cosa, allora, assume una dimensione magica e così accanto ai famosi mulini a vento anche delle semplici otri contenenti vino, appaiono come mostruosi giganti che vanno eliminati ad ogni costo perché ogni avventura portata a termine è un passo in più verso l’amata Dulcinea, rozza contadina che don Chisciotte trasforma in nobile donna.

Il primo libro è maggiormente un racconto a cornice perché ogni incontro che contiene il racconto delle vicissitudini di personaggi che a loro volta hanno storie intrecciate.
Il dolore di amori non corrisposti oppure impediti dalla prepotenza dei forti: questo sembra essere il leitmotiv.
Un intreccio di genere epico, lirico, tragico e comico.

Se il primo libro finisce, tuttavia, in modo frettoloso, il secondo a mio parere calca troppo la mano sui travestimenti e la burla.
Tutti gli incontri, difatti, di questa seconda parte, sono incentrati su personaggi che assecondano la visione di don Chisciotte e costruiscono scenari per ingannarlo.
Una piega che non mi ha convinta totalmente, dato che ho trovato questo divertimento troppo cinico tanto da essere chiamato alle sue spalle don Chisciocco!

Io sostengo da sempre che il gioco è bello quando e corto e alla lunga stufa.

Ma:

” Ogni giorno si vedono al mondo cose nuove: le burle si trasformano in realtà e i burlatori si trovano burlati.”

Molto interessanti sono le discussioni su svariati argomenti (nobiltà, ricchezza, commedia, poesia..) dove don Chisciotte dimostra cultura e saggezza.

Il contrasto tra la folle illusione e l’acuta ignoranza dei due protagonisti va pian piano sovrapponendosi verso un finale dove chi era folle rinsavisce viceversa.

” non è stata cosí cattiva la mia vita da dover lasciare dietro di me una reputazione di pazzo;”
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<![CDATA[Belìn, sei sicuro? Storia e canzoni di Fabrizio De André: Con gli appunti inediti de I Notturni (Italian Edition)]]> 26848059 0 Riccardo Bertoncelli 8809782623 Dagio_maya 4 ”De André canterà gli emarginati, ma senza abbellirli.
Li conosce, li racconterà come sono. Il punto focale della sua opera, il chiodo fisso, è l’affermazione della marginalità come valore.”



Pubblicato nel 2003, Belìn, sei sicuro? Storia e canzoni di Fabrizio De André: Con gli appunti inediti de I Notturni è un volume strutturato con brevi paragrafi che illustrano il percorso dell'artista nella sua cronologia.

L'ultima parte è dedicata a delle interviste a chi lo ha conosciuto più da vicino fino alla polemica (sterile, a mio avviso) su "I notturni", l'ultima opera a cui stava lavorando prima di morire.


Fabrizio Cristiano De André nasce a mezzo giorno del 18 febbraio, mentre Hitler sta per invadere la Norvegia."

Il padre di origini provenzali (ecco quel cognome da dove arriva!) è un uomo poco presente ma lascerà comunque il segno regalando al figlio un disco del cantautore Georges Brassens () :

”...lui li ascolta e sente un tac da qualche parte dentro.
È come se tutti i pezzi della sua vita scompigliata, tutte le emozioni acri, gli ideali abbozzati, le esperienze multicolori, i pensieri ammassati, avessero trovato un posto, con i baffi e la chitarra, dove raccogliersi e scaldarsi l’un l’altro.
Capisce che quei veicoli insulsi che sono state sino a ora le canzoni possono trasportare anche contenuti importanti e irriverenti, parole d’opposizione e giustizia sociale, storie diverse e di diversi.
Insomma, è grazie a Georges Brassens che De André farà il cantautore, e probabilmente anche molte altre cose."



De Andrè è anarchico di nome e di fatto; anticonformista (scrivere negli anni '70 canzoni su un Gesù uomo mi pare una delle cose più contro corrente che si potesse fare!!) e soprattutto attento a tutto ciò che è marginalità sociale.

I suoi testi spesso riprendono antichi canti come, ad esempio, "Fila la lana" brano del XV° secolo ( )

Oppure s'ispira a poesie di Umberto Saba, come in "Città vecchia" ()

E poi Prévert, Francis Jammes , Villon, Mannerini e chissà quanti altri!

Mentre leggo questa biografia leggo i testi mano mano citati e riascolto qualche canzone.

Sono sbalordita dal fatto che De Andrè fino ai 35 anni abbia rifiutato di fare veri e propri concerti da solo.
E' il 1975. L'anno dopo prende la patente e l'anno ancora dopo (77) nasce sua figlia Luvi.
tanti cambiamenti, insomma fino al fatidico agosto del 1979 in cui lui e Dori Ghezzi vengono rapiti.
Una prigionia lunga 4 mesi.
"Hotel Supramonte" é il frutto di questa esperienza (...)


"E se vai all'Hotel Supramonte e guardi il cielo
Tu vedrai una donna in fiamme e un uomo solo
E una lettera vera di notte, falsa di giorno
E poi scuse, accuse e scuse senza ritorno…


description

L'ultima parte è dedicata ad alcune interviste a personaggi del mondo della musica che hanno collaborato con Faber:

Giampiero Reverberi (che poi fondò i Rondò Veneziano), Roberto Dané, Massimo Bubola, Franz di Cioccio, Mauro Pagani, Ivano Fossati, Piero Milesi, Oliviero Malaspina.

Personaggi che, perlopiù, non conoscevo ma che scopro essere autori di grandi canzoni.
Queste interviste si focalizzano sui momenti di creazione e produzione vera e propria entrando nel merito dei rapporti personali che si instauravano con l’artista forse cercando – un po’ troppo- di sottolineare alcuni tratti del carattere ma a me, in realtà, poco importa come ben dice Franz di Cioccio (PFM):

"Tutti i suoi dischi parlano per lui, tutta la sua opera è lì a parlare per lui. Credo che la gente comunque se lo porti dentro, perché è riuscito a dare un senso speciale alle sue cose. Non ho mai visto un cantautore farlo; ho visto qualche raro poeta, ho visto Pasolini. Ma un cantautore mai."

Impossibile, per me, dire quale sia la canzone preferita.
.
Con un discorso del genere si è animata una serata tra amici in cui il sottofondo delle sue canzoni spingeva a chiedersi «Qual è la più bella?».
Abbiamo fatto le ore piccole senza poter trovare una risposta..

Anime salve (Fabrizio De André- Ivano Fossati- 1996)

"Mille anni al mondo mille ancora
che bell'inganno sei anima mia
e che bello il mio tempo che bella compagnia
sono giorni di finestre adornate
canti di stagione
anime salve in terra e in mare
sono state giornate furibonde
senza atti d'amore
senza calma di vento
solo passaggi e passaggi
passaggi di tempo

Ore infinite come costellazioni e onde
spietate come gli occhi della memoria
altra memoria e no basta ancora
cose svanite facce e poi il futuro
i futuri incontri di belle amanti scellerate
saranno scontri
saranno cacce coi cani e coi cinghiali
saranno rincorse morsi e affanni per mille anni
mille anni al mondo mille ancora
Che bell'inganno sei anima mia
e che grande il mio tempo che bella compagnia

Mi sono spiato illudermi e fallire
abortire i figli come i sogni
mi sono guardato piangere in uno specchio di neve
mi sono visto che ridevo
mi sono visto di spalle che partivo
ti saluto dai paesi di domani
che sono visioni di anime contadine
in volo per il mondo
Mille anni al mondo mille ancora
che bell'inganno sei anima mia
e che grande questo tempo che solitudine
che bella compagnia"



]]>
4.00 2003 Belìn, sei sicuro? Storia e canzoni di Fabrizio De André: Con gli appunti inediti de I Notturni (Italian Edition)
author: Riccardo Bertoncelli
name: Dagio_maya
average rating: 4.00
book published: 2003
rating: 4
read at: 2025/03/09
date added: 2025/03/12
shelves:
review:
”De André canterà gli emarginati, ma senza abbellirli.
Li conosce, li racconterà come sono. Il punto focale della sua opera, il chiodo fisso, è l’affermazione della marginalità come valore.”



Pubblicato nel 2003, Belìn, sei sicuro? Storia e canzoni di Fabrizio De André: Con gli appunti inediti de I Notturni è un volume strutturato con brevi paragrafi che illustrano il percorso dell'artista nella sua cronologia.

L'ultima parte è dedicata a delle interviste a chi lo ha conosciuto più da vicino fino alla polemica (sterile, a mio avviso) su "I notturni", l'ultima opera a cui stava lavorando prima di morire.


Fabrizio Cristiano De André nasce a mezzo giorno del 18 febbraio, mentre Hitler sta per invadere la Norvegia."

Il padre di origini provenzali (ecco quel cognome da dove arriva!) è un uomo poco presente ma lascerà comunque il segno regalando al figlio un disco del cantautore Georges Brassens () :

”...lui li ascolta e sente un tac da qualche parte dentro.
È come se tutti i pezzi della sua vita scompigliata, tutte le emozioni acri, gli ideali abbozzati, le esperienze multicolori, i pensieri ammassati, avessero trovato un posto, con i baffi e la chitarra, dove raccogliersi e scaldarsi l’un l’altro.
Capisce che quei veicoli insulsi che sono state sino a ora le canzoni possono trasportare anche contenuti importanti e irriverenti, parole d’opposizione e giustizia sociale, storie diverse e di diversi.
Insomma, è grazie a Georges Brassens che De André farà il cantautore, e probabilmente anche molte altre cose."



De Andrè è anarchico di nome e di fatto; anticonformista (scrivere negli anni '70 canzoni su un Gesù uomo mi pare una delle cose più contro corrente che si potesse fare!!) e soprattutto attento a tutto ciò che è marginalità sociale.

I suoi testi spesso riprendono antichi canti come, ad esempio, "Fila la lana" brano del XV° secolo ( )

Oppure s'ispira a poesie di Umberto Saba, come in "Città vecchia" ()

E poi Prévert, Francis Jammes , Villon, Mannerini e chissà quanti altri!

Mentre leggo questa biografia leggo i testi mano mano citati e riascolto qualche canzone.

Sono sbalordita dal fatto che De Andrè fino ai 35 anni abbia rifiutato di fare veri e propri concerti da solo.
E' il 1975. L'anno dopo prende la patente e l'anno ancora dopo (77) nasce sua figlia Luvi.
tanti cambiamenti, insomma fino al fatidico agosto del 1979 in cui lui e Dori Ghezzi vengono rapiti.
Una prigionia lunga 4 mesi.
"Hotel Supramonte" é il frutto di questa esperienza (...)


"E se vai all'Hotel Supramonte e guardi il cielo
Tu vedrai una donna in fiamme e un uomo solo
E una lettera vera di notte, falsa di giorno
E poi scuse, accuse e scuse senza ritorno…


description

L'ultima parte è dedicata ad alcune interviste a personaggi del mondo della musica che hanno collaborato con Faber:

Giampiero Reverberi (che poi fondò i Rondò Veneziano), Roberto Dané, Massimo Bubola, Franz di Cioccio, Mauro Pagani, Ivano Fossati, Piero Milesi, Oliviero Malaspina.

Personaggi che, perlopiù, non conoscevo ma che scopro essere autori di grandi canzoni.
Queste interviste si focalizzano sui momenti di creazione e produzione vera e propria entrando nel merito dei rapporti personali che si instauravano con l’artista forse cercando – un po’ troppo- di sottolineare alcuni tratti del carattere ma a me, in realtà, poco importa come ben dice Franz di Cioccio (PFM):

"Tutti i suoi dischi parlano per lui, tutta la sua opera è lì a parlare per lui. Credo che la gente comunque se lo porti dentro, perché è riuscito a dare un senso speciale alle sue cose. Non ho mai visto un cantautore farlo; ho visto qualche raro poeta, ho visto Pasolini. Ma un cantautore mai."

Impossibile, per me, dire quale sia la canzone preferita.
.
Con un discorso del genere si è animata una serata tra amici in cui il sottofondo delle sue canzoni spingeva a chiedersi «Qual è la più bella?».
Abbiamo fatto le ore piccole senza poter trovare una risposta..

Anime salve (Fabrizio De André- Ivano Fossati- 1996)

"Mille anni al mondo mille ancora
che bell'inganno sei anima mia
e che bello il mio tempo che bella compagnia
sono giorni di finestre adornate
canti di stagione
anime salve in terra e in mare
sono state giornate furibonde
senza atti d'amore
senza calma di vento
solo passaggi e passaggi
passaggi di tempo

Ore infinite come costellazioni e onde
spietate come gli occhi della memoria
altra memoria e no basta ancora
cose svanite facce e poi il futuro
i futuri incontri di belle amanti scellerate
saranno scontri
saranno cacce coi cani e coi cinghiali
saranno rincorse morsi e affanni per mille anni
mille anni al mondo mille ancora
Che bell'inganno sei anima mia
e che grande il mio tempo che bella compagnia

Mi sono spiato illudermi e fallire
abortire i figli come i sogni
mi sono guardato piangere in uno specchio di neve
mi sono visto che ridevo
mi sono visto di spalle che partivo
ti saluto dai paesi di domani
che sono visioni di anime contadine
in volo per il mondo
Mille anni al mondo mille ancora
che bell'inganno sei anima mia
e che grande questo tempo che solitudine
che bella compagnia"




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Balzac 23945129 349 Stefan Zweig Dagio_maya 4 europea, classica, nonfiction …un profondo istinto che esige in lui il caos


Balzac è un ritratto biografico che lo scrittore austriaco, Stefan Zweig non riuscì a vedere pubblicato.
Il 23 febbraio 1942, profondamente depresso, si suicidò, con un overdose di Veronal assieme alla moglie in un’anonima stanza d’albergo brasiliana.

Balzac fu pubblicato, pertanto, postumo e quindi il testo che leggiamo oggi è, probabilmente, frutto di mani ignote che hanno assemblato appunti o comunque capitoli di un libro che Zweig lasciò andare alla deriva.

Sono sicura che questa non sarebbe stata la redazione definitiva e spiego il perché di questa mia affermazione.

Nell’opera autobiografica Il mondo di ieri: Ricordi di un europeo, Zweig (riferendosi nel particolare al testo su Maria Antonietta) scrisse:

”Per Maria Antonietta per esempio ho veramente controllato ogni suo conto per stabilire le sue spese, ho letto tutti i libelli contemporanei e tutti gli epistolari, ho studiato tutti gli atti processuali. Però nel libro definitivo di tutto questo non si trova una riga, giacché appena messo in bella copia il primo abbozzo approssimativo di un libro, comincia per me il vero lavoro, quello del comporre e del condensare, un lavoro che di redazione in redazione mi trova sempre più incontentabile È un continuo gettar fuori zavorra, un continuo stringere e rafforzare l'architettura interna. Mentre quasi tutti gli scrittori non si decidono a tacere qualcosa che sanno e, innamorati in certo modo di ogni loro riga ben riuscita, cercano di mostrarsi più vasti e più profondi di quanto siano in realtà, io invece ho l'ambizione di saper sempre molto di più di quanto non appaia al di fuori.”

In Balzac, in particolar modo da metà libro in poi, questo lavoro di perfezionamento (” gettar fuori zavorra” ) è palese non sia stato fatto lasciandoci così con molte pagine superflue e ripetitive.

Occorre, pertanto, che sia il lettore ad estrarre la sostanza di questo ritratto che rimane comunque un ottimo scritto per chi volesse approfondire la figura dello scrittore francese.

Il nocciolo del discorso sta nell’irruente energia creativa in questo scrittore così prolifico.
Un’infanzia ed un’adolescenza dove la rigida e castrante figura materna (qui si palesa l’affinità di Zweig con il pensiero freudiano) condizionerà in modo indelebile lo scrittore sempre in cerca di riconoscimenti iperbolici.

Balza scopre la scrittura per emanciparsi dalla famiglia.
Sfrutta la letteratura scrivendo a cottimo e diventando una macchina che sforna romanzi salvo poi scoprire che scrivere diventa per lui un'altra via di fuga, la possibilità di vivere una seconda vita.
Da lì a concepire il maestoso progetto narrativo della Commedia Umana, la strada sarà lunga.

La produzione dozzinale delle prime opere (sotto pseudonimo) rivela già una caratteristica che sarà sua propria: la velocità di scrittura.
Tanto per fare un esempio: scrisse “Papà Goriot” in soli 40 giorni!!!

Mentre la mano destra scrive, la sinistra spende questa è il secondo elemento peculiare che renderà Balzac uno schiavo della letteratura.

La sua ambizione artistica è spesso superata dalla brama di far parte del mondo aristocratico.
Le spese folli e l’inseguimento dei debitori, da allora, vanno a pari passo.
Zweig afferma e dimostra come in Balzac conviva genialità e stoltezza.

E poi sono le donne:
figure materne che colmano l’affetto negato (ancora Freud!);
amiche e sorelle;
ancore di salvezza a cui mira per i loro patrimoni oppure oggetti semplicemente di lussuria (anche se bruttarello ebbe una miriade di relazioni: ah! cosa fa la fama!).

Un’esistenza dove fantasia e realtà si confondono:
Balzac vive come il protagonista di un romanzo e, allo stesso tempo, crea personaggi che sono speculari alla sua vita.
Non caso, Zweig, mise come sottotitolo: “Il romanzo della sua vita”.

” come sempre, il fenomeno irripetibile di Balzac impedisce ogni deduzione logica, e invece del verosimile si verificano in lui sempre le cose più inverosimili. I due mondi in cui vive, quello reale e quello immaginario, stanno dentro di lui, per così dire, in due differenti comparti stagni.”


Una vita caotica che, ancor oggi, si riverbera in una produzione letteraria in cui raccapezzarsi è veramente un’impresa.

” Quel che rovina gli affari e talvolta anche i romanzi di Balzac è il fatto che egli, impaziente per passione e passionale per impazienza, troppo presto moltiplica le dimensioni e non sa tenere le cose entro proporzioni previste e normali.”]]>
4.29 1946 Balzac
author: Stefan Zweig
name: Dagio_maya
average rating: 4.29
book published: 1946
rating: 4
read at: 2021/11/26
date added: 2025/03/10
shelves: europea, classica, nonfiction
review:
…un profondo istinto che esige in lui il caos


Balzac è un ritratto biografico che lo scrittore austriaco, Stefan Zweig non riuscì a vedere pubblicato.
Il 23 febbraio 1942, profondamente depresso, si suicidò, con un overdose di Veronal assieme alla moglie in un’anonima stanza d’albergo brasiliana.

Balzac fu pubblicato, pertanto, postumo e quindi il testo che leggiamo oggi è, probabilmente, frutto di mani ignote che hanno assemblato appunti o comunque capitoli di un libro che Zweig lasciò andare alla deriva.

Sono sicura che questa non sarebbe stata la redazione definitiva e spiego il perché di questa mia affermazione.

Nell’opera autobiografica Il mondo di ieri: Ricordi di un europeo, Zweig (riferendosi nel particolare al testo su Maria Antonietta) scrisse:

”Per Maria Antonietta per esempio ho veramente controllato ogni suo conto per stabilire le sue spese, ho letto tutti i libelli contemporanei e tutti gli epistolari, ho studiato tutti gli atti processuali. Però nel libro definitivo di tutto questo non si trova una riga, giacché appena messo in bella copia il primo abbozzo approssimativo di un libro, comincia per me il vero lavoro, quello del comporre e del condensare, un lavoro che di redazione in redazione mi trova sempre più incontentabile È un continuo gettar fuori zavorra, un continuo stringere e rafforzare l'architettura interna. Mentre quasi tutti gli scrittori non si decidono a tacere qualcosa che sanno e, innamorati in certo modo di ogni loro riga ben riuscita, cercano di mostrarsi più vasti e più profondi di quanto siano in realtà, io invece ho l'ambizione di saper sempre molto di più di quanto non appaia al di fuori.”

In Balzac, in particolar modo da metà libro in poi, questo lavoro di perfezionamento (” gettar fuori zavorra” ) è palese non sia stato fatto lasciandoci così con molte pagine superflue e ripetitive.

Occorre, pertanto, che sia il lettore ad estrarre la sostanza di questo ritratto che rimane comunque un ottimo scritto per chi volesse approfondire la figura dello scrittore francese.

Il nocciolo del discorso sta nell’irruente energia creativa in questo scrittore così prolifico.
Un’infanzia ed un’adolescenza dove la rigida e castrante figura materna (qui si palesa l’affinità di Zweig con il pensiero freudiano) condizionerà in modo indelebile lo scrittore sempre in cerca di riconoscimenti iperbolici.

Balza scopre la scrittura per emanciparsi dalla famiglia.
Sfrutta la letteratura scrivendo a cottimo e diventando una macchina che sforna romanzi salvo poi scoprire che scrivere diventa per lui un'altra via di fuga, la possibilità di vivere una seconda vita.
Da lì a concepire il maestoso progetto narrativo della Commedia Umana, la strada sarà lunga.

La produzione dozzinale delle prime opere (sotto pseudonimo) rivela già una caratteristica che sarà sua propria: la velocità di scrittura.
Tanto per fare un esempio: scrisse “Papà Goriot” in soli 40 giorni!!!

Mentre la mano destra scrive, la sinistra spende questa è il secondo elemento peculiare che renderà Balzac uno schiavo della letteratura.

La sua ambizione artistica è spesso superata dalla brama di far parte del mondo aristocratico.
Le spese folli e l’inseguimento dei debitori, da allora, vanno a pari passo.
Zweig afferma e dimostra come in Balzac conviva genialità e stoltezza.

E poi sono le donne:
figure materne che colmano l’affetto negato (ancora Freud!);
amiche e sorelle;
ancore di salvezza a cui mira per i loro patrimoni oppure oggetti semplicemente di lussuria (anche se bruttarello ebbe una miriade di relazioni: ah! cosa fa la fama!).

Un’esistenza dove fantasia e realtà si confondono:
Balzac vive come il protagonista di un romanzo e, allo stesso tempo, crea personaggi che sono speculari alla sua vita.
Non caso, Zweig, mise come sottotitolo: “Il romanzo della sua vita”.

” come sempre, il fenomeno irripetibile di Balzac impedisce ogni deduzione logica, e invece del verosimile si verificano in lui sempre le cose più inverosimili. I due mondi in cui vive, quello reale e quello immaginario, stanno dentro di lui, per così dire, in due differenti comparti stagni.”


Una vita caotica che, ancor oggi, si riverbera in una produzione letteraria in cui raccapezzarsi è veramente un’impresa.

” Quel che rovina gli affari e talvolta anche i romanzi di Balzac è il fatto che egli, impaziente per passione e passionale per impazienza, troppo presto moltiplica le dimensioni e non sa tenere le cose entro proporzioni previste e normali.”
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<![CDATA[Il comunista in camicia nera: Nicola Bombacci, tra Lenin e Mussolini]]> 3093157 231 Arrigo Petacco 8804403055 Dagio_maya 2 italiana, storica, nonfiction Chi era dunque l'uomo barbuto penzolante in piazzale Loreto?


Nicola Bombacci, «il Lenin di Romagna» quasi un alter ego di Mussolini: nati a pochi chilometri di distanza, entrambi maestri nelle scuole elementari, socialisti militanti.
Divisi dalla guerra, o meglio, dall’inaspettata posizione interventista che Mussolini “urla” dalle pagine dell’Avanti.

Nel 1921, assieme a Gramsci e Togliatti e ad altri fuorusciti dal Psi, Bombacci fondò il Partito Comunista d’Italia con non poca fatica:

" dilaniandosi fra schiamazzi, veleni, lotte di correnti e rancori personali: più che un congresso quello di Livorno fu una confusa baraonda”.

Stesso anno ma uno scroscio di applausi nasce il Partito Fascista.

Mentre Bombacci esalta il mito sovietico, stivali neri marciano su Roma.
description

Passano gli anni e i due si ritrovano a Salò dove «il supertraditore » (come lo chiamava Luigi Longo) riversa il colpo di coda della rivoluzione socialista tanto agognata.
Nella RSI, in sostanza, pensava di aver trovato il luogo adatto dove la versione sociale del fascismo e il comunismo come lui lo intendeva potessero fondersi in una nuova alba.

La sua fine sarà accanto all’amico di una vita: a testa in giù, accanto al benzinaio di piazzale Loreto a Milano dopo aver gridato “Viva il socialismo, viva Mussolini (o “l’Italia,” secondo altri).

Fascista rosso o comunista nero?

Odiato dai fascisti di cui subì più volte gli attacchi squadristi e che cantavano:

"Me ne frego di Bombacci /
e del sol dell'avvenir/
con la barba di Bombacci /
faremo spazzolini: per lucidar le scarpe /
di Benito Mussolini..."


Per quanto i suoi comizi sembrassero minacciosi era un uomo mite (alcuni lo definirono vigliacco visto che scappava quando le cose si mettevano male...) in una società che, invece, si stava ricostruendo sulle basi della violenza e della virilità.


Bombacci è rimasto un nome nella storia per lo più dimenticato o, alla meglio, lasciato in secondo piano come una fugace comparsa.
Il primo piano, si sa, non è il suo, la scena gli è continuamente rubata.

Così Petacco nel raccontarci la sua storia ci riconferma il ruolo di eterno secondo e scivola inesorabilmente nella cronaca del dittatore che tutti già conosciamo.
Ma c'è di più: nel ripercorrere quegli anni, lo storico ci parla di un duce moderato e stanco.
Mussolini avrebbe voluto andare in pensione fu costretto dai nazisti ne approfittò allora per rendere concreto il sogno socialista che si era perso nel ventennio tra i fanatismi fascisti.

Bombacci che aveva condotto un’opposizione fittizia fu sorvegliato ma mai né ammonito né imprigionato anzi la protezione di Mussolini fu velata ma costante anche dal punto di vista economico.

Ma allora di cosa stiamo parlando?
Di cosa siamo sorpresi se alla fine Bombacci cambiò colore della camicia seppure non aderì mai ufficialmente al partito ma rimase sempre dietro le quinte di un’amicizia ingombrante e probabilmente con delle idee confuse (socialismo, comunismo e totale indifferenza sul dramma del popolo italiano e la guerra civile in corso?) così come confuso è questo libro.

Sì interessante il racconto e tra l’altro col pregio di essere scorrevole ma con un focus sfuggente e sfuggito.
Ovvio che occorreva inquadrare il contesto ma in realtà avrei voluto capire meglio le scelte di Bombacci di cui, in realtà, mancano un sacco di informazioni.
Insomma, interessante ma più per quello che sta attorno ma anche fastidioso nel ribadire l'onestà e buona fedele dei fascisti di Salò (Sic!)

]]>
3.57 1996 Il comunista in camicia nera: Nicola Bombacci, tra Lenin e Mussolini
author: Arrigo Petacco
name: Dagio_maya
average rating: 3.57
book published: 1996
rating: 2
read at: 2022/12/10
date added: 2025/03/10
shelves: italiana, storica, nonfiction
review:
Chi era dunque l'uomo barbuto penzolante in piazzale Loreto?


Nicola Bombacci, «il Lenin di Romagna» quasi un alter ego di Mussolini: nati a pochi chilometri di distanza, entrambi maestri nelle scuole elementari, socialisti militanti.
Divisi dalla guerra, o meglio, dall’inaspettata posizione interventista che Mussolini “urla” dalle pagine dell’Avanti.

Nel 1921, assieme a Gramsci e Togliatti e ad altri fuorusciti dal Psi, Bombacci fondò il Partito Comunista d’Italia con non poca fatica:

" dilaniandosi fra schiamazzi, veleni, lotte di correnti e rancori personali: più che un congresso quello di Livorno fu una confusa baraonda”.

Stesso anno ma uno scroscio di applausi nasce il Partito Fascista.

Mentre Bombacci esalta il mito sovietico, stivali neri marciano su Roma.
description

Passano gli anni e i due si ritrovano a Salò dove «il supertraditore » (come lo chiamava Luigi Longo) riversa il colpo di coda della rivoluzione socialista tanto agognata.
Nella RSI, in sostanza, pensava di aver trovato il luogo adatto dove la versione sociale del fascismo e il comunismo come lui lo intendeva potessero fondersi in una nuova alba.

La sua fine sarà accanto all’amico di una vita: a testa in giù, accanto al benzinaio di piazzale Loreto a Milano dopo aver gridato “Viva il socialismo, viva Mussolini (o “l’Italia,” secondo altri).

Fascista rosso o comunista nero?

Odiato dai fascisti di cui subì più volte gli attacchi squadristi e che cantavano:

"Me ne frego di Bombacci /
e del sol dell'avvenir/
con la barba di Bombacci /
faremo spazzolini: per lucidar le scarpe /
di Benito Mussolini..."


Per quanto i suoi comizi sembrassero minacciosi era un uomo mite (alcuni lo definirono vigliacco visto che scappava quando le cose si mettevano male...) in una società che, invece, si stava ricostruendo sulle basi della violenza e della virilità.


Bombacci è rimasto un nome nella storia per lo più dimenticato o, alla meglio, lasciato in secondo piano come una fugace comparsa.
Il primo piano, si sa, non è il suo, la scena gli è continuamente rubata.

Così Petacco nel raccontarci la sua storia ci riconferma il ruolo di eterno secondo e scivola inesorabilmente nella cronaca del dittatore che tutti già conosciamo.
Ma c'è di più: nel ripercorrere quegli anni, lo storico ci parla di un duce moderato e stanco.
Mussolini avrebbe voluto andare in pensione fu costretto dai nazisti ne approfittò allora per rendere concreto il sogno socialista che si era perso nel ventennio tra i fanatismi fascisti.

Bombacci che aveva condotto un’opposizione fittizia fu sorvegliato ma mai né ammonito né imprigionato anzi la protezione di Mussolini fu velata ma costante anche dal punto di vista economico.

Ma allora di cosa stiamo parlando?
Di cosa siamo sorpresi se alla fine Bombacci cambiò colore della camicia seppure non aderì mai ufficialmente al partito ma rimase sempre dietro le quinte di un’amicizia ingombrante e probabilmente con delle idee confuse (socialismo, comunismo e totale indifferenza sul dramma del popolo italiano e la guerra civile in corso?) così come confuso è questo libro.

Sì interessante il racconto e tra l’altro col pregio di essere scorrevole ma con un focus sfuggente e sfuggito.
Ovvio che occorreva inquadrare il contesto ma in realtà avrei voluto capire meglio le scelte di Bombacci di cui, in realtà, mancano un sacco di informazioni.
Insomma, interessante ma più per quello che sta attorno ma anche fastidioso nel ribadire l'onestà e buona fedele dei fascisti di Salò (Sic!)


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Spare: Il minore 63348986 Finalmente Harry racconta la sua storia.]]> 594 Prince Harry 8835722470 Dagio_maya 0 europea, nonfiction Mi riferisco alle reazioni di chi mi sta attorno (nella vita fisica e non) alla scoperta di questa mia lettura.
Non a caso, la chiamo “scoperta”, infatti, come fosse qualcosa di inaudito con gli occhi sbarrati o con emoticon significative mi è stato chiesto il perché più o meno con questo tono:
«Ma dai! Anche tu?!».
Tono tendente al derisorio, sguardo ammiccante come se ti avessero beccato con un giornaletto porno, anzi, peggio con una rivista di gossip..
Il sotto testo è: «Perché sei caduta così in basso?».

Ecco credo che queste reazioni la dicano lunga su questo successo editoriale.
Conscia della grande operazione di marketing che sta dietro, davanti e ad ogni lato di questo “prodotto” non mi vergogno di ammettere che, per la prima volta nella mia vita sono stata curiosa di sapere qualcosa di questa famiglia "Reale" che poi, a pensarci bene, di "reale" ha ben poco.
Sono sicuramente tra coloro che considerano la monarchia un vero e proprio anacronismo tanto da essere a miei occhi una vera e propria caricatura.

Matrimoni, funerali, nascite e pettegolezzi vari: ne sapevo ben poco.
Ovviamente sapevo di Diana, della separazione, di Camilla ma tutte informazioni superficiali di cui non ho mai avuto voglia e tempo di approfondire.
Quello che sicuramente mi ha attratto è stata questa immagine del ribelle che certo non manca nelle pagine di storia ma altri tempi e altri modi.
Insomma, questa versione 2.0 mi ha attratta e sinceramente non mi sono pentita della lettura.

A metà tra un cahiers de doléances ed uno di quei mémoir dove la scrittura autobiografica è utilizzata come terapia (Duccio Demetrio docet).

Riguardo alle lamentele sono principalmente indirizzate alla stampa gossippara inglese di cui si riportano una miriade di esempi dove l’invasione della privacy del Principe non è un fastidio ma diventa qualcosa su cui si regola ogni giornata.
Rammarichi sono, ovviamente, rivolti, alla sua famiglia i cui silenzi hanno rivelato la loro complicità in tutto questo.

Sull’altro versante, Harry sveste i panni del principe per rivelare il bambino ferito dalla prematura morte della madre di cui cerca segni in ogni cosa aggrappandosi ad un irrazionale pensiero magico. Una rilettura dell’anafettività di una famiglia che, per tradizione e protocollo, non esprime amore ma costruisce ruoli su cui ognuno si arrocca e combatte per mantenere una posizione di predominio.

In mezzo c’è un ragazzino che diventa uomo aderendo ad una visione manichea e limitata della società e della storia. Soldato, cacciatore (entrambi ruoli che adora vestire) o benefattore si erge a giustiziere forse, anche, per rimuovere, quell’etichetta che tanto ferisce: spare, la riserva, la ruota di scorta.
Autocelebrativo? Sì, molto ma non mi aspettavo nulla di diverso.

(come di consueto non metto stelle alle autobiografie)
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3.10 2023 Spare: Il minore
author: Prince Harry
name: Dagio_maya
average rating: 3.10
book published: 2023
rating: 0
read at: 2023/02/06
date added: 2025/03/10
shelves: europea, nonfiction
review:
Apro con una nota a margine anche se, mentre scrivo, mi rendo conto che vorrei parlare più che altro di questo.
Mi riferisco alle reazioni di chi mi sta attorno (nella vita fisica e non) alla scoperta di questa mia lettura.
Non a caso, la chiamo “scoperta”, infatti, come fosse qualcosa di inaudito con gli occhi sbarrati o con emoticon significative mi è stato chiesto il perché più o meno con questo tono:
«Ma dai! Anche tu?!».
Tono tendente al derisorio, sguardo ammiccante come se ti avessero beccato con un giornaletto porno, anzi, peggio con una rivista di gossip..
Il sotto testo è: «Perché sei caduta così in basso?».

Ecco credo che queste reazioni la dicano lunga su questo successo editoriale.
Conscia della grande operazione di marketing che sta dietro, davanti e ad ogni lato di questo “prodotto” non mi vergogno di ammettere che, per la prima volta nella mia vita sono stata curiosa di sapere qualcosa di questa famiglia "Reale" che poi, a pensarci bene, di "reale" ha ben poco.
Sono sicuramente tra coloro che considerano la monarchia un vero e proprio anacronismo tanto da essere a miei occhi una vera e propria caricatura.

Matrimoni, funerali, nascite e pettegolezzi vari: ne sapevo ben poco.
Ovviamente sapevo di Diana, della separazione, di Camilla ma tutte informazioni superficiali di cui non ho mai avuto voglia e tempo di approfondire.
Quello che sicuramente mi ha attratto è stata questa immagine del ribelle che certo non manca nelle pagine di storia ma altri tempi e altri modi.
Insomma, questa versione 2.0 mi ha attratta e sinceramente non mi sono pentita della lettura.

A metà tra un cahiers de doléances ed uno di quei mémoir dove la scrittura autobiografica è utilizzata come terapia (Duccio Demetrio docet).

Riguardo alle lamentele sono principalmente indirizzate alla stampa gossippara inglese di cui si riportano una miriade di esempi dove l’invasione della privacy del Principe non è un fastidio ma diventa qualcosa su cui si regola ogni giornata.
Rammarichi sono, ovviamente, rivolti, alla sua famiglia i cui silenzi hanno rivelato la loro complicità in tutto questo.

Sull’altro versante, Harry sveste i panni del principe per rivelare il bambino ferito dalla prematura morte della madre di cui cerca segni in ogni cosa aggrappandosi ad un irrazionale pensiero magico. Una rilettura dell’anafettività di una famiglia che, per tradizione e protocollo, non esprime amore ma costruisce ruoli su cui ognuno si arrocca e combatte per mantenere una posizione di predominio.

In mezzo c’è un ragazzino che diventa uomo aderendo ad una visione manichea e limitata della società e della storia. Soldato, cacciatore (entrambi ruoli che adora vestire) o benefattore si erge a giustiziere forse, anche, per rimuovere, quell’etichetta che tanto ferisce: spare, la riserva, la ruota di scorta.
Autocelebrativo? Sì, molto ma non mi aspettavo nulla di diverso.

(come di consueto non metto stelle alle autobiografie)

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<![CDATA[Tutto quello che non abbiamo visto: Un viaggio in Eritrea]]> 122861642
Un viaggio insieme ad alcuni amici in Eritrea diventa l’occasione per una riflessione tanto intima quanto collettiva. O forse è il contrario: lo sguardo rivolto da Tommaso Giartosio al mondo e al sé è così intenso e concentrato che assume, quasi naturalmente, la forma di un viaggio. Ma non di un viaggio qualsiasi: l’Eritrea è il nostro compagno segreto, di noi italiani, l’alterità più prossima e per questo rimossa e sempre ritornante. «Per la prima volta io occidentale, io italiano, andavo a trovare a casa sua gente che avevamo conquistato e tormentato e poi piantato lì e dimenticato, e che spesso compiva il percorso inverso e trovava in Italia lo stesso razzismo di cent’anni fa»: ma il viaggio, il viaggio reale, l’incontro con l’altro, come sempre danno corpo a ciò che fino a quel momento aveva la minacciosa indefinitezza del fantasma. E riescono a sorprenderci. Tommaso Giartosio ci racconta in maniera sensibile e inaspettata un paese tanto importante quanto poco conosciuto: e lo fa con lo sguardo mai ingenuo del poeta e dell’intellettuale, dello scrittore capace di rendere conto dei filtri che si annidano in ogni punto di vista (l’orientalismo, il razzismo inconscio, il pauperismo estetizzante…) Attraverso la sua scrittura precisa e poetica il viaggio diventa il sismografo più sensibile nel registrare le tracce, sfuggenti e spesso misteriose, che l’esperienza lascia sulle nostre anime e sui nostri corpi.]]>
184 Tommaso Giartosio 8806255622 Dagio_maya 5 real, italiana, nonfiction ” Nel gioco del vedere, si rischia la cecità etica.”

Poetico, storico, sociologico, filosofico.
Quante dimensioni in questo libro che solo apparentemente parla di un viaggio ma (da subito, in realtà) rivela il suo vero volto: quello della sostanza di cui è fatto un viaggio.
La relazione con l’Altro fatta di corpi che vengono in contatto, sguardi che si indagano, spazi che vengono occupati. L’immedesimarsi nell’Altro ma anche l’inevitabile confronto (forzato, non voluto ma inevitabile).
In questo libro trovate tutto questo ed altro perché la meta del viaggio, ossia l’Eritrea carica l’esperienza di ulteriori significati. Innanzitutto, il peso e la vergogna di un passato colonialista che disconosciamo ma non possiamo cancellare.
Siamo eredi di una colpa che imbarazza e vergogna.
Tommaso Giartosio (poeta, scrittore e conduttore di Rai RadioTre Fahrenheit) si reca con alcuni amici in Eritrea nel 2019, all’indomani della firma al Trattato con l’Etiopia dopo una sanguinosa guerra durata ben sessant’anni. La pace durerà solo il tempo del viaggio.
Una volta tornato, Giartosio decide di scrivere queste riflessioni e lo fa sotto forma epistolare indirizzando le lettere ad Antonio fotografo e compagno di viaggio.


” Antonio, cos’è il racconto di viaggio? Secondo me è l’esperienza del non esperto: definizione che ne racchiude la forza e il limite.”

Non una narrazione lineare in termini di spazio-tempo ma un percorso che pone al centro l’atto del “vedere” con tutti le barriere che può porre un pensiero soggettivo.
Siamo fatti di pregiudizi che lo si voglia o no.
Un viaggio di questo genere pone succubi dei sensi: immagini, suoni, odori che assalgono.

” Cosí MI FERMO.
Tiro lo sciacquone.
Tutto si svuota. Anch’io mi svuoto.
E dopo avere raccontato tutto quello che ho visto, fin dove potevo, fin dove dovevo, scopro che ciò che ora veramente mi interessa è altro: quello che non abbiamo visto.
Ma preferisco fermarmi qui
Continuo.
Quello che non abbiamo visto, Antonio.
(…)
tutto quello che non riusciamo a vedere con i nostri occhi stranieri; tutto quello che ci siamo persi ignorando per decenni il nostro legame con questo paese; tutto quello che giace in una tomba di terra o d’acqua; tutto quello che nessuno può vedere perché è fatto di parole, pensieri, emozioni; tutto quello che possiamo solo immaginare o postulare. Penso invece a quello che a volte viene chiamato il “regime visivo” di un popolo: frutto della sua storia, della sua cultura, e di qualcos’altro di imponderabile.”


Bellissima lettura consigliata a tutti coloro che sanno vedere oltre il proprio naso…





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3.83 2023 Tutto quello che non abbiamo visto: Un viaggio in Eritrea
author: Tommaso Giartosio
name: Dagio_maya
average rating: 3.83
book published: 2023
rating: 5
read at: 2023/03/26
date added: 2025/03/10
shelves: real, italiana, nonfiction
review:
” Nel gioco del vedere, si rischia la cecità etica.”

Poetico, storico, sociologico, filosofico.
Quante dimensioni in questo libro che solo apparentemente parla di un viaggio ma (da subito, in realtà) rivela il suo vero volto: quello della sostanza di cui è fatto un viaggio.
La relazione con l’Altro fatta di corpi che vengono in contatto, sguardi che si indagano, spazi che vengono occupati. L’immedesimarsi nell’Altro ma anche l’inevitabile confronto (forzato, non voluto ma inevitabile).
In questo libro trovate tutto questo ed altro perché la meta del viaggio, ossia l’Eritrea carica l’esperienza di ulteriori significati. Innanzitutto, il peso e la vergogna di un passato colonialista che disconosciamo ma non possiamo cancellare.
Siamo eredi di una colpa che imbarazza e vergogna.
Tommaso Giartosio (poeta, scrittore e conduttore di Rai RadioTre Fahrenheit) si reca con alcuni amici in Eritrea nel 2019, all’indomani della firma al Trattato con l’Etiopia dopo una sanguinosa guerra durata ben sessant’anni. La pace durerà solo il tempo del viaggio.
Una volta tornato, Giartosio decide di scrivere queste riflessioni e lo fa sotto forma epistolare indirizzando le lettere ad Antonio fotografo e compagno di viaggio.


” Antonio, cos’è il racconto di viaggio? Secondo me è l’esperienza del non esperto: definizione che ne racchiude la forza e il limite.”

Non una narrazione lineare in termini di spazio-tempo ma un percorso che pone al centro l’atto del “vedere” con tutti le barriere che può porre un pensiero soggettivo.
Siamo fatti di pregiudizi che lo si voglia o no.
Un viaggio di questo genere pone succubi dei sensi: immagini, suoni, odori che assalgono.

” Cosí MI FERMO.
Tiro lo sciacquone.
Tutto si svuota. Anch’io mi svuoto.
E dopo avere raccontato tutto quello che ho visto, fin dove potevo, fin dove dovevo, scopro che ciò che ora veramente mi interessa è altro: quello che non abbiamo visto.
Ma preferisco fermarmi qui
Continuo.
Quello che non abbiamo visto, Antonio.
(…)
tutto quello che non riusciamo a vedere con i nostri occhi stranieri; tutto quello che ci siamo persi ignorando per decenni il nostro legame con questo paese; tutto quello che giace in una tomba di terra o d’acqua; tutto quello che nessuno può vedere perché è fatto di parole, pensieri, emozioni; tutto quello che possiamo solo immaginare o postulare. Penso invece a quello che a volte viene chiamato il “regime visivo” di un popolo: frutto della sua storia, della sua cultura, e di qualcos’altro di imponderabile.”


Bellissima lettura consigliata a tutti coloro che sanno vedere oltre il proprio naso…






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Cassandra a Mogadiscio 123165468

A Roma, il 31 dicembre 1990, una sedicenne si prepara per la sua prima festa di Capodanno: indossa un maglione preso alla Caritas, ha truccato in modo maldestro la sua pelle scura, ma è una ragazza fiera e immagina il nuovo anno carico di promesse. Non sa che proprio quella sera si compirà per lei il destino che grava su tutta la sua famiglia: mentre la televisione racconta della guerra civile scoppiata in Somalia, il Jirro scivola dentro il suo animo per non abbandonarlo mai più. Jirro è una delle molte parole somale che incontriamo in questo libro: è la malattia del trauma, dello sradicamento, un male che abita tutti coloro che vivono una diaspora. Nata in Italia da genitori esuli durante la dittatura di Siad Barre, Igiaba Scego mescola la lingua italiana con le sonorità di quella somala per intessere queste pagine che sono al tempo stesso una lettera a una giovane nipote, un resoconto storico, una genealogia familiare, un laboratorio alchemico nel quale la sofferenza si trasforma in speranza grazie al potere delle parole. Parole che, come un filo, ostinatamente uniscono ciò che la storia vorrebbe separare, in un racconto che con il suo ritmo ricorsivo e avvolgente ci svela quanto vicende lontane ci riguardino intimamente: il nonno paterno dell’autrice, interprete del generale Graziani durante gli anni infami dell’occupazione italiana; il padre, luminosa figura di diplomatico e uomo di cultura; la madre, cresciuta in un clan nomade e poi inghiottita dalla guerra civile; le umiliazioni della vita da immigrati nella Roma degli anni novanta; la mancanza di una lingua comune per una grande famiglia sparsa tra i continenti; una malattia che giorno dopo giorno toglie luce agli occhi. Come una moderna Cassandra, Igiaba Scego depone l’amarezza per le ingiustizie perpetrate e le grida di dolore inascoltate e sceglie di fare della propria vista appannata una lente benevola sul mondo, scrivendo un grande libro sul nostro passato e il nostro presente, che celebra la fratellanza, la possibilità del perdono, della cura e della pace.]]>
368 Igiaba Scego 8830109231 Dagio_maya 5 "Mi sentivo come Cassandra, la figlia di Priamo, quando vide il maledetto cavallo di legno davanti alle mura della sua città.
Il cavallo con dentro gli Achei che avrebbero distrutto Troia e la sua famiglia.
Cassandra vedeva la sciagura approssimarsi.
E anch’io vedevo la sciagura mentre roteavo la testa con Stevie Wonder che da uno stereo mi dettava il ritmo."




Non è mia abitudine assegnare stelle a racconti autobiografici e memoir.
Succede, talvolta, che prevalga l’emozione.
Vuoi per la scrittura così gradevole da sembrarti una melodia.
Vuoi per un’affinità di pensiero.
Fatto sta che “Cassandra a Mogadiscio” sia, per me, un’opera che merita di essere letta, merita di essere in lizza per il Premio Strega e, a mio parere, vincerlo perché questo libro ha sì per protagonista la famiglia Scego e la diaspora somala ma, inevitabilmente, parla di tutti noi.

L’autrice riallaccia fili della sua infanzia e di ciò che precede, ossia la storia dei suoi genitori ancor prima della fuga forzata dal regime di Siad Barre.

Questa è la storia della famiglia Scego: un padre, una madre, una figlia ed un numero indefinito di altri parenti disseminati come schegge dopo un’esplosione.

Tutti legati dal Jirro

” Jirro in somalo significa “malattia”, letteralmente è così, ogni vocabolario ti riporterà questa spiegazione. Persino Google Translate.
Ma Jirro per noi è una parola più vasta. Parla delle nostre ferite, del nostro dolore, del nostro stress postraumatico, postguerra.
Jirro è il nostro cuore spezzato. La nostra vita in equilibrio precario tra l’inferno e il presente.
Siamo esseri diasporici, sospesi nel vento, sradicati da una dittatura ventennale, da una delle più devastanti guerre avvenute sul pianeta Terra e da un grosso traffico di armi che ha seppellito le nostre ossa, e quelle dei nostri antenati, sotto un cumulo di kalashnikov che dalla Transnistria sono sbarcati direttamente al porto di Mogadiscio.
Per annientarci.”



Il racconto è ricomposto intervistando la madre e sicuramente quello della memoria è il motore attorno a cui ruotano tutte le questioni dell’essere diasporici.
La dispersione mette in risalto tutta una serie di dicotomie che cercano un equilibrio:
la lingua madre e la lingua dell’italiano colonizzatore; le ferite inferte dal crudele colonialismo italiano e la persistente negazione degli italiani di quello che è accaduto; l’essere spezzati vs il quotidiano sforzo di riorganizzarsi in cerca di un’unità.

Ci sono pagine molto dolorose come quelle che ci parlano della crudele pratica dell’infibulazione ma anche delle patologica scappatoia che una Igiaba Sciego adolescente trova per scansare il dolore di una madre lontana in mezzo alla guerra civile, la bulimia:

”Vomitando mi illudevo di poter scappare da tutto quello che mi ballava intorno.
Il vomito nasceva dalla voglia di mettere ordine in una vita che stava prendendo pieghe impreviste, quella dell’adolescente che ero quando è scoppiata la guerra.”


L’opera assume le forme di una lettera indirizzata alla nipote Soraya che vive in Canada.
Non tanto un espediente narrativo quanto un vero e proprio intento di combattere l’oblio della Storia.
Le nuove generazioni, infatti, se non aiutate nel sostenere il ricordo sono passibili della dimenticanza.

La scrittrice è al centro di una storia fra due mondi: Europa ed Africa, Italia e Somalia, Roma e Mogadiscio.
Lei nata e cresciuta (tranne un anno in Somalia) a Roma non è considerata italiana perché nera ma è chiamata “l’italiana” dai somali.

Questa lettura mi ha fatto riflettere su tante cose.
L’indignazione generale per la guerra, ieri come oggi, nasconde una miriade di tragedie private ma altrettanto drammatica è la velocità con cui assorbiamo tutto come consuetudine.

Quanto tempo è passato da quando stavamo incollati a guardare le immagini dei bombardamenti in Ucraina al momento in cui abbiamo inziato a cambiare velocemente canale in cerca di qualcosa di più leggero che non ci faccia pensare?

Lo stesso è successo a suo tempo con la guerra in Somalia.
Immagini che crediamo indelebili e poi svaniscono perchè non ci riguardano oalmeno così crediamo.
Tanto che oggi quasi nessuno conosce gli eventi e veramente in pochi sanno dell’usurpazione e delle violenze italiane nelle colonie.
E’ come se ci fosse un’anestesia generale.
Bandita l’empatia.
E quando mi capita di leggere/sentire l’odio che respinge e vorrebbe annullare altri esseri umani io sento tutto il fallimento di questa umanità.

"Memoria. Sei saltata in aria su mine antiuomo. Sei stata fucilata in plotoni d’esecuzione sommari e improvvisati. Sei stata stuprata nel deserto da trafficanti ingordi di dollari. Sei stata ridotta a brandelli da autobombe esplose nella notte per conto di mafie e terrorismi. Sei stata crivellata dai kalashnikov in battaglia. E ora sei sfollata in un campo profughi gremito. E poi insultata nelle vie di un Occidente che non ti conosce né ti vuole conoscere. E così intanto evapori. Via. Lontano. Dalle menti. Dai cuori. Dalle schiene che ti sostenevano audaci e incoscienti. Recuperarti dal baratro in cui sei caduta è forse l’unica cosa che possiamo fare se vogliamo guarire davvero. Se vogliamo che il Jirro prima o poi ci lasci in pace."]]>
3.69 2023 Cassandra a Mogadiscio
author: Igiaba Scego
name: Dagio_maya
average rating: 3.69
book published: 2023
rating: 5
read at: 2023/05/10
date added: 2025/03/10
shelves: italiana, alfemminile, africana, real, storica, 5-stelle, non-dimentico, nonfiction
review:
"Mi sentivo come Cassandra, la figlia di Priamo, quando vide il maledetto cavallo di legno davanti alle mura della sua città.
Il cavallo con dentro gli Achei che avrebbero distrutto Troia e la sua famiglia.
Cassandra vedeva la sciagura approssimarsi.
E anch’io vedevo la sciagura mentre roteavo la testa con Stevie Wonder che da uno stereo mi dettava il ritmo."




Non è mia abitudine assegnare stelle a racconti autobiografici e memoir.
Succede, talvolta, che prevalga l’emozione.
Vuoi per la scrittura così gradevole da sembrarti una melodia.
Vuoi per un’affinità di pensiero.
Fatto sta che “Cassandra a Mogadiscio” sia, per me, un’opera che merita di essere letta, merita di essere in lizza per il Premio Strega e, a mio parere, vincerlo perché questo libro ha sì per protagonista la famiglia Scego e la diaspora somala ma, inevitabilmente, parla di tutti noi.

L’autrice riallaccia fili della sua infanzia e di ciò che precede, ossia la storia dei suoi genitori ancor prima della fuga forzata dal regime di Siad Barre.

Questa è la storia della famiglia Scego: un padre, una madre, una figlia ed un numero indefinito di altri parenti disseminati come schegge dopo un’esplosione.

Tutti legati dal Jirro

” Jirro in somalo significa “malattia”, letteralmente è così, ogni vocabolario ti riporterà questa spiegazione. Persino Google Translate.
Ma Jirro per noi è una parola più vasta. Parla delle nostre ferite, del nostro dolore, del nostro stress postraumatico, postguerra.
Jirro è il nostro cuore spezzato. La nostra vita in equilibrio precario tra l’inferno e il presente.
Siamo esseri diasporici, sospesi nel vento, sradicati da una dittatura ventennale, da una delle più devastanti guerre avvenute sul pianeta Terra e da un grosso traffico di armi che ha seppellito le nostre ossa, e quelle dei nostri antenati, sotto un cumulo di kalashnikov che dalla Transnistria sono sbarcati direttamente al porto di Mogadiscio.
Per annientarci.”



Il racconto è ricomposto intervistando la madre e sicuramente quello della memoria è il motore attorno a cui ruotano tutte le questioni dell’essere diasporici.
La dispersione mette in risalto tutta una serie di dicotomie che cercano un equilibrio:
la lingua madre e la lingua dell’italiano colonizzatore; le ferite inferte dal crudele colonialismo italiano e la persistente negazione degli italiani di quello che è accaduto; l’essere spezzati vs il quotidiano sforzo di riorganizzarsi in cerca di un’unità.

Ci sono pagine molto dolorose come quelle che ci parlano della crudele pratica dell’infibulazione ma anche delle patologica scappatoia che una Igiaba Sciego adolescente trova per scansare il dolore di una madre lontana in mezzo alla guerra civile, la bulimia:

”Vomitando mi illudevo di poter scappare da tutto quello che mi ballava intorno.
Il vomito nasceva dalla voglia di mettere ordine in una vita che stava prendendo pieghe impreviste, quella dell’adolescente che ero quando è scoppiata la guerra.”


L’opera assume le forme di una lettera indirizzata alla nipote Soraya che vive in Canada.
Non tanto un espediente narrativo quanto un vero e proprio intento di combattere l’oblio della Storia.
Le nuove generazioni, infatti, se non aiutate nel sostenere il ricordo sono passibili della dimenticanza.

La scrittrice è al centro di una storia fra due mondi: Europa ed Africa, Italia e Somalia, Roma e Mogadiscio.
Lei nata e cresciuta (tranne un anno in Somalia) a Roma non è considerata italiana perché nera ma è chiamata “l’italiana” dai somali.

Questa lettura mi ha fatto riflettere su tante cose.
L’indignazione generale per la guerra, ieri come oggi, nasconde una miriade di tragedie private ma altrettanto drammatica è la velocità con cui assorbiamo tutto come consuetudine.

Quanto tempo è passato da quando stavamo incollati a guardare le immagini dei bombardamenti in Ucraina al momento in cui abbiamo inziato a cambiare velocemente canale in cerca di qualcosa di più leggero che non ci faccia pensare?

Lo stesso è successo a suo tempo con la guerra in Somalia.
Immagini che crediamo indelebili e poi svaniscono perchè non ci riguardano oalmeno così crediamo.
Tanto che oggi quasi nessuno conosce gli eventi e veramente in pochi sanno dell’usurpazione e delle violenze italiane nelle colonie.
E’ come se ci fosse un’anestesia generale.
Bandita l’empatia.
E quando mi capita di leggere/sentire l’odio che respinge e vorrebbe annullare altri esseri umani io sento tutto il fallimento di questa umanità.

"Memoria. Sei saltata in aria su mine antiuomo. Sei stata fucilata in plotoni d’esecuzione sommari e improvvisati. Sei stata stuprata nel deserto da trafficanti ingordi di dollari. Sei stata ridotta a brandelli da autobombe esplose nella notte per conto di mafie e terrorismi. Sei stata crivellata dai kalashnikov in battaglia. E ora sei sfollata in un campo profughi gremito. E poi insultata nelle vie di un Occidente che non ti conosce né ti vuole conoscere. E così intanto evapori. Via. Lontano. Dalle menti. Dai cuori. Dalle schiene che ti sostenevano audaci e incoscienti. Recuperarti dal baratro in cui sei caduta è forse l’unica cosa che possiamo fare se vogliamo guarire davvero. Se vogliamo che il Jirro prima o poi ci lasci in pace."
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<![CDATA[Il giro del mondo in 72 giorni]]> 90542899 Il 25 gennaio 1890 alle 15:51 migliaia di persone festeggiano la fine del viaggio e il suo in 72 giorni, 6 ore, 11 minuti e 14 secondi Nellie Bly ha completato il giro del mondo.
Prima donna a farsi internare in un manicomio per denunciarne le condizioni, prima donna a compiere un viaggio intorno al mondo da sola, prima donna a raccontare il fronte di guerra. Nellie Bly è stata una donna da record sotto tutti gli aspetti.]]>
229 Nellie Bly 8897804489 Dagio_maya 4 “Preferirei morire e vincere piuttosto che restare viva e arrivare tardi”.


description

New York a Londra, poi Calais, Brindisi, Port Said, Ismailia, Suez, Aden, Colombo, Penang, Singapore, Hong Kong, Yokohama, San Francisco, New York.

Partenza da Hoboken (New Jersey) il 14 novembre 1889.
Arrivo a Jersey City il 25 gennaio 1890.

Questo il viaggio compiuto dalla giornalista americana Nellie Bly, pseudonimo di Elizabeth Jane Cochran

Caparbia e decisa a difendere l’immagine americana ma – ahimé- succube dei molti pregiudizi di un occidente ancora colonialista.

Ammirata dalle donne per il bagaglio minimalista e dagli uomini per l’audace iniziativa, la Bly, molto spesso, confeziona una cronaca asettica con descrizioni accurate dei mezzi di trasporto più che di paesaggi e di persone.
Via via, però, si scalda.

description


Il viaggia comincia subito con una deviazione a casa dei coniugi Verne.
Visita dovuta dato che l’idea originaria di una sfida a tempo per fare il giro del mondo è proprio quella letteraria dello scrittore francese.

La Bly racconta aneddoti a volte poco interessanti per il lettore contemporaneo già saturo di conoscenze.

Mi ha sorpreso il suo soffermarsi sui minimi particolari delle truci condanne a morte in Cina senza nessun commento disgustato al riguardo mentre non nasconde il ribrezzo verso gli uomini di fatica:


”Un aspetto sgradevole dei coolie è che grugniscono come maiali mentre trasportano le persone. Non so se il grugnito ha per loro un significato particolare, il fatto è che continuano a grugnire uno dopo l’altro nella fila di portantine ed è tutt’altro che piacevole.” (!)


Parole di grande ammirazione sono, invece, dedicate al Giappone ed ai suoi abitanti che probabilmente rispecchiano in miglior modo la sua idea di bellezza e pulizia.

Insomma, ovviamente, una lettura che va inquadrata e digerita (!) tenendo conto del contesto storico.
Personalmente, ho ammirato l’inflessibile volontà di questa donna di arrivare a raggiungere il suo obiettivo.]]>
3.33 1890 Il giro del mondo in 72 giorni
author: Nellie Bly
name: Dagio_maya
average rating: 3.33
book published: 1890
rating: 4
read at: 2023/12/28
date added: 2025/03/10
shelves: americana, classica, nonfiction
review:
“Preferirei morire e vincere piuttosto che restare viva e arrivare tardi”.


description

New York a Londra, poi Calais, Brindisi, Port Said, Ismailia, Suez, Aden, Colombo, Penang, Singapore, Hong Kong, Yokohama, San Francisco, New York.

Partenza da Hoboken (New Jersey) il 14 novembre 1889.
Arrivo a Jersey City il 25 gennaio 1890.

Questo il viaggio compiuto dalla giornalista americana Nellie Bly, pseudonimo di Elizabeth Jane Cochran

Caparbia e decisa a difendere l’immagine americana ma – ahimé- succube dei molti pregiudizi di un occidente ancora colonialista.

Ammirata dalle donne per il bagaglio minimalista e dagli uomini per l’audace iniziativa, la Bly, molto spesso, confeziona una cronaca asettica con descrizioni accurate dei mezzi di trasporto più che di paesaggi e di persone.
Via via, però, si scalda.

description


Il viaggia comincia subito con una deviazione a casa dei coniugi Verne.
Visita dovuta dato che l’idea originaria di una sfida a tempo per fare il giro del mondo è proprio quella letteraria dello scrittore francese.

La Bly racconta aneddoti a volte poco interessanti per il lettore contemporaneo già saturo di conoscenze.

Mi ha sorpreso il suo soffermarsi sui minimi particolari delle truci condanne a morte in Cina senza nessun commento disgustato al riguardo mentre non nasconde il ribrezzo verso gli uomini di fatica:


”Un aspetto sgradevole dei coolie è che grugniscono come maiali mentre trasportano le persone. Non so se il grugnito ha per loro un significato particolare, il fatto è che continuano a grugnire uno dopo l’altro nella fila di portantine ed è tutt’altro che piacevole.” (!)


Parole di grande ammirazione sono, invece, dedicate al Giappone ed ai suoi abitanti che probabilmente rispecchiano in miglior modo la sua idea di bellezza e pulizia.

Insomma, ovviamente, una lettura che va inquadrata e digerita (!) tenendo conto del contesto storico.
Personalmente, ho ammirato l’inflessibile volontà di questa donna di arrivare a raggiungere il suo obiettivo.
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<![CDATA[La cucina dei numeri primi. E le briciole di sapere diventano libro]]> 70719840 0 Giovanni Ballarini 886710098X Dagio_maya 3 cucina, nonfiction Sociologia, storia, statistica, biologia, etimologia, antropologia e persino psicodietetica..
Tutto questo e forse anche di più in questo saggio di Giovanni Ballarini Professore Emerito di scienze gastronomiche e antropologia alimentare, presso l’Università degli Studi di Parma.

La brillante e brevissima introduzione di Massimo Monatanari centra perfettamente il focus di questo saggio:


” Un testo monastico del VI secolo, originario dell’Italia centro-meridionale, chiamato Regola del Maestro perché contiene prescrizioni e consigli attribuiti a un anonimo Magister, fra le varie disposizioni di tipo alimentare ne include una sulle micae panis, le briciole che alla fine di ogni pasto rimangono sulla tavola. I monaci – si raccomanda – le raccolgano con cura, conservandole in un vaso.
Ogni settimana, il sabato sera, le mettano in padella con un po’ di uova e farina e ne facciano una piccola torta da mangiare tutti insieme, rendendo grazie a Dio prima dell’ultima coppa di bevanda calda che conclude la giornata.
L’immagine delle briciole che si trasformano in torta mi sembra una metafora adatta a introdurre questo libro…”



Brevi capitoli, dunque, che come briciole a fine lettura possiamo raccogliere ed unire.
Montanari ci affida un compito non facile.
La lettura è sicuramente interessante.
Molte le informazioni e gli aneddoti curiosi anche se a volte ripetuti.
Non facile l'amalgama.


Parto dal titolo che sicuramente colpisce ed incuriosisce.
Con la definizione di “cucina dei numeri primi” ci si riferisce a qualcosa che, purtroppo, continua a sfuggirmi.

Raccontando di come il bollito sia nel tempo decaduto come portata principale (soprattutto per mancanza di carni adatte), Ballarini, spiega di come questo sia legato ai numeri primi (1/2/3/5/7):
1- Il bollito più semplice quello bovino
2- Si aggiunge un osso spugnoso, e una gallina, meglio se vecchia.
3- Può essere l’aggiunta di un cappone o l’accompagnamento di tre salse
Ecc. ecc…prosegiendo con aggiunte di ingredienti che si collegano ai numeri primi ammantando il bollito di sapori esoterici..mah?!

Il saggio consta di sei parti principali.
Si comincia con “La forza vitale “ in cui si narra della potenza simbolica nella società altomedievale attribuita alla carne a cui venivano affidate capacità di irradiare forza e virilità e quindi destinata alle caste più elevate.

Si prosegue poi con “Il senso della cottura “, “La cucina dei segni “, “La cucina delle parole”, “La cucina dei sensi”, “La ricerca delle origini” per concludere con “Complementi della cucina “.

Testo molto slegato se non nel voler ricondurre piatti e nomi ad un’origine.
Ciò è interessante come ad esempio quando ci dice che:

” Gastronomia un tempo significava regola dello stomaco, ma oggi in modo errato questa parola assume il valore opposto, in quanto sinonimo di una alimentazione raffinata, al tempo stesso eccessiva, se non smodata. In una sana gastronomia, i menù tradizionali di un tempo sono il risultato di una lunga sapienza alimentare, con una composizione quasi sempre ben equilibrata per calorie, proteine e ogni altro componente e rapportati in modo corretto e giusto a stili di vita dove erano necessarie abbondanti calorie.”

Decisamente interessante per la riflessione etimologica e storica: come il senso originario delle parole sia cambiato assieme al nostro modo di mangiare.

Cosi l’autarchia fascista che voleva reprimere ogni tendenza esterofila il movimento futurista:

” rivoluziona il lessico con l’eliminazione delle parole straniere: quisibeve (bar), peralzarsi (dessert), polibibita (cocktail), prestoalsole (pic nic), listavivande (menu) traidue (sandwich).”

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3.00 La cucina dei numeri primi. E le briciole di sapere diventano libro
author: Giovanni Ballarini
name: Dagio_maya
average rating: 3.00
book published:
rating: 3
read at: 2024/01/06
date added: 2025/03/10
shelves: cucina, nonfiction
review:

Sociologia, storia, statistica, biologia, etimologia, antropologia e persino psicodietetica..
Tutto questo e forse anche di più in questo saggio di Giovanni Ballarini Professore Emerito di scienze gastronomiche e antropologia alimentare, presso l’Università degli Studi di Parma.

La brillante e brevissima introduzione di Massimo Monatanari centra perfettamente il focus di questo saggio:


” Un testo monastico del VI secolo, originario dell’Italia centro-meridionale, chiamato Regola del Maestro perché contiene prescrizioni e consigli attribuiti a un anonimo Magister, fra le varie disposizioni di tipo alimentare ne include una sulle micae panis, le briciole che alla fine di ogni pasto rimangono sulla tavola. I monaci – si raccomanda – le raccolgano con cura, conservandole in un vaso.
Ogni settimana, il sabato sera, le mettano in padella con un po’ di uova e farina e ne facciano una piccola torta da mangiare tutti insieme, rendendo grazie a Dio prima dell’ultima coppa di bevanda calda che conclude la giornata.
L’immagine delle briciole che si trasformano in torta mi sembra una metafora adatta a introdurre questo libro…”



Brevi capitoli, dunque, che come briciole a fine lettura possiamo raccogliere ed unire.
Montanari ci affida un compito non facile.
La lettura è sicuramente interessante.
Molte le informazioni e gli aneddoti curiosi anche se a volte ripetuti.
Non facile l'amalgama.


Parto dal titolo che sicuramente colpisce ed incuriosisce.
Con la definizione di “cucina dei numeri primi” ci si riferisce a qualcosa che, purtroppo, continua a sfuggirmi.

Raccontando di come il bollito sia nel tempo decaduto come portata principale (soprattutto per mancanza di carni adatte), Ballarini, spiega di come questo sia legato ai numeri primi (1/2/3/5/7):
1- Il bollito più semplice quello bovino
2- Si aggiunge un osso spugnoso, e una gallina, meglio se vecchia.
3- Può essere l’aggiunta di un cappone o l’accompagnamento di tre salse
Ecc. ecc…prosegiendo con aggiunte di ingredienti che si collegano ai numeri primi ammantando il bollito di sapori esoterici..mah?!

Il saggio consta di sei parti principali.
Si comincia con “La forza vitale “ in cui si narra della potenza simbolica nella società altomedievale attribuita alla carne a cui venivano affidate capacità di irradiare forza e virilità e quindi destinata alle caste più elevate.

Si prosegue poi con “Il senso della cottura “, “La cucina dei segni “, “La cucina delle parole”, “La cucina dei sensi”, “La ricerca delle origini” per concludere con “Complementi della cucina “.

Testo molto slegato se non nel voler ricondurre piatti e nomi ad un’origine.
Ciò è interessante come ad esempio quando ci dice che:

” Gastronomia un tempo significava regola dello stomaco, ma oggi in modo errato questa parola assume il valore opposto, in quanto sinonimo di una alimentazione raffinata, al tempo stesso eccessiva, se non smodata. In una sana gastronomia, i menù tradizionali di un tempo sono il risultato di una lunga sapienza alimentare, con una composizione quasi sempre ben equilibrata per calorie, proteine e ogni altro componente e rapportati in modo corretto e giusto a stili di vita dove erano necessarie abbondanti calorie.”

Decisamente interessante per la riflessione etimologica e storica: come il senso originario delle parole sia cambiato assieme al nostro modo di mangiare.

Cosi l’autarchia fascista che voleva reprimere ogni tendenza esterofila il movimento futurista:

” rivoluziona il lessico con l’eliminazione delle parole straniere: quisibeve (bar), peralzarsi (dessert), polibibita (cocktail), prestoalsole (pic nic), listavivande (menu) traidue (sandwich).”


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<![CDATA[Gli otto peccati capitali della nostra civiltà]]> 9652080 146 Konrad Lorenz 8845901688 Dagio_maya 4 classica, nonfiction
Ma quindi la corsa agli armamenti, la cieca follia dell’odio Uomo vs Uomo, la cecità di fronte al palese sgretolarsi del pianeta terra, come possono essere inquadrati?
Quelle che Lorenz chiama «disfunzioni di meccanismi comportamentali» vanno inserite in un quadro d’insieme dove l’istinto umano è simile a quello animale.

Pubblicato nel 1973 (lo stesso anno in cui ricevette il Nobel per la medicina) questo breve saggio raccoglie un insieme di interventi che lo scienziato fece a vari convegni.

Gli otto peccati capitali sono:

1. La sovrappopolazione della Terra.
2. La devastazione dell'habitat umano.
3. L'accelerazione di tutte le dinamiche sociali a causa della competizione fra uomini.
4. Il bisogno di soddisfazione immediata di tutte le esigenze, primarie o secondarie che siano.
5. Il deterioramento genetico causato dalla scomparsa della selezione naturale.
6. La graduale scomparsa di antiche tradizioni culturali.
7. L'indottrinamento favorito dal perfezionamento dei mezzi di comunicazione.
8. La corsa agli armamenti nucleari.

Lorenz analizza questi punti con uno sguardo scientifico nuovo.
L’accusa che muove alla scienza è, difatti, quella di essere disumanizzante.

”La sovrappopolazione con le inevitabili conseguenze della perdita d'individualità e del livellamento, l'alienazione dalla natura che provoca la scomparsa dell'attitudine dell'uomo ad aver rispetto di qualche cosa, la competizione economica che, in omaggio al principio utilitaristico, considera il mezzo come fine a se stesso e fa dimenticare l'obiettivo originale, e, non da ultimo, il generale appiattimento dei sentimenti: tutti questi mali si manifestano nei fenomeni di disumanizzazione della scienza, ma ne sono la causa, non la conseguenza.”

Testo – ahimé- profetico tranne nella nota d’introduzione che attenua alcune tesi e vuole essere più ottimistica.
Pare che la realtà odierna ci dica tutt’altro..
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3.65 1973 Gli otto peccati capitali della nostra civiltà
author: Konrad Lorenz
name: Dagio_maya
average rating: 3.65
book published: 1973
rating: 4
read at: 2024/03/08
date added: 2025/03/10
shelves: classica, nonfiction
review:
L’etologia che osserva, indaga, deduce non solo dal comportamento animale ma anche da quello umano, come il fine sia sempre quello della conservazione della specie.

Ma quindi la corsa agli armamenti, la cieca follia dell’odio Uomo vs Uomo, la cecità di fronte al palese sgretolarsi del pianeta terra, come possono essere inquadrati?
Quelle che Lorenz chiama «disfunzioni di meccanismi comportamentali» vanno inserite in un quadro d’insieme dove l’istinto umano è simile a quello animale.

Pubblicato nel 1973 (lo stesso anno in cui ricevette il Nobel per la medicina) questo breve saggio raccoglie un insieme di interventi che lo scienziato fece a vari convegni.

Gli otto peccati capitali sono:

1. La sovrappopolazione della Terra.
2. La devastazione dell'habitat umano.
3. L'accelerazione di tutte le dinamiche sociali a causa della competizione fra uomini.
4. Il bisogno di soddisfazione immediata di tutte le esigenze, primarie o secondarie che siano.
5. Il deterioramento genetico causato dalla scomparsa della selezione naturale.
6. La graduale scomparsa di antiche tradizioni culturali.
7. L'indottrinamento favorito dal perfezionamento dei mezzi di comunicazione.
8. La corsa agli armamenti nucleari.

Lorenz analizza questi punti con uno sguardo scientifico nuovo.
L’accusa che muove alla scienza è, difatti, quella di essere disumanizzante.

”La sovrappopolazione con le inevitabili conseguenze della perdita d'individualità e del livellamento, l'alienazione dalla natura che provoca la scomparsa dell'attitudine dell'uomo ad aver rispetto di qualche cosa, la competizione economica che, in omaggio al principio utilitaristico, considera il mezzo come fine a se stesso e fa dimenticare l'obiettivo originale, e, non da ultimo, il generale appiattimento dei sentimenti: tutti questi mali si manifestano nei fenomeni di disumanizzazione della scienza, ma ne sono la causa, non la conseguenza.”

Testo – ahimé- profetico tranne nella nota d’introduzione che attenua alcune tesi e vuole essere più ottimistica.
Pare che la realtà odierna ci dica tutt’altro..

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Yara. Il true crime 200496771 416 Giuseppe Genna 8830119318 Dagio_maya 0 Francesco Montanari, voce narrante, è perfetto nella sua tonalità così adeguata a questa storia così truce.
La scrittura di Genna rispecchia l'ossessione tipica del nostro mondo contemporaneo per questi scenari delittuosi. La True Crime mania crea un popolo di investigatori che seminano il dubbio.

Penso al dolore delle famiglie e credo che il silenzio sia il minimo che si possa concedere.

Ho ascoltato questo audiolibro e non so ancora perchè...
Mi sento disturbata.
(non metto stelline..)]]>
3.06 2023 Yara. Il true crime
author: Giuseppe Genna
name: Dagio_maya
average rating: 3.06
book published: 2023
rating: 0
read at: 2024/08/29
date added: 2025/03/10
shelves: audiolibri, italiana, nonfiction
review:
Ho ascoltato l'audiolibro.
Francesco Montanari, voce narrante, è perfetto nella sua tonalità così adeguata a questa storia così truce.
La scrittura di Genna rispecchia l'ossessione tipica del nostro mondo contemporaneo per questi scenari delittuosi. La True Crime mania crea un popolo di investigatori che seminano il dubbio.

Penso al dolore delle famiglie e credo che il silenzio sia il minimo che si possa concedere.

Ho ascoltato questo audiolibro e non so ancora perchè...
Mi sento disturbata.
(non metto stelline..)
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<![CDATA[Storia della follia nell'età classica]]> 9694904 566 Michel Foucault 8817112224 Dagio_maya 4 classica, europea, nonfiction “Storia della follia nell'età classica “(1961) è la tesi di dottorato di Michel Foucalt.
Aspettarsi un testo divulgativo ed accessibile a tutti è del tutto errato, ragion per cui, l’aver proposto questo testo al Gruppo di Lettura della Sfida dei Classici è stato un vero e proprio azzardo.

Confesso di essere entrata tra queste pagine in modo spavaldo salvo ricredermi da subito perché ho dovuto fare questa lettura in determinati momenti della giornata in cui ero completamente da sola per potermi concentrare sui molti passaggi contorti.
Sì lo so non è invitante ma non posso mentire a riguardo.

Così come non posso ammettere di aver subito anche il fascino di queste pagine.
Come ha detto Judith Revel al Festival della Filosofia dello scorso anno:
«Un libro affascinante ma difficile da afferrare».

Ho ventiquattro pagine di appunti scritti a penna.
In alcuni passaggi, scorgo un certo nervosismo: punti esclamativi e innumerevoli punti interrogativi; note ai margini che chiedono aiuto ma anche piccoli schemi che cercano di ordinare i miei pensieri vaganti.

Tutto questo personale preambolo per dire che mi è impossibile riassumere questa lettura.

Quello che posso fare è tratteggiarne un nucleo, ossia quello di voler tracciare l’evoluzione dello sguardo sociale nei confronti del folle: dal Medioevo alla fine dell’età classica.

Non una storia della psichiatria ma della follia stessa da un’epoca in cui ragione e follia non erano separati dalla società con un dialogo mediato dalla figura del medico.

”Il linguaggio della psichiatria, che è monologo della ragione sopra la follia, non ha potuto stabilirsi se non sopra tale silenzio.
Non ho voluto fare la storia di questo linguaggio; piuttosto l’archeologia di questo silenzio.”



Follia o Non Follia dipendono da uno sguardo ( e fin qui ci siamo) e lo sguardo da cui si parte è quello Medioevale che partendo dal concetto di espiazione (la colpa di essere malati è dei folli come dei lebbrosi) ne fa una lettura morale che considera quasi un favore isolare coloro che ne sono affetti.

Sarà proprio l’arte (letteraria e figurativa) a cambiare i termini di giudizio:


” Nelle farse e nelle soties il personaggio del Folle, del Grullo, o dello Sciocco, prende sempre maggiore importanza. Non è più soltanto la sagoma ridicola e familiare che resta ai margini: occupa il centro del teatro, come colui che detiene la verità.”

description

France Verbeek, Il commercio di stolti o il ridicolo della follia umana, XVI secolo


Una verità ricca di simboli, allusioni, metafore esistenziali di cui il Folle sembra esserne il custode.
C’è un sovraccarico di significati che avvicina le follie ai sogni.

Per capirci: quando sogniamo la ragione si dissolve.
Non ci sono limiti fisici, temporali e tutto ciò che durante la veglia è razionale. Succedono cose che quando ci svegliamo vogliamo interpretare come fossero dei moniti su ciò che ci sta accadendo o dovrà accadere.
Questo era l’atteggiamento verso il folle e la follia.

L’immagine del demente è quella, pertanto, di un custode di un sapere inaccessibile a chi vive di puro raziocinio.
Questo sapere, tuttavia, nel tempo diventa sempre più qualcosa che dovrà essere punito.

Nel 1656 nasce l’Hôpital général, a Parigi.
Non un manicomio come lo intendiamo oggi ma neppure un istituto medico.
Si tratta di un primo ricovero che si allargherà mano a mano a varie regioni francesi per decollare poi in altre nazioni europee.

description

Francisco Goya, La casa dei matti, 1808/1812, olio su tavola, cm 45×72, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid

Sono luoghi, questi, che rispecchiano una nuova sensibilità sociale condivisa che porta ad internare soggetti molto differenti tra loro ma che hanno come comune denominatore la povertà.

La miseria è cresciuta tantissimo e diventa una minaccia dell’ordine pubblico.
Nella mentalità borghese tra XVII° e XVIII° secolo, il lavoro è un dovere sociale e l’ozio un segno di rivolta oltre che un peccato morale.
Chi mendica si trova così a condividere l’internamento assieme ai folli e il cammino sarà lungo: dalle prime classificazioni di alienazione (secondo le quali quasi la totalità degli odierni abitanti del pianeta terra dovrebbero essere rinchiusi!) alla sperimentazione di medicamenti che nulla hanno a che fare con la farmacopea come la intendiamo noi proprio perché lo sguardo non è ancora medico ma ancora morale.

Interessante il bivio a cui si arriva distinguendo la follia giuridica da quella sociale.
La prima sentenzia la perdita di diritti, la nomina di un curatore e quindi l’assegnazione nelle mani di Altri.
La seconda è la condanna sociale in seguito a comportamenti scandalosi per cui si viene colpevolizzati e, in questo caso, il soggetto diventa l’Altro, l’Escluso.

Come dicevo, la strada è lunga e passa attraverso salassi, infusi, tisane, docce e/o bagni freddi e/o caldi, inoculazioni di cose tremende come la rogna per i maniaci (sic!).

Si può attingere a piene mani per scrivere un horror fatto a dovere anche perché alla base c’è l’idea che il folle non sia una persona da proteggere, anzi, probabilmente non è neppure una persona, infatti, pensano che non senta niente ergo gli si può fare di tutto.

La coscienza della follia segue un percorso frammentario che vi risparmio.
Basterà dire che Foucault denomina queste forme di coscienza come “irriducibili” (sono quattro: coscienza critica, pratica,enunciativa ed analitica) autonome e, al tempo stesso solidali nel riconoscere la sragione, ossia ” cioè il rovescio semplice, immediato della ragione; questa forma vuota, senza contenuto né valore, puramente negativa, in cui non troviamo che la traccia di una ragione che è appena sfuggita ma che resta sempre per la sragione la ragione d’essere ciò che essa è.”


Insomma, è folle chi non usa la ragione.
Ciò è visibile dalle parole, dalle azioni o semplicemente dallo sguardo.

L’età classica reputa la follia una malattia degli organi del cervello ma rimane legata a considerazioni più morali che organiche.

La lettura introduce elenchi, classificazioni e quant’altro esponga le idee circolanti riguardo origini, cause ed rimedi alla follia.

Riguardo alla storia dell’internamento bisogna arrivare alla fine del ‘700 perché si inizi un po’ a scremare isolando i folli in luoghi appositi.

Un piccolo seme che dovrà aspettare ancora molto tempo perché germogli con la nascita dei manicomi veri e propri.
Quello che nel tempo cambia è lo sguardo: il folle non è più (solo) un problema di ordine pubblico, un osceno essere da nascondere perché dà scandalo ma un individuo che deve trovare il suo spazio per ritrovare se stesso.

Il percorso delineato da Foucault ci parla quindi di nuove prospettive ma, ancora una volta, ci troviamo di fronte ad una storia di predominio dove qualcuno dice non solo come deve comportarti ma anche chi sei.


”… nell’esperienza classica, la sua follia può essere nello stesso tempo un po’ criminale, un po’ simulata, un po’ immorale e, anche, un po’ ragionevole. Non si tratta di una confusione nel pensiero o di un grado minore di elaborazione; non è che l’effetto logico di una struttura assai coerente: la follia è possibile solo a partire da un momento lontanissimo ma necessario in cui si strappa a se stessa nello spazio libero della sua non-verità costituendosi con ciò stesso come verità.”


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4.08 1961 Storia della follia nell'età classica
author: Michel Foucault
name: Dagio_maya
average rating: 4.08
book published: 1961
rating: 4
read at: 2025/02/24
date added: 2025/03/10
shelves: classica, europea, nonfiction
review:

“Storia della follia nell'età classica “(1961) è la tesi di dottorato di Michel Foucalt.
Aspettarsi un testo divulgativo ed accessibile a tutti è del tutto errato, ragion per cui, l’aver proposto questo testo al Gruppo di Lettura della Sfida dei Classici è stato un vero e proprio azzardo.

Confesso di essere entrata tra queste pagine in modo spavaldo salvo ricredermi da subito perché ho dovuto fare questa lettura in determinati momenti della giornata in cui ero completamente da sola per potermi concentrare sui molti passaggi contorti.
Sì lo so non è invitante ma non posso mentire a riguardo.

Così come non posso ammettere di aver subito anche il fascino di queste pagine.
Come ha detto Judith Revel al Festival della Filosofia dello scorso anno:
«Un libro affascinante ma difficile da afferrare».

Ho ventiquattro pagine di appunti scritti a penna.
In alcuni passaggi, scorgo un certo nervosismo: punti esclamativi e innumerevoli punti interrogativi; note ai margini che chiedono aiuto ma anche piccoli schemi che cercano di ordinare i miei pensieri vaganti.

Tutto questo personale preambolo per dire che mi è impossibile riassumere questa lettura.

Quello che posso fare è tratteggiarne un nucleo, ossia quello di voler tracciare l’evoluzione dello sguardo sociale nei confronti del folle: dal Medioevo alla fine dell’età classica.

Non una storia della psichiatria ma della follia stessa da un’epoca in cui ragione e follia non erano separati dalla società con un dialogo mediato dalla figura del medico.

”Il linguaggio della psichiatria, che è monologo della ragione sopra la follia, non ha potuto stabilirsi se non sopra tale silenzio.
Non ho voluto fare la storia di questo linguaggio; piuttosto l’archeologia di questo silenzio.”



Follia o Non Follia dipendono da uno sguardo ( e fin qui ci siamo) e lo sguardo da cui si parte è quello Medioevale che partendo dal concetto di espiazione (la colpa di essere malati è dei folli come dei lebbrosi) ne fa una lettura morale che considera quasi un favore isolare coloro che ne sono affetti.

Sarà proprio l’arte (letteraria e figurativa) a cambiare i termini di giudizio:


” Nelle farse e nelle soties il personaggio del Folle, del Grullo, o dello Sciocco, prende sempre maggiore importanza. Non è più soltanto la sagoma ridicola e familiare che resta ai margini: occupa il centro del teatro, come colui che detiene la verità.”

description

France Verbeek, Il commercio di stolti o il ridicolo della follia umana, XVI secolo


Una verità ricca di simboli, allusioni, metafore esistenziali di cui il Folle sembra esserne il custode.
C’è un sovraccarico di significati che avvicina le follie ai sogni.

Per capirci: quando sogniamo la ragione si dissolve.
Non ci sono limiti fisici, temporali e tutto ciò che durante la veglia è razionale. Succedono cose che quando ci svegliamo vogliamo interpretare come fossero dei moniti su ciò che ci sta accadendo o dovrà accadere.
Questo era l’atteggiamento verso il folle e la follia.

L’immagine del demente è quella, pertanto, di un custode di un sapere inaccessibile a chi vive di puro raziocinio.
Questo sapere, tuttavia, nel tempo diventa sempre più qualcosa che dovrà essere punito.

Nel 1656 nasce l’Hôpital général, a Parigi.
Non un manicomio come lo intendiamo oggi ma neppure un istituto medico.
Si tratta di un primo ricovero che si allargherà mano a mano a varie regioni francesi per decollare poi in altre nazioni europee.

description

Francisco Goya, La casa dei matti, 1808/1812, olio su tavola, cm 45×72, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid

Sono luoghi, questi, che rispecchiano una nuova sensibilità sociale condivisa che porta ad internare soggetti molto differenti tra loro ma che hanno come comune denominatore la povertà.

La miseria è cresciuta tantissimo e diventa una minaccia dell’ordine pubblico.
Nella mentalità borghese tra XVII° e XVIII° secolo, il lavoro è un dovere sociale e l’ozio un segno di rivolta oltre che un peccato morale.
Chi mendica si trova così a condividere l’internamento assieme ai folli e il cammino sarà lungo: dalle prime classificazioni di alienazione (secondo le quali quasi la totalità degli odierni abitanti del pianeta terra dovrebbero essere rinchiusi!) alla sperimentazione di medicamenti che nulla hanno a che fare con la farmacopea come la intendiamo noi proprio perché lo sguardo non è ancora medico ma ancora morale.

Interessante il bivio a cui si arriva distinguendo la follia giuridica da quella sociale.
La prima sentenzia la perdita di diritti, la nomina di un curatore e quindi l’assegnazione nelle mani di Altri.
La seconda è la condanna sociale in seguito a comportamenti scandalosi per cui si viene colpevolizzati e, in questo caso, il soggetto diventa l’Altro, l’Escluso.

Come dicevo, la strada è lunga e passa attraverso salassi, infusi, tisane, docce e/o bagni freddi e/o caldi, inoculazioni di cose tremende come la rogna per i maniaci (sic!).

Si può attingere a piene mani per scrivere un horror fatto a dovere anche perché alla base c’è l’idea che il folle non sia una persona da proteggere, anzi, probabilmente non è neppure una persona, infatti, pensano che non senta niente ergo gli si può fare di tutto.

La coscienza della follia segue un percorso frammentario che vi risparmio.
Basterà dire che Foucault denomina queste forme di coscienza come “irriducibili” (sono quattro: coscienza critica, pratica,enunciativa ed analitica) autonome e, al tempo stesso solidali nel riconoscere la sragione, ossia ” cioè il rovescio semplice, immediato della ragione; questa forma vuota, senza contenuto né valore, puramente negativa, in cui non troviamo che la traccia di una ragione che è appena sfuggita ma che resta sempre per la sragione la ragione d’essere ciò che essa è.”


Insomma, è folle chi non usa la ragione.
Ciò è visibile dalle parole, dalle azioni o semplicemente dallo sguardo.

L’età classica reputa la follia una malattia degli organi del cervello ma rimane legata a considerazioni più morali che organiche.

La lettura introduce elenchi, classificazioni e quant’altro esponga le idee circolanti riguardo origini, cause ed rimedi alla follia.

Riguardo alla storia dell’internamento bisogna arrivare alla fine del ‘700 perché si inizi un po’ a scremare isolando i folli in luoghi appositi.

Un piccolo seme che dovrà aspettare ancora molto tempo perché germogli con la nascita dei manicomi veri e propri.
Quello che nel tempo cambia è lo sguardo: il folle non è più (solo) un problema di ordine pubblico, un osceno essere da nascondere perché dà scandalo ma un individuo che deve trovare il suo spazio per ritrovare se stesso.

Il percorso delineato da Foucault ci parla quindi di nuove prospettive ma, ancora una volta, ci troviamo di fronte ad una storia di predominio dove qualcuno dice non solo come deve comportarti ma anche chi sei.


”… nell’esperienza classica, la sua follia può essere nello stesso tempo un po’ criminale, un po’ simulata, un po’ immorale e, anche, un po’ ragionevole. Non si tratta di una confusione nel pensiero o di un grado minore di elaborazione; non è che l’effetto logico di una struttura assai coerente: la follia è possibile solo a partire da un momento lontanissimo ma necessario in cui si strappa a se stessa nello spazio libero della sua non-verità costituendosi con ciò stesso come verità.”



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<![CDATA[Autobiografie della leggera: Emarginati, balordi e ribelli raccontano le loro storie di confine (Italian Edition)]]> 41071612 554 Danilo Montaldi 8845297438 Dagio_maya 3 Forse ho aspettato troppo a leggerlo così che le mie aspettative sono lievitate sgonfiandosi di colpo durante la lettura che si è rivelata faticosa e –ahimè- noiosa.
Mi vergogno un po’ mentre scrivo perché come posso permettermi di annoiarmi di fronte al racconto di vite disgraziate?
Ma partiamo dall’inizio.

Danilo Montaldi – militante di sinistra ed intellettuale soprattutto interessato a studi storiografici e sociologici- nel 1961 pubblica quest’opera particolare in quanto i protagonisti raccontano le loro vite ma lo fanno in una modalità , direi, “parlata”.
Come se si trattasse di un dialogo tra amici ci fanno conoscere i luoghi dove sono nati, le famiglie (quando ci sono) e soprattutto le difficoltà della gente a i margini perché «la leggèra» si riferisce alla malavita padana soprattutto quella nata e cresciuta attorno al fiume.
Sono racconti che divagano, si attorcigliano e si ripetono proprio come si trattasse di una conversazione al bar.

Montaldi antepone un’introduzione lunghissima e, sinceramente, al limite della mia comprensione perché infarcita di quelle modalità proprie dell’esposizioni politiche e dogmatiche.
Così c’è questa discrepanza abissale tra le due parti dell’opera basate proprio sul linguaggio intellettuale dell’autore (probabilmente per dare forza e valore al testo) e la sgrammaticata chiacchierata dei protagonisti.

Attraversiamo il Novecento in un territorio – la Bassa Padana - che è un vero e proprio microcosmo dove pullulano uomini e donne che per sopravvivere fanno di tutto.
Esistenze avventurose ma non per scelta.

Si parte da Orlando P. che nel 1938, confinato all’isola di Ponza racconta la sua storia fatta di mille mestieri finchè caduto una volta nel bisogno di rubare entra in carcere dove inizia la vera e propria formazione alla vita criminale.
Così accade a Teuta, a Poveri Romeo e il Bigoncia: vite senza redenzione.
Sembra fare eccezione l’ultima protagonista: la Cicci, prostituta per fame che riesce dopo alcuni anni a cambiar vita.

Interessante ma faticoso.


” Questo è il lamento di un uomo che grida vendetta alla società perché verso di me fu ingiusta e anche verso mio nonno e mio padre loro non avevano la capacità di descriverla la sua lunga odissea della vita pensai io a metterla in luce e lasciarla in eredità alle nuove generazioni perché se ne facciano un concetto di quello che avviene nella società è solo l’oro che fa commettere gli errori verso quella parola che si chiama legge.”
Orlando P.

Un po’ di musica
Le leggera


La ballata di Mackie Messer (canta Milva)


"Faceva il palo" (nella banda dell'Ortica) (Enzo Jannacci)

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3.00 Autobiografie della leggera: Emarginati, balordi e ribelli raccontano le loro storie di confine (Italian Edition)
author: Danilo Montaldi
name: Dagio_maya
average rating: 3.00
book published:
rating: 3
read at: 2025/02/08
date added: 2025/03/10
shelves: classica, italiana, nonfiction
review:
Un libro che scopro veramente per caso in una delle mie tante ricerche di testi dimenticati.
Forse ho aspettato troppo a leggerlo così che le mie aspettative sono lievitate sgonfiandosi di colpo durante la lettura che si è rivelata faticosa e –ahimè- noiosa.
Mi vergogno un po’ mentre scrivo perché come posso permettermi di annoiarmi di fronte al racconto di vite disgraziate?
Ma partiamo dall’inizio.

Danilo Montaldi – militante di sinistra ed intellettuale soprattutto interessato a studi storiografici e sociologici- nel 1961 pubblica quest’opera particolare in quanto i protagonisti raccontano le loro vite ma lo fanno in una modalità , direi, “parlata”.
Come se si trattasse di un dialogo tra amici ci fanno conoscere i luoghi dove sono nati, le famiglie (quando ci sono) e soprattutto le difficoltà della gente a i margini perché «la leggèra» si riferisce alla malavita padana soprattutto quella nata e cresciuta attorno al fiume.
Sono racconti che divagano, si attorcigliano e si ripetono proprio come si trattasse di una conversazione al bar.

Montaldi antepone un’introduzione lunghissima e, sinceramente, al limite della mia comprensione perché infarcita di quelle modalità proprie dell’esposizioni politiche e dogmatiche.
Così c’è questa discrepanza abissale tra le due parti dell’opera basate proprio sul linguaggio intellettuale dell’autore (probabilmente per dare forza e valore al testo) e la sgrammaticata chiacchierata dei protagonisti.

Attraversiamo il Novecento in un territorio – la Bassa Padana - che è un vero e proprio microcosmo dove pullulano uomini e donne che per sopravvivere fanno di tutto.
Esistenze avventurose ma non per scelta.

Si parte da Orlando P. che nel 1938, confinato all’isola di Ponza racconta la sua storia fatta di mille mestieri finchè caduto una volta nel bisogno di rubare entra in carcere dove inizia la vera e propria formazione alla vita criminale.
Così accade a Teuta, a Poveri Romeo e il Bigoncia: vite senza redenzione.
Sembra fare eccezione l’ultima protagonista: la Cicci, prostituta per fame che riesce dopo alcuni anni a cambiar vita.

Interessante ma faticoso.


” Questo è il lamento di un uomo che grida vendetta alla società perché verso di me fu ingiusta e anche verso mio nonno e mio padre loro non avevano la capacità di descriverla la sua lunga odissea della vita pensai io a metterla in luce e lasciarla in eredità alle nuove generazioni perché se ne facciano un concetto di quello che avviene nella società è solo l’oro che fa commettere gli errori verso quella parola che si chiama legge.”
Orlando P.

Un po’ di musica
Le leggera


La ballata di Mackie Messer (canta Milva)


"Faceva il palo" (nella banda dell'Ortica) (Enzo Jannacci)


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<![CDATA[Laboratorio Palestina: Come Israele esporta la tecnologia dell’occupazione in tutto il mondo (Italian Edition)]]> 209471631 «Un tragico e inquietante resoconto di come Israele sia diventato un fornitore di strumenti di violenza e repressione brutale, dal Guatemala al Myanmar e ovunque se ne sia presentata l’occasione».Noam ChomskyIl complesso militare-industriale di Israele utilizza i Territori Occupati palestinesi come banco di prova per le armi e le tecnologie di sorveglianza che esporta in tutto il mondo. Per oltre cinquant’anni, infatti, l’occupazione illegale della Cisgiordania e della Striscia di Gaza ha fornito allo Stato israeliano un’esperienza formidabile nel controllo di una popolazione “nemica”, i palestinesi. In questo libro il giornalista d’inchiesta Antony Loewenstein indaga per la prima volta questa inquietante realtà, mostrando come la Palestina sia diventata il laboratorio perfetto per l’industria israeliana della difesa e della sorveglianza, e come le tattiche israeliane di occupazione siano sempre più il modello per le nazioni che vogliono colpire le minoranze non gradite. Dalle tecniche di polizia alle munizioni letali, dal software di spionaggio Pegasus ai droni utilizzati dall’Unione Europea per monitorare i migranti nel Mediterraneo, Israele è oggi un leader mondiale nei dispositivi militari e di intelligence che alimentano i conflitti più violenti del pianeta. Nel libro, grazie a documenti inediti, Loewenstein denuncia anche il sostegno israeliano ad alcuni dei regimi più spietati degli ultimi settant’anni, tra cui il Sudafrica dell’apartheid, il Cile di Pinochet, la Romania di Ceaușescu, l’Indonesia di Suharto e il Ruanda prima e durante il genocidio del 1994.Laboratorio Palestina – vincitore del Walkley Book Award per il miglior libro del 2023, il più prestigioso riconoscimento giornalistico in Australia – è una magistrale opera di giornalismo investigativo che fa luce sulle responsabilità di Israele nella violazione dei diritti umani nel mondo.«Come essere umano ed ebreo, so che l’uguaglianza e la giustizia tra israeliani e palestinesi sono l’unico modo per risolvere questo conflitto. Questo libro è il mio contributo per porre fine a decenni di discriminazione e rivelare i meccanismi segreti grazie ai quali è potuta durare tanto. Il futuro non è ancora scritto».Antony Loewenstein«Un libro ammirevole, documentato e basato su prove, sul lato meno conosciuto dell’occupazione. Fornisce un ritratto di Israele, uno dei dieci maggiori esportatori di armi al mondo, che commercia in morte e sofferenza e le vende a chiunque voglia comprarle».Gideon Levy, «Haaretz»«Una lettura irrinunciabile su un aspetto nascosto e scioccante della colonizzazione israeliana dei palestinesi. Abbiamo atteso a lungo un libro come questo che svela in che modo Israele utilizza l’oppressione della Palestina per potenziare le sue industrie militari e di sicurezza. Loewenstein mostra chiaramente che questo tipo di esportazione è oggi il contributo più significativo di Israele alla violazione globale dei diritti umani».Ilan Pappé«Un trionfo del giornalismo d’inchiesta».Avi Shlaim, professore emerito di Relazioni internazionali all’Università di Oxford«Laboratorio Palestina vede la luce nel momento più opportuno come monito agli israeliani a liberarsi del loro fascismo».dalla prefazione di Moni Ovadia]]> 358 Antony Loewenstein Dagio_maya 5 «In solidarietà con i palestinesi e gli israeliani che combattono per un futuro giusto».


Esprimere il proprio pensiero riguardo la politica d’Israele è palesemente un tabù, o meglio, lo è se s’intende criticare in un qualche modo i metodi adottati nei confronti del popolo palestinese.
E’ come se, sia i governi sia la società civile, vivessero in un continuo stato di espiazione da una colpa gravissima, nostra malgrado ereditata, ma da cui non possiamo lavarcene le mani: la Shoah.

Da ciò un divieto che colpisce tutti indistintamente: non si può parlare di genocidio palestinese senza essere tacciati di antisemitismo.


Moni Ovadia ci presenta l’autore nella prefazione di questo saggio tremendamente doloroso nel suo illustrarci una realtà ancora più estesa di quello ci si può immaginare:

Antony Loewenstein, ebreo australiano nipote di profughi ebrei che lasciarono la Germania per sfuggire alle persecuzioni naziste, illumina un aspetto parallelo consustanziale della pratica sionista: la ripulsa dei grandi valori etici, spirituali e universalisti dell’ebraismo per imboccare il cammino idolatrico della forza, della prepotenza, di un nazionalismo fanatico, dell’idolatria della terra.


Dal 1948, dopo le prime occupazioni violente (Nakba), Israele ha costruito la sua immagine come modello di democrazia a cui ispirarsi per la lotta al terrorismo.

La realtà è che la Palestina rappresenta un ”prezioso banco di prova di nuovi dispositivi a beneficio di una potenza militare globale egemone che serve altri eserciti del pianeta. (…)
Il laboratorio palestinese di Israele trae vantaggio dagli sconvolgimenti e dalle violenze che avvengono nel mondo.”


” Il gran numero di dittature con cui Israele ha intrattenuto rapporti è sconcertante.”

... il regime di Pinochet, Sud- Sudan, Myanmar, Colombia, Sudafrica dell’apartheid (Unspoken Alliance - ‘La tacita alleanza’), Iran, Indonesia (epurazione comunisti), Romania di Nicolae Ceausescu, Haiti )sotto François “Papa Doc” Duvalier e suo figlio Jean-Claude “Baby Doc” Duvalier), Paraguay, il Nicaragua dei Somoza, Argentina di Peròn, Ruanda, Tigri-Tamil, Siria..

Una lista dolorosamente lunga che approda al respingimento dei migranti per cui ci sono società israeliane private (e voi direte: «beh, se sono private il governo che c’entra?»..C’entra, c’entra..) come (eh sì facciamo nomi e cognomi!) la Elbit e soprattutto la Frontex (interessante il caso dell’ex AD Fabrice Leggeri, dimessosi nel 2022 dopo un’accusa di violazioni dei diritti umani e in questi giorni tornato sui giornali per essere entrato nelle fila dell’estrema destra francese..) che operano in tal senso:

” Israele è un attore chiave nella battaglia dell’Unione Europea sia per militarizzare i propri confini sia per dissuadere nuovi arrivi,

Armi di ogni genere, cybersorveglianza, cybersicurezza: Israele è come una start up che ha come obiettivo quello di monetizzare.
L’attacco dell’11 settembre 2001 è stato il lancio definitivo sul mercato: mentre la questione palestinese si è legittimata nel nome di una guerra mondiale a tutto ciò che si considera terrorismo, l’impennata delle richieste di sistemi di sorveglianza ha avuto un’impennata mai vista prima.

Ancora una volta la Cisgiordania è stata il laboratorio dove testare nuove forme di controllo.
Così una società come Oosto (prima AnyVision) ha messo in atto un progetto Google Ayosh, che prende di mira tutti i palestinesi attraverso l’uso dei “big data” acquisendo competenze esportate poi a livello globale.

Non da ultimo è il ruolo del web e dei social dove i messaggi sono veicolati rimuovendo, da una parte, tutto ciò che arriva e/o appoggia la Palestina, e, allo stesso tempo, mettendo in primo piano, tutte le immagini e i discorsi pro-Israele.

” Nel maggio 2021 «The Washington Post» pubblicò un articolo con un titolo straordinariamente onesto, “L’intelligenza artificiale di Facebook tratta gli attivisti palestinesi come tratta gli attivisti neri americani. Li blocca”

Dopo oltre settant’anni in cui l’ideologia di dominio e superiorità è al comando non è facile resettare nelle menti altre prospettive anche perché è stato inculcato che la soluzione dei due stati non sia assolutamente fattibile.

Esiste un mondo dissidente a tutto ciò .
Una porzione di persone che sempre più faticosamente cercano di smascherare queste strategie e giornalisti investigativi come Loewenstein che denunciano la trappola dell’ideologia tossica.

Questo libro è stato pubblicato nel 2023.
Sarei curiosa di sapere l’opinione di Loewenstein dopo gli eventi in seguito ai fatti del 7 ottobre 2024.

"Era normale che agli ebrei venisse insegnato a scuola o nel corso dell’educazione religiosa – e così mi veniva detto anche a casa dai miei genitori ebrei liberali – che erano il popolo eletto e avevano un rapporto unico con Dio e la società. Noi potevamo e dovevamo aiutare gli altri (anche se venivano posti dei limiti a questa solidarietà, ovvero ne erano esclusi i palestinesi). È un sistema di credenze che permette alla supremazia razziale contro i non-ebrei di prosperare e giustifica l’indifferenza per le loro vite."]]>
4.48 2023 Laboratorio Palestina: Come Israele esporta la tecnologia dell’occupazione in tutto il mondo (Italian Edition)
author: Antony Loewenstein
name: Dagio_maya
average rating: 4.48
book published: 2023
rating: 5
read at: 2025/02/27
date added: 2025/03/10
shelves: palestina, israele, nonfiction
review:
«In solidarietà con i palestinesi e gli israeliani che combattono per un futuro giusto».


Esprimere il proprio pensiero riguardo la politica d’Israele è palesemente un tabù, o meglio, lo è se s’intende criticare in un qualche modo i metodi adottati nei confronti del popolo palestinese.
E’ come se, sia i governi sia la società civile, vivessero in un continuo stato di espiazione da una colpa gravissima, nostra malgrado ereditata, ma da cui non possiamo lavarcene le mani: la Shoah.

Da ciò un divieto che colpisce tutti indistintamente: non si può parlare di genocidio palestinese senza essere tacciati di antisemitismo.


Moni Ovadia ci presenta l’autore nella prefazione di questo saggio tremendamente doloroso nel suo illustrarci una realtà ancora più estesa di quello ci si può immaginare:

Antony Loewenstein, ebreo australiano nipote di profughi ebrei che lasciarono la Germania per sfuggire alle persecuzioni naziste, illumina un aspetto parallelo consustanziale della pratica sionista: la ripulsa dei grandi valori etici, spirituali e universalisti dell’ebraismo per imboccare il cammino idolatrico della forza, della prepotenza, di un nazionalismo fanatico, dell’idolatria della terra.


Dal 1948, dopo le prime occupazioni violente (Nakba), Israele ha costruito la sua immagine come modello di democrazia a cui ispirarsi per la lotta al terrorismo.

La realtà è che la Palestina rappresenta un ”prezioso banco di prova di nuovi dispositivi a beneficio di una potenza militare globale egemone che serve altri eserciti del pianeta. (…)
Il laboratorio palestinese di Israele trae vantaggio dagli sconvolgimenti e dalle violenze che avvengono nel mondo.”


” Il gran numero di dittature con cui Israele ha intrattenuto rapporti è sconcertante.”

... il regime di Pinochet, Sud- Sudan, Myanmar, Colombia, Sudafrica dell’apartheid (Unspoken Alliance - ‘La tacita alleanza’), Iran, Indonesia (epurazione comunisti), Romania di Nicolae Ceausescu, Haiti )sotto François “Papa Doc” Duvalier e suo figlio Jean-Claude “Baby Doc” Duvalier), Paraguay, il Nicaragua dei Somoza, Argentina di Peròn, Ruanda, Tigri-Tamil, Siria..

Una lista dolorosamente lunga che approda al respingimento dei migranti per cui ci sono società israeliane private (e voi direte: «beh, se sono private il governo che c’entra?»..C’entra, c’entra..) come (eh sì facciamo nomi e cognomi!) la Elbit e soprattutto la Frontex (interessante il caso dell’ex AD Fabrice Leggeri, dimessosi nel 2022 dopo un’accusa di violazioni dei diritti umani e in questi giorni tornato sui giornali per essere entrato nelle fila dell’estrema destra francese..) che operano in tal senso:

” Israele è un attore chiave nella battaglia dell’Unione Europea sia per militarizzare i propri confini sia per dissuadere nuovi arrivi,

Armi di ogni genere, cybersorveglianza, cybersicurezza: Israele è come una start up che ha come obiettivo quello di monetizzare.
L’attacco dell’11 settembre 2001 è stato il lancio definitivo sul mercato: mentre la questione palestinese si è legittimata nel nome di una guerra mondiale a tutto ciò che si considera terrorismo, l’impennata delle richieste di sistemi di sorveglianza ha avuto un’impennata mai vista prima.

Ancora una volta la Cisgiordania è stata il laboratorio dove testare nuove forme di controllo.
Così una società come Oosto (prima AnyVision) ha messo in atto un progetto Google Ayosh, che prende di mira tutti i palestinesi attraverso l’uso dei “big data” acquisendo competenze esportate poi a livello globale.

Non da ultimo è il ruolo del web e dei social dove i messaggi sono veicolati rimuovendo, da una parte, tutto ciò che arriva e/o appoggia la Palestina, e, allo stesso tempo, mettendo in primo piano, tutte le immagini e i discorsi pro-Israele.

” Nel maggio 2021 «The Washington Post» pubblicò un articolo con un titolo straordinariamente onesto, “L’intelligenza artificiale di Facebook tratta gli attivisti palestinesi come tratta gli attivisti neri americani. Li blocca”

Dopo oltre settant’anni in cui l’ideologia di dominio e superiorità è al comando non è facile resettare nelle menti altre prospettive anche perché è stato inculcato che la soluzione dei due stati non sia assolutamente fattibile.

Esiste un mondo dissidente a tutto ciò .
Una porzione di persone che sempre più faticosamente cercano di smascherare queste strategie e giornalisti investigativi come Loewenstein che denunciano la trappola dell’ideologia tossica.

Questo libro è stato pubblicato nel 2023.
Sarei curiosa di sapere l’opinione di Loewenstein dopo gli eventi in seguito ai fatti del 7 ottobre 2024.

"Era normale che agli ebrei venisse insegnato a scuola o nel corso dell’educazione religiosa – e così mi veniva detto anche a casa dai miei genitori ebrei liberali – che erano il popolo eletto e avevano un rapporto unico con Dio e la società. Noi potevamo e dovevamo aiutare gli altri (anche se venivano posti dei limiti a questa solidarietà, ovvero ne erano esclusi i palestinesi). È un sistema di credenze che permette alla supremazia razziale contro i non-ebrei di prosperare e giustifica l’indifferenza per le loro vite."
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Freeman's: Animals 60707393 Featuring new work from Mieko Kawakami, Martín Espada, Kali Fajardo-Anstine, Arthur Sze, Camonghne Felix, and more, the latest installment of the acclaimed literary journal Freeman's explores the irrevocably intertwined lives of animals and the humans that exist alongside them.

Over a century ago, Rilke went to the Jardin des Plantes in Paris, where he watched a pair of flamingos. A flock of other birds screeched by, and, as he describes in a poem, the great red-pink birds sauntered on, unfazed, then "stretched amazed and singly march into the imaginary." This encounter--so strange, so typical of flamingos, with their fabulous posture--is also still typical of how we interact with animals. Even as our actions threaten their very survival, they are still symbolic, captivating and captive, caught in a drama of our framing.

This issue of Freeman's tells the story of that interaction, its costs, its tendernesses, the mythological flex of it. From lovers in a Chiara Barzini story, falling apart as a group of wild boars roams in their Roman neighborhood, to the soppen emergency birth of a cow on a Wales farm, stunningly described by Cynan Jones, no one has the moral high ground here. Nor is this a piece of mourning. There's wonder, humor, rage, and relief, too.

Featuring pigeons, calves, stray dogs, mascots, stolen cats, and bears, to the captive, tortured animals who make up our food supply, powerfully described in Nobel Prize winner Olga Tokarczuk's essay, this wide-ranging issue of Freeman's will stimulate discussion and dreams alike.]]>
336 John Freeman 0802160123 Dagio_maya 4 americana, raccolta, racconti ”Immancabilmente predatori, immancabilmente prede.”

Una presentazione, sei corti e la bellezza di sedici contributi (di cui ammetto ignoravo tutti gli autori e le autrici tranne Olga Tokarczuk) che spaziano dalla saggistica alla poesia passando attraverso la narrativa con il comune denominatore gli animali.

Freeman’s è una rivista letteraria curata dallo scrittore americano John Freeman pubblicata in Italia da” Black Coffee”, casa editrice indipendente dedicata alla letteratura nordamericana contemporanea.


"Questo numero di Freeman’s si propone di aprire quello spazio fecondo che esiste tra noi e la Terra, il luogo abitato dagli animali, siano essi simbolici o reali, parte della cultura o parte della nostra alimentazione”

Giocatoli, strumenti, oggetti..

Raramente gli animali sono concepiti come esseri in sé e quindi la relazione che instauriamo si basa su questo.
Il punto centrale è che ora, come non mai, sono importanti.

La pandemia ha creato dei varchi attraverso i quali molte persone hanno rivisto il loro rapporto con il mondo della natura ma l’urgenza ambientale e climatica in cui troviamo spinge ad una riflessione più profonda perché ciò che sta accadendo coinvolge tutti anche coloro che negano o non vogliono pensarci.
Un mondo che si sta sgretolando deve farci pensare a ciò che accadrà a noi ma anche a loro.


”Gli animali non sono mai stati così importanti, così sovraccarichi di significato come adesso, mentre gli umani affrontano l’estinzione senza affrontarla davvero.
Eppure, dato che troppo spesso vengono guardati dal buco della serratura della nostra avidità, del nostro senso di colpa, della nostra morbosa curiosità passivo-aggressiva che si nutre di brutte notizie, gli animali restano invisibili.
Fammi vedere che soffri, e ora lenisci il mio senso di colpa col tuo musetto adorabile.
A che serve al regno animale risultare carino e coccoloso, quando è l’unica cosa che separa l’essere umano dall’apocalisse?”



Animali reali o immaginarie, storie di fantasia o saggi che analizzano il rapporto uomo-animale.
I contributi sono veramente molto diversi tra loro e (ovviamente) non mi sono piaciuti tutti allo stesso modo.

Da cinque stelle la riflessione che fa Olga Tokarczuk (“Le maschere degli animali”).
Citando La vita degli animali di J. M. Coetzee e Sotto la pelle di Michel Faber ci parla di come non tutti riescono/vogliono vedere l’orrore che ci circonda.

E’ più facile negare e chi parla di diritti degli animali viene tacciato spesso e volentieri di radicalismo e stravaganza.
Fa meno male.
Il problema è che questa cecità volontaria ci rende complici.
Parole ordine: comprensione ed empatia.

Da cinque stelle anche “La cerimonia del Salmone” di - Sasha Taqwsəblu Lapointe, autrice nativa americana di etnia Salish che ci parla di cibo colonizzato raccontandoci la sua esperienza alimentare strettamente connessa al bisogno (più o meno conscio) di integrasi nella società americana…

Di altro genere è la prova narrativa della scrittrice americana Tess Gunty che in “Pesci senza mandibola” mette in scena un grottesco racconto dove una cena a casa di un miliardario diventa metafora proprio della nostra società e la volontaria cecità in cui ci rifugiamo..

”Quando mi intristisco pensando alla nostra economia di estrazione, penso a quanto sarà bella la vita delle altre specie quando noi umani ci autoelimineremo».


Scoperta più che piacevole (non vedo l’ora di leggere altri numeri di questa rivista).]]>
3.96 Freeman's: Animals
author: John Freeman
name: Dagio_maya
average rating: 3.96
book published:
rating: 4
read at: 2023/03/31
date added: 2025/03/10
shelves: americana, raccolta, racconti
review:
”Immancabilmente predatori, immancabilmente prede.”

Una presentazione, sei corti e la bellezza di sedici contributi (di cui ammetto ignoravo tutti gli autori e le autrici tranne Olga Tokarczuk) che spaziano dalla saggistica alla poesia passando attraverso la narrativa con il comune denominatore gli animali.

Freeman’s è una rivista letteraria curata dallo scrittore americano John Freeman pubblicata in Italia da” Black Coffee”, casa editrice indipendente dedicata alla letteratura nordamericana contemporanea.


"Questo numero di Freeman’s si propone di aprire quello spazio fecondo che esiste tra noi e la Terra, il luogo abitato dagli animali, siano essi simbolici o reali, parte della cultura o parte della nostra alimentazione”

Giocatoli, strumenti, oggetti..

Raramente gli animali sono concepiti come esseri in sé e quindi la relazione che instauriamo si basa su questo.
Il punto centrale è che ora, come non mai, sono importanti.

La pandemia ha creato dei varchi attraverso i quali molte persone hanno rivisto il loro rapporto con il mondo della natura ma l’urgenza ambientale e climatica in cui troviamo spinge ad una riflessione più profonda perché ciò che sta accadendo coinvolge tutti anche coloro che negano o non vogliono pensarci.
Un mondo che si sta sgretolando deve farci pensare a ciò che accadrà a noi ma anche a loro.


”Gli animali non sono mai stati così importanti, così sovraccarichi di significato come adesso, mentre gli umani affrontano l’estinzione senza affrontarla davvero.
Eppure, dato che troppo spesso vengono guardati dal buco della serratura della nostra avidità, del nostro senso di colpa, della nostra morbosa curiosità passivo-aggressiva che si nutre di brutte notizie, gli animali restano invisibili.
Fammi vedere che soffri, e ora lenisci il mio senso di colpa col tuo musetto adorabile.
A che serve al regno animale risultare carino e coccoloso, quando è l’unica cosa che separa l’essere umano dall’apocalisse?”



Animali reali o immaginarie, storie di fantasia o saggi che analizzano il rapporto uomo-animale.
I contributi sono veramente molto diversi tra loro e (ovviamente) non mi sono piaciuti tutti allo stesso modo.

Da cinque stelle la riflessione che fa Olga Tokarczuk (“Le maschere degli animali”).
Citando La vita degli animali di J. M. Coetzee e Sotto la pelle di Michel Faber ci parla di come non tutti riescono/vogliono vedere l’orrore che ci circonda.

E’ più facile negare e chi parla di diritti degli animali viene tacciato spesso e volentieri di radicalismo e stravaganza.
Fa meno male.
Il problema è che questa cecità volontaria ci rende complici.
Parole ordine: comprensione ed empatia.

Da cinque stelle anche “La cerimonia del Salmone” di - Sasha Taqwsəblu Lapointe, autrice nativa americana di etnia Salish che ci parla di cibo colonizzato raccontandoci la sua esperienza alimentare strettamente connessa al bisogno (più o meno conscio) di integrasi nella società americana…

Di altro genere è la prova narrativa della scrittrice americana Tess Gunty che in “Pesci senza mandibola” mette in scena un grottesco racconto dove una cena a casa di un miliardario diventa metafora proprio della nostra società e la volontaria cecità in cui ci rifugiamo..

”Quando mi intristisco pensando alla nostra economia di estrazione, penso a quanto sarà bella la vita delle altre specie quando noi umani ci autoelimineremo».


Scoperta più che piacevole (non vedo l’ora di leggere altri numeri di questa rivista).
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<![CDATA[Vita e opinioni di Tristram Shandy]]> 15747171 Sterne-Tristram gioca con la parola, la disseziona, la sostituisce con pagine vuote e con segni grafi ci, e in una continua lotta contro il tempo e il suo alter ego, la morte, nega alla storia una vera e propria conclusione ampliandola con digressioni avvolgenti e fascinose.]]> 623 Laurence Sterne 8817129194 Dagio_maya 0 3.59 1767 Vita e opinioni di Tristram Shandy
author: Laurence Sterne
name: Dagio_maya
average rating: 3.59
book published: 1767
rating: 0
read at:
date added: 2025/03/08
shelves: classica, europea, abbandonato
review:

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<![CDATA[La colonia felice. Utopia lirica]]> 31125684 Il romanzo è considerato uno dei precursori ottocenteschi della fantascienza italiana.]]> 64 Carlo Dossi Dagio_maya 2 classica, italiana, racconti "Umanità vanitosa, che, non potendo della virtù, ti glorii del vizio!"


Il primo impatto con questa novella non è dei migliori.
Questione di lingua.
Vocaboli desueti, pesanti, che sanno di polvere.
Tanta polvere da faticare a trovare la linea narrativa.

L’idea di base è geniale per l’epoca (1874) in cui lo scapigliato Carlo Dossi la scrisse.

In breve: un gruppo di prigionieri, eterogeneo per varietà di crimini, sbarca su un' isola deserta.
Lo Stato, rappresentato lì da alcuni soldati di scorta, declama l’inaspettata pena a cui sono condannati.
Dato che nella società civile hanno dimostrato disprezzo per le leggi ora resteranno nell’isola da soli.
Gli viene lasciato un carico di animali e viveri per i primi tempi, dopo di ché, sono abbandonati a loro stessi.

Storditi dalla novità e dalla repentina libertà, il gruppo non tarda a far emergere le personalità forti.
Due sono i leader che si propongono: da un lato Gualdo, detto il Beccaio, il più impulsivo, dall’altro, Aronne, detto il Letterato e quindi il più intellettuale.
Si creano dunque due gruppi: il Leone e la Volpe.

Un esperimento sociale interessante di per sé ma deludente – per quanto mi riguarda- nel suo evolversi.
Ovviamente uno specchio del suo tempo[spoilers removed]ma è nella morale proprio che mi cadono le braccia.

[spoilers removed]

Insomma, sicuramente innovativo come approccio ad un pensiero revisionista nei confronti della reale efficacia delle riabilitazioni in carcere ma al contempo troppo intriso nel linguaggio e nei risvolti di ideali oggi illeggibili.

Un assaggio:

PRELUDIO
LA CONDANNA

Stàvano i deportati - una quarantina - uòmini e donne, sulla nuova spiaggia tra le cataste di roba e le pacìfiche forme degli agnelli e de’ buòi; stàvano, chi in piedi in una èbete immobilità, chi a terra accosciato, le palme alla faccia; tutti affranti da un viaggio lunghìssimo col non sequente ànimo e dal dubbio della lor meta, dubbio peggiore della più amara certezza, e dalla brama cupa, senza speranza, della vendetta. Il aldo tramonto parèa si scolorasse nel pallor dei lor visi, o dai delitti di passione affilati, o fatti ottusi da que’ di abitùdine. Nè i cìnici motti di alcuno, nè i lazzi èran sollievo alla morale afa. Dall’ira non si figlia la gioja. Nascèano e spegnèvansi insieme, scintille senza pastura..."
]]>
2.50 2012 La colonia felice. Utopia lirica
author: Carlo Dossi
name: Dagio_maya
average rating: 2.50
book published: 2012
rating: 2
read at: 2025/03/07
date added: 2025/03/07
shelves: classica, italiana, racconti
review:
"Umanità vanitosa, che, non potendo della virtù, ti glorii del vizio!"


Il primo impatto con questa novella non è dei migliori.
Questione di lingua.
Vocaboli desueti, pesanti, che sanno di polvere.
Tanta polvere da faticare a trovare la linea narrativa.

L’idea di base è geniale per l’epoca (1874) in cui lo scapigliato Carlo Dossi la scrisse.

In breve: un gruppo di prigionieri, eterogeneo per varietà di crimini, sbarca su un' isola deserta.
Lo Stato, rappresentato lì da alcuni soldati di scorta, declama l’inaspettata pena a cui sono condannati.
Dato che nella società civile hanno dimostrato disprezzo per le leggi ora resteranno nell’isola da soli.
Gli viene lasciato un carico di animali e viveri per i primi tempi, dopo di ché, sono abbandonati a loro stessi.

Storditi dalla novità e dalla repentina libertà, il gruppo non tarda a far emergere le personalità forti.
Due sono i leader che si propongono: da un lato Gualdo, detto il Beccaio, il più impulsivo, dall’altro, Aronne, detto il Letterato e quindi il più intellettuale.
Si creano dunque due gruppi: il Leone e la Volpe.

Un esperimento sociale interessante di per sé ma deludente – per quanto mi riguarda- nel suo evolversi.
Ovviamente uno specchio del suo tempo[spoilers removed]ma è nella morale proprio che mi cadono le braccia.

[spoilers removed]

Insomma, sicuramente innovativo come approccio ad un pensiero revisionista nei confronti della reale efficacia delle riabilitazioni in carcere ma al contempo troppo intriso nel linguaggio e nei risvolti di ideali oggi illeggibili.

Un assaggio:

PRELUDIO
LA CONDANNA

Stàvano i deportati - una quarantina - uòmini e donne, sulla nuova spiaggia tra le cataste di roba e le pacìfiche forme degli agnelli e de’ buòi; stàvano, chi in piedi in una èbete immobilità, chi a terra accosciato, le palme alla faccia; tutti affranti da un viaggio lunghìssimo col non sequente ànimo e dal dubbio della lor meta, dubbio peggiore della più amara certezza, e dalla brama cupa, senza speranza, della vendetta. Il aldo tramonto parèa si scolorasse nel pallor dei lor visi, o dai delitti di passione affilati, o fatti ottusi da que’ di abitùdine. Nè i cìnici motti di alcuno, nè i lazzi èran sollievo alla morale afa. Dall’ira non si figlia la gioja. Nascèano e spegnèvansi insieme, scintille senza pastura..."

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Gli ospiti paganti 26877297 Con la maestria narrativa che l’ha già consacrata al successo di pubblico e critica, Sarah Waters imbastisce un racconto avvincente sulla passione amorosa, i desideri inconfessati e le loro travolgenti conseguenze. Un romanzo raffinato, che inserisce nell’affresco di un’epoca storica personaggi destinati a rimanere nel cuore e nella memoria del lettore, così vivi, così autentici nella loro drammatica brama di felicità.]]> 555 Sarah Waters 8868334046 Dagio_maya 4 europea, alfemminile Uno di quelli in cui la scena iniziale riprende volti sorridenti in una giornata di sole.
Sono sorrisi di cui, tuttavia, lo spettatore ha da subito la consapevolezza che saranno spenti da spesse nuvole in agguato.

Se fosse un disco, il suo genere sarebbe il blues con la sua malinconica presenza che vive il momento presente come fosse già passato.

Questo però è un libro e definirlo, farlo rientrare in una categoria non mi sembra possibile.
Conturbante potrebbe essere l’aggettivo che meglio si adegua al carattere di una storia che prende l’avvio da un contesto storico complicato.

E’ il primo dopoguerra.
Uno scenario fisico di corpi straziati che vagano in una Londra che vuole voltare pagina.
Uomini che cercano una collocazione che non è solo un lavoro ma un vero e proprio posto nella società, un’identità che li costringa a dimenticare l’incubo che hanno vissuto.
Questa però è anche un’Inghilterra dove si cerca di cambiare le regole.
Ruoli sociali, politici, di genere vengono messi in discussione dalle suffragette che s’immolano alla causa.
Al centro c’è una casa: luogo, scenario, sì ma pulsante di vita repressa.
Una casa che si sta sgretolando come la vita di Frances che ha abbandonato ogni speranza di autonomia per non lasciare sola la madre vedova e in lutto per la perdita di due figli sui campi di battaglia.
Una vita a due che trova significato solo in una ferrea routine.
Abitudini dietro cui si nascondono i propri desideri.
Tutto scorre sui binari di questa normalità finché arrivano loro: Leonard e Lilian, gli ospiti paganti.
E niente sarà più come prima...

Romanzo che si legge con un coinvolgimento avvolgente muovendosi sul versante psicologico, storico, romantico e thriller.

Ragguardevole.

«A volte le cose diventano complicate…
Diventano talmente complicate, mamma, che si trasformano in sabbie mobili. Fai un passo, non riesci a liberarti e…»
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3.50 2014 Gli ospiti paganti
author: Sarah Waters
name: Dagio_maya
average rating: 3.50
book published: 2014
rating: 4
read at: 2022/08/08
date added: 2025/03/06
shelves: europea, alfemminile
review:
Se fosse un film sarebbe di genere drammatico.
Uno di quelli in cui la scena iniziale riprende volti sorridenti in una giornata di sole.
Sono sorrisi di cui, tuttavia, lo spettatore ha da subito la consapevolezza che saranno spenti da spesse nuvole in agguato.

Se fosse un disco, il suo genere sarebbe il blues con la sua malinconica presenza che vive il momento presente come fosse già passato.

Questo però è un libro e definirlo, farlo rientrare in una categoria non mi sembra possibile.
Conturbante potrebbe essere l’aggettivo che meglio si adegua al carattere di una storia che prende l’avvio da un contesto storico complicato.

E’ il primo dopoguerra.
Uno scenario fisico di corpi straziati che vagano in una Londra che vuole voltare pagina.
Uomini che cercano una collocazione che non è solo un lavoro ma un vero e proprio posto nella società, un’identità che li costringa a dimenticare l’incubo che hanno vissuto.
Questa però è anche un’Inghilterra dove si cerca di cambiare le regole.
Ruoli sociali, politici, di genere vengono messi in discussione dalle suffragette che s’immolano alla causa.
Al centro c’è una casa: luogo, scenario, sì ma pulsante di vita repressa.
Una casa che si sta sgretolando come la vita di Frances che ha abbandonato ogni speranza di autonomia per non lasciare sola la madre vedova e in lutto per la perdita di due figli sui campi di battaglia.
Una vita a due che trova significato solo in una ferrea routine.
Abitudini dietro cui si nascondono i propri desideri.
Tutto scorre sui binari di questa normalità finché arrivano loro: Leonard e Lilian, gli ospiti paganti.
E niente sarà più come prima...

Romanzo che si legge con un coinvolgimento avvolgente muovendosi sul versante psicologico, storico, romantico e thriller.

Ragguardevole.

«A volte le cose diventano complicate…
Diventano talmente complicate, mamma, che si trasformano in sabbie mobili. Fai un passo, non riesci a liberarti e…»

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Porte aperte 159536 109 Leonardo Sciascia 8845902625 Dagio_maya 4 italiana Un’ ironia che procede a stilettate mettendo in tavola grandi temi della Storia.
Il suo procedere ha una base erudita che utilizza una sintassi intricata e questo può sconcertare il lettore.
Insomma, seppur breve, questa lettura – come quasi tutte le sue opere- non deve essere sottovalutata. Richiede molta concentrazione per poi esserne ripagati con moneta preziosa.

Lo spunto nasce da un fatto di cronaca nera.
Siamo a Palermo nel 1937, un impiegato, dopo essere licenziato uccide la moglie, il collega che doveva prendere il suo posto e il capoufficio noto gerarca fascista palermitano.

A dieci anni, circa della reintroduzione della pena di morte (Codice Rocco), la condanna alla pena capitale dopo un omicidio così efferato è data per scontata da tutti.

Tutti tranne il giudice (detto a latere) che moralmente si oppone ad una logica da Legge del Taglione.
Se nel 1829 Victor Hugo s’immedesimo nei pensieri di un condannato a morte (L'ultimo giorno di un condannato a morte), in questo breve romanzo del 1987, Sciascia ci accompagna nei pensieri di chi ha potere di comminare tale pena.

Oltre alle riflessioni di chi che sa di andare controcorrente al pensiero dominante, l’autore inquadra l’impostura generale in cui la storia si colloca.
La menzogna parte dalla stampa imbavagliata dal regime.
I giornali, infatti, avevano il divieto di riportare i fatti di sangue. La realtà così edulcorata serviva a confermare quell’immagine di sicurezza di un’Italia in buone mani.

Un’Italia dove chiunque poteva dormire con le porte aperte ...


” Non era soltanto un problema di giustizia, di amministrarla secondo la legge o di affermarla contro la legge; era anche un problema di interiore libertà, comunque dovuta a chi è chiamato a giudicare.”]]>
3.62 1987 Porte aperte
author: Leonardo Sciascia
name: Dagio_maya
average rating: 3.62
book published: 1987
rating: 4
read at: 2024/02/21
date added: 2025/03/06
shelves: italiana
review:
Il fine sarcasmo è, notoriamente, la cifra stilistica di Sciascia.
Un’ ironia che procede a stilettate mettendo in tavola grandi temi della Storia.
Il suo procedere ha una base erudita che utilizza una sintassi intricata e questo può sconcertare il lettore.
Insomma, seppur breve, questa lettura – come quasi tutte le sue opere- non deve essere sottovalutata. Richiede molta concentrazione per poi esserne ripagati con moneta preziosa.

Lo spunto nasce da un fatto di cronaca nera.
Siamo a Palermo nel 1937, un impiegato, dopo essere licenziato uccide la moglie, il collega che doveva prendere il suo posto e il capoufficio noto gerarca fascista palermitano.

A dieci anni, circa della reintroduzione della pena di morte (Codice Rocco), la condanna alla pena capitale dopo un omicidio così efferato è data per scontata da tutti.

Tutti tranne il giudice (detto a latere) che moralmente si oppone ad una logica da Legge del Taglione.
Se nel 1829 Victor Hugo s’immedesimo nei pensieri di un condannato a morte (L'ultimo giorno di un condannato a morte), in questo breve romanzo del 1987, Sciascia ci accompagna nei pensieri di chi ha potere di comminare tale pena.

Oltre alle riflessioni di chi che sa di andare controcorrente al pensiero dominante, l’autore inquadra l’impostura generale in cui la storia si colloca.
La menzogna parte dalla stampa imbavagliata dal regime.
I giornali, infatti, avevano il divieto di riportare i fatti di sangue. La realtà così edulcorata serviva a confermare quell’immagine di sicurezza di un’Italia in buone mani.

Un’Italia dove chiunque poteva dormire con le porte aperte ...


” Non era soltanto un problema di giustizia, di amministrarla secondo la legge o di affermarla contro la legge; era anche un problema di interiore libertà, comunque dovuta a chi è chiamato a giudicare.”
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Gli scaduti 25153698 224 Lidia Ravera 8845278239 Dagio_maya 1 no-grazie, italiana Per la serie "Le Perle di Saggezza":

"La vita incomincia, la vita continua, la vita finisce" [sic!]


Un romanzo che nasce da quell'attualità che si racchiude in uno slogan oramai a tutti noto: "rottamazione".
Ravera immagina, quindi ,un futuro dove le generazioni di trentenni "rottamano" i loro padri confinandoli ed isolandoli come merce avariata.
Lo scenario distopico che ne nasce, in realtà, si configura con elementi che non sono poi tanto inverosimili.
La trama mi ha destato una certa curiosità, tuttavia, ancora una volta, non trovo sintonia con la scrittura di Lidia Ravera.
Non mi arriva proprio; la trovo asciutta ed artificiale.

Narrare è un'arte, meglio, una predisposizione (Gli scaduti - Capitolo 13)]]>
3.25 2014 Gli scaduti
author: Lidia Ravera
name: Dagio_maya
average rating: 3.25
book published: 2014
rating: 1
read at: 2015/04/10
date added: 2025/03/06
shelves: no-grazie, italiana
review:
Per la serie "Le Perle di Saggezza":

"La vita incomincia, la vita continua, la vita finisce"
[sic!]


Un romanzo che nasce da quell'attualità che si racchiude in uno slogan oramai a tutti noto: "rottamazione".
Ravera immagina, quindi ,un futuro dove le generazioni di trentenni "rottamano" i loro padri confinandoli ed isolandoli come merce avariata.
Lo scenario distopico che ne nasce, in realtà, si configura con elementi che non sono poi tanto inverosimili.
La trama mi ha destato una certa curiosità, tuttavia, ancora una volta, non trovo sintonia con la scrittura di Lidia Ravera.
Non mi arriva proprio; la trovo asciutta ed artificiale.

Narrare è un'arte, meglio, una predisposizione (Gli scaduti - Capitolo 13)
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Passavamo sulla terra leggeri 8799303 221 Sergio Atzeni 8886109210 Dagio_maya 5 “Nel paese non si udiva passo o voce d'uomo.
Pensai che tutta Morgongiori fosse alle finestre in silenzio e ascoltasse la voce di Antonio Setzu.
Il pensiero mi consolò e fece passare la paura di morire prima di riuscire a raccontare la storia. “



Due voci raccontano questa storia.
Antonio Setzu è il passato: colui che custodisce il sapere con la mente e la voce, l'oralità.
Colui che scrive parla, invece, dal presente:
l'oggi (che per noi è già ieri!) che conserva la memoria con la grafia.

Questo è il racconto che Setzu fece all’allora bambino in una sera d’estate.

” Ascoltai la storia il 12 agosto I960 nella cucina di casa Setzu, a Morgongiori, fra le tre del pomeriggio e il tredicesimo rintocco di mezzanotte, quando Antonio pronunciò l'ultima parola.”

Il raccontare diventa un atto sacro.
Una sorta di rito d'iniziazione che si perde nella notte dei tempi:
è’ il passaggio di testimone di chi custodisce il tempo.

La storia è impastata di mito e leggenda ma non per questo meno vera ( «la storia talvolta non è il campo della verità». ).
Si parte dagli albori di una civiltà fino ad arrivare al 1400 quando il popolo sardo cedette, dopo strenua resistenza, ai numerosi tentativi di invasioni straniere.
All’inizio chiamano se stessi S’ard che nell’antica lingua significava «danzatori delle stelle», ovvero coloro che sapevano trarre le risposte guardando il cielo.

Un tono lirico per un’epica millenaria che inanella passi, sguardi, corpi, pensieri.
Gente di mare e gente di terra che si incontrano e mescolano usi e credenze facendo nascere nuove certezze.

Una lettura che appassiona.
Inquieta il particolare che Atzeni sia morto dopo sette giorni aver concluso questo racconto, come se avesse assolto la sua missione di scrittore e con questo la custodia della memoria si sia preservata nella parola scritta.



” Se esiste una parola per dire i sentimenti dei sardi nei millenni di isolamento fra nuraghe e bronzetti forse è felicità.

Passavamo sulla terra leggeri come acqua, disse Antonio Setzu, come acqua che scorre, salta, giù dalla conca piena della fonte, scivola e serpeggia fra muschi e felci, fino alle radici delle sughere e dei mandorli o scende scivolando sulle pietre, per i monti e i colli fino al piano, dai torrenti al fiume, a farsi lenta verso le paludi e il mare, chiamata in vapore dal sole a diventare nube dominata dai venti e pioggia benedetta.
A parte la follia di ucciderci l'un l'altro per motivi irrilevanti, eravamo felici. Le piane e le paludi erano fertili, i monti ricchi di pascolo e fonti. Il cibo non mancava neppure negli anni di carestia. Facevamo un vino colore del sangue, dolce al palato e portatore di sogni allegri. Nel settimo giorno del mese del vento che piega le querce incontravamo tutte le genti attorno alla fonte sacra e per sette giorni e sette notti mangiavamo, bevevamo, cantavamo e danzavamo in onore di Is. Cantare, suonare, danzare, coltivare, raccogliere, mungere, intagliare, fondere, uccidere, morire, cantare, suonare, danzare era la nostra vita. Eravamo felici, a parte la follia di ucciderci l'un l'altro per motivi irrilevanti.”
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4.77 1996 Passavamo sulla terra leggeri
author: Sergio Atzeni
name: Dagio_maya
average rating: 4.77
book published: 1996
rating: 5
read at: 2018/03/08
date added: 2025/03/06
shelves: 2018-i-buoni-propositi, italiana, 5-stelle, classica
review:
“Nel paese non si udiva passo o voce d'uomo.
Pensai che tutta Morgongiori fosse alle finestre in silenzio e ascoltasse la voce di Antonio Setzu.
Il pensiero mi consolò e fece passare la paura di morire prima di riuscire a raccontare la storia. “



Due voci raccontano questa storia.
Antonio Setzu è il passato: colui che custodisce il sapere con la mente e la voce, l'oralità.
Colui che scrive parla, invece, dal presente:
l'oggi (che per noi è già ieri!) che conserva la memoria con la grafia.

Questo è il racconto che Setzu fece all’allora bambino in una sera d’estate.

” Ascoltai la storia il 12 agosto I960 nella cucina di casa Setzu, a Morgongiori, fra le tre del pomeriggio e il tredicesimo rintocco di mezzanotte, quando Antonio pronunciò l'ultima parola.”

Il raccontare diventa un atto sacro.
Una sorta di rito d'iniziazione che si perde nella notte dei tempi:
è’ il passaggio di testimone di chi custodisce il tempo.

La storia è impastata di mito e leggenda ma non per questo meno vera ( «la storia talvolta non è il campo della verità». ).
Si parte dagli albori di una civiltà fino ad arrivare al 1400 quando il popolo sardo cedette, dopo strenua resistenza, ai numerosi tentativi di invasioni straniere.
All’inizio chiamano se stessi S’ard che nell’antica lingua significava «danzatori delle stelle», ovvero coloro che sapevano trarre le risposte guardando il cielo.

Un tono lirico per un’epica millenaria che inanella passi, sguardi, corpi, pensieri.
Gente di mare e gente di terra che si incontrano e mescolano usi e credenze facendo nascere nuove certezze.

Una lettura che appassiona.
Inquieta il particolare che Atzeni sia morto dopo sette giorni aver concluso questo racconto, come se avesse assolto la sua missione di scrittore e con questo la custodia della memoria si sia preservata nella parola scritta.



” Se esiste una parola per dire i sentimenti dei sardi nei millenni di isolamento fra nuraghe e bronzetti forse è felicità.

Passavamo sulla terra leggeri come acqua, disse Antonio Setzu, come acqua che scorre, salta, giù dalla conca piena della fonte, scivola e serpeggia fra muschi e felci, fino alle radici delle sughere e dei mandorli o scende scivolando sulle pietre, per i monti e i colli fino al piano, dai torrenti al fiume, a farsi lenta verso le paludi e il mare, chiamata in vapore dal sole a diventare nube dominata dai venti e pioggia benedetta.
A parte la follia di ucciderci l'un l'altro per motivi irrilevanti, eravamo felici. Le piane e le paludi erano fertili, i monti ricchi di pascolo e fonti. Il cibo non mancava neppure negli anni di carestia. Facevamo un vino colore del sangue, dolce al palato e portatore di sogni allegri. Nel settimo giorno del mese del vento che piega le querce incontravamo tutte le genti attorno alla fonte sacra e per sette giorni e sette notti mangiavamo, bevevamo, cantavamo e danzavamo in onore di Is. Cantare, suonare, danzare, coltivare, raccogliere, mungere, intagliare, fondere, uccidere, morire, cantare, suonare, danzare era la nostra vita. Eravamo felici, a parte la follia di ucciderci l'un l'altro per motivi irrilevanti.”

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<![CDATA[L'ombra della Profezia (Il Trono di Spade Vol 9)]]> 200734289 464 George R.R. Martin 8804750642 Dagio_maya 0 americana, fanta, standby 4.36 L'ombra della Profezia (Il Trono di Spade Vol 9)
author: George R.R. Martin
name: Dagio_maya
average rating: 4.36
book published:
rating: 0
read at:
date added: 2025/03/05
shelves: americana, fanta, standby
review:

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<![CDATA[Condotti da fragili desideri: Parole e liturgie dei CCCP-Fedeli alla linea (Italian Edition)]]> 222273886 273 Various Dagio_maya 0 wishlist 3.75 Condotti da fragili desideri: Parole e liturgie dei CCCP-Fedeli alla linea (Italian Edition)
author: Various
name: Dagio_maya
average rating: 3.75
book published:
rating: 0
read at:
date added: 2025/03/03
shelves: wishlist
review:

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Lonely Planet Marocco 9764499 #1 best-selling guide to Morocco*

Lonely Planet Morocco is your passport to the most relevant, up-to-date advice on what to see and skip, and what hidden discoveries await you. Explore the medina and tanneries in Fez, hop between kasbahs and oases in the Draa Valley, or catch a wave at Taghazout; all with your trusted travel companion. Get to the heart of Morocco and begin your journey now!

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About Lonely Planet: Since 1973, Lonely Planet has become the world's leading travel media company with guidebooks to every destination, an award-winning website, mobile and digital travel products, and a dedicated traveller community. Lonely Planet covers must-see spots but also enables curious travellers to get off beaten paths to understand more of the culture of the places in which they find themselves.

*Best-selling guide to Morocco. Source: Nielsen BookScan. Australia, UK and USA]]>
544 Lonely Planet 8870637972 Dagio_maya 4 4.00 1995 Lonely Planet Marocco
author: Lonely Planet
name: Dagio_maya
average rating: 4.00
book published: 1995
rating: 4
read at: 2013/03/28
date added: 2025/03/01
shelves:
review:

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Il libro della follia 58243291 Il libro della follia è la prima traduzione integrale in italiano di The Book of Folly, che Anne Sexton diede alle stampe nel 1972. Lo stile confessionale che aveva reso celebre l’autrice, fruttandole nel 1967 il premio Pulitzer, giunge qui alla piena maturità trasformandosi nell’allegoria di un Gran Teatro psichedelico. La Signora Benestante che scrive occasionalmente versi rispettando le forme metriche lascia il posto, definitivamente e consapevolmente, al personaggio della Poetessa Martire della società benpensante e all’aspirante suicida, in un rovesciamento parodico dei valori patriarcali, accostando l’alto senso del tragico all’ironia e alla caricatura, la metafora lirica al sarcasmo più blasfemo. Nell’unico libro in cui Anne Sexton, diversamente femminista e profeta di tempi peggiori, sperimenta con la prosa, inscenando in tre “storie” l’anoressia, il femminicidio e il suicidio-della-poetessa, assistiamo al crollo delle fondamenta dei luoghi comuni e dei riti borghesi e religiosi del puritanesimo statunitense. Con una scrittura più vicina a quella delle canzoni rock che alla poesia sua contemporanea, la lingua inconfondibile della Follia di Anne Sexton ha influenzato, per stile e tematiche, non solo la poesia successiva americana e poi internazionale, ma anche la scrittura di divi del pop rock come Peter Gabriel e Kate Bush.
Rosaria Lo Russo]]>
224 Anne Sexton 8834606981 Dagio_maya 0 poesia, classica, americana ”Trafficare con le parole mi tiene sveglia.”


Alla seconda silloge di Anne Sexton mi rendo poco che so veramente troppo poco di lei.
So che è nata in una famiglia agiata ma da cui non ha ricevuto amore.
So che di lei si è occupata la zia zitella Anna, detta Nana.
So che ha un certo punto della sua vita (credo ancora adolescente) qualcosa si è interrotto. E’ successo qualcosa oppure in lei c’era già un malessere?

Mai come nella poesia c’è bisogno di avere questo tipo di risposte e, in particolar modo, quando i componimenti vengono definiti “confessionali”.
Vero che si può comunque inventare ma più di tanto non credo ci possa allontanare dalle proprie esperienze.
Io la penso così.

Leggendo queste pagine, quindi, so che mi sono sfuggite molte cose.
Qualcosa ha spiegato in post fazione la traduttrice ma molto altro credo proprio di non averlo afferrato.

La raccolta è suddivisa in quattro sezioni poetiche:

1. Trenta poesie
2. Morte dei padri
3. Angeli degli affari di cuori
4. Carte di Gesù
Più tre brevissimi racconti in prosa

A parte, la svolta religiosa delle ultime poesie l’unico filo che trovo sempre presente è quello della morte (facendo una ricerca la parola “morte” ritorna 41 volte!).

Nell’insieme, però, le atmosfere surreali unite sicuramente ad una musicalità molto più significativa in originale piuttosto che tradotta mi lasciano un po’ con l’amaro in bocca.

Non è mai bello non comprendere appieno:
è come essere invitati ad una festa e, poi, ignorati da tutti, rimanere in un angolo ad ascoltare discorsi che cerchiamo di ricomporre con piccoli indizi.

E allora spero di essere invitata un’altra volta.
Tornerò preparata perché so che ne vale la pena...


>”prima era il pannolino che avevo/addosso sporco e mia /madre mi odiava per questo e io/mi amavo per questo ma l’odio/vinceva, no?, certo, e il disprezzo/ vinceva e il disgusto vinceva e per/ questo io sono un’accumulatrice di parole /le tengo dentro anche se sono/ sterco oh Dio sono una che scava /non sono un’oziosa /vero?
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3.88 1972 Il libro della follia
author: Anne Sexton
name: Dagio_maya
average rating: 3.88
book published: 1972
rating: 0
read at: 2025/03/01
date added: 2025/03/01
shelves: poesia, classica, americana
review:
”Trafficare con le parole mi tiene sveglia.”


Alla seconda silloge di Anne Sexton mi rendo poco che so veramente troppo poco di lei.
So che è nata in una famiglia agiata ma da cui non ha ricevuto amore.
So che di lei si è occupata la zia zitella Anna, detta Nana.
So che ha un certo punto della sua vita (credo ancora adolescente) qualcosa si è interrotto. E’ successo qualcosa oppure in lei c’era già un malessere?

Mai come nella poesia c’è bisogno di avere questo tipo di risposte e, in particolar modo, quando i componimenti vengono definiti “confessionali”.
Vero che si può comunque inventare ma più di tanto non credo ci possa allontanare dalle proprie esperienze.
Io la penso così.

Leggendo queste pagine, quindi, so che mi sono sfuggite molte cose.
Qualcosa ha spiegato in post fazione la traduttrice ma molto altro credo proprio di non averlo afferrato.

La raccolta è suddivisa in quattro sezioni poetiche:

1. Trenta poesie
2. Morte dei padri
3. Angeli degli affari di cuori
4. Carte di Gesù
Più tre brevissimi racconti in prosa

A parte, la svolta religiosa delle ultime poesie l’unico filo che trovo sempre presente è quello della morte (facendo una ricerca la parola “morte” ritorna 41 volte!).

Nell’insieme, però, le atmosfere surreali unite sicuramente ad una musicalità molto più significativa in originale piuttosto che tradotta mi lasciano un po’ con l’amaro in bocca.

Non è mai bello non comprendere appieno:
è come essere invitati ad una festa e, poi, ignorati da tutti, rimanere in un angolo ad ascoltare discorsi che cerchiamo di ricomporre con piccoli indizi.

E allora spero di essere invitata un’altra volta.
Tornerò preparata perché so che ne vale la pena...


>”prima era il pannolino che avevo/addosso sporco e mia /madre mi odiava per questo e io/mi amavo per questo ma l’odio/vinceva, no?, certo, e il disprezzo/ vinceva e il disgusto vinceva e per/ questo io sono un’accumulatrice di parole /le tengo dentro anche se sono/ sterco oh Dio sono una che scava /non sono un’oziosa /vero?

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Il ritorno del soldato 12042448 Jenny e Kitty no. Loro vivono la loro vita di sempre da quando Chris, cugino della prima e marito della seconda, è andato a fare il suo dovere sul fronte francese.
Vivono nella bella casa di Baldry Court che Chris, dopo il matrimonio, si è deciso a ricostruire affidando i lavori a un gruppo di architetti che, in possesso di un meticoloso occhio da «manicure», ha rimodellato quella vecchia dimora in una residenza degna di innumerevoli servizi fotografici sulle riviste illustrate.
In questo universo chiuso, quasi claustrofobico si aggira Kitty che, capelli biondi sciolti sulle spalle e giacchettine di seta ricamate a boccioli di rosa, tenta di rimuovere il lutto per il figlio prematuramente scomparso. Nel guscio lucido ed elegante di Baldry Court, Jenny coltiva, invece, in sottile complicità con Kitty, il suo amore inconfessato per il cugino Chris. Il fragile eppure perfetto equilibrio viene rotto il giorno in cui compare nell'algido salotto di Baldry Court Margaret Grey, una donna che, benché abbia un corpo ben fatto, è così trascurata nell'aspetto da apparire agli occhi di Jenny e Kitty come un bel guanto che, caduto dietro il letto, si trasforma in un oggetto orribile coperto di polvere e lanugine. Margaret annuncia alle due donne che Chris, colpito da «shock da bombardamento», ha perduto la memoria. Jenny e Kitty mostrano di non credere minimamente al racconto della sgraziata sconosciuta. Quando il capitano ritorna, però, le due donne si ritrovano davanti alla più crudele e inaspettata realtà: Chris non ricorda nulla di Kitty e della sua algida e lunare bellezza.
Della devota Jenny, poi, conserva soltanto la vaga immagine di una compagna d'infanzia. I ricordi del soldato si fermano soltanto al suo grande amore di quindici anni prima, a quella che appare essere l'unica donna della sua vita: Margaret, la ragazza precocemente invecchiata, la più improbabile delle rivali.
Romanzo d'esordio scritto quando Rebecca West aveva soltanto 24 anni, Il ritorno del soldato è uno dei grandi libri del Novecento, una esemplare «storia di verità e passioni segrete che minano dall'interno il guscio vuoto dell'istituzione matrimoniale e le convenzioni che essa si porta dietro» (Benedetta Bini).]]>
144 Rebecca West 8854503363 Dagio_maya 4 " È... è come se" balbettò
"ognuno dei due avesse avuto solo mezza vita..."



Mentre la Prima Guerra è in corso, Kitty e Jenny, due donne dell’alta borghesia inglese, vivono in apparente serenità nella splendida residenza di Baldry Court.
La loro pace è, infatti, turbata dal fatto che Christopher – marito della prima e cugino della seconda- si trova al fronte e da due settimane non ricevono sue notizie.

"Ah, non cominciare ad agitarti!" gemette Kitty.

Ma davvero non c’è bisogno di agitarsi oppure –come presagisce Jenny- qualcosa sta per succedere?

”Quel giorno, per me, la bellezza del luogo era un affronto, perché come molte donne inglesi del mio tempo pregavo per il ritorno di un soldato.”

Finchè un giorno si presenta alla porta una donna sciatta.
Ogni particolare del suo abbigliamento ne denuncia la squallida provenienza.
Eppure c’è qualcosa di ammaliante nel suo portamento. Il suo nome è Margaret Allington.
Solo una fastidiosa presenza ai loro occhi eppure..

description
Glenda Jackson e Alan Bates in una scena del film "Prigioniero del passato" (1982)

Crediamo di conoscere a fondo chi ci sta accanto: è davvero così?

Romanzo che gioca sui forti contrasti tra l’estetica quasi naturale per chi vive agiatamente e il disarmonico esistere di chi, invece, non ha potuto far altro che rimboccarsi le maniche per sopravvivere.

Primo libro che leggo di Rebecca West autrice a cui arrivo, in realtà, attraverso vie traverse, ossia l’autobiografia di Emma Goldman
Una scrittura ricchissima, una trama intrigante che porta a molte riflessioni.


” Quel suo essere coperta di povertà e trascuratezza aveva qualcosa che la rendeva assai poco gradevole: come un bel guanto che, caduto dietro il letto in una stanza d'albergo e lì rimasto indisturbato per un giorno o due, diventa un oggetto orribile quando la cameriera lo raccoglie coperto di polvere e lanugine.”]]>
3.42 1918 Il ritorno del soldato
author: Rebecca West
name: Dagio_maya
average rating: 3.42
book published: 1918
rating: 4
read at: 2025/02/11
date added: 2025/02/19
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review:
" È... è come se" balbettò
"ognuno dei due avesse avuto solo mezza vita..."



Mentre la Prima Guerra è in corso, Kitty e Jenny, due donne dell’alta borghesia inglese, vivono in apparente serenità nella splendida residenza di Baldry Court.
La loro pace è, infatti, turbata dal fatto che Christopher – marito della prima e cugino della seconda- si trova al fronte e da due settimane non ricevono sue notizie.

"Ah, non cominciare ad agitarti!" gemette Kitty.

Ma davvero non c’è bisogno di agitarsi oppure –come presagisce Jenny- qualcosa sta per succedere?

”Quel giorno, per me, la bellezza del luogo era un affronto, perché come molte donne inglesi del mio tempo pregavo per il ritorno di un soldato.”

Finchè un giorno si presenta alla porta una donna sciatta.
Ogni particolare del suo abbigliamento ne denuncia la squallida provenienza.
Eppure c’è qualcosa di ammaliante nel suo portamento. Il suo nome è Margaret Allington.
Solo una fastidiosa presenza ai loro occhi eppure..

description
Glenda Jackson e Alan Bates in una scena del film "Prigioniero del passato" (1982)

Crediamo di conoscere a fondo chi ci sta accanto: è davvero così?

Romanzo che gioca sui forti contrasti tra l’estetica quasi naturale per chi vive agiatamente e il disarmonico esistere di chi, invece, non ha potuto far altro che rimboccarsi le maniche per sopravvivere.

Primo libro che leggo di Rebecca West autrice a cui arrivo, in realtà, attraverso vie traverse, ossia l’autobiografia di Emma Goldman
Una scrittura ricchissima, una trama intrigante che porta a molte riflessioni.


” Quel suo essere coperta di povertà e trascuratezza aveva qualcosa che la rendeva assai poco gradevole: come un bel guanto che, caduto dietro il letto in una stanza d'albergo e lì rimasto indisturbato per un giorno o due, diventa un oggetto orribile quando la cameriera lo raccoglie coperto di polvere e lanugine.”
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Fermati 59828500 0 Claudia Cangemi 8832927802 Dagio_maya 3 poesia, italiana Succede – spesso- che vada a ritirare qualche volume e le mie mani –incaute- senza nessun comando si muovono autonomamente.
Senza rendermene conto, mi trovo al banco prestiti e il gioco è fatto.

Non conoscevo né titolo né autrice ma mi sono fatta ammaliare dalla copertina che caso vuole tanto assomiglia ad un altro libro che sto leggendo contemporaneamente

Fermati by Claudia Cangemi

Giù nel cieco mondo by Jesmyn Ward

Ventotto componimenti, brevi e fulminei che riflettono su fatti di cronaca (ad esempio” Genova “ sul crollo del ponte Morandi oppure “Giustizia per Giulio”) e, soprattutto, sullo sguardo intollerante verso chi è straniero (” Altro da me sei tu che credi/d’esser meglio dei migranti/tu che scambi la fortuna/d’esser nato in occidente/per un merito e un diritto/tu che non ti fermi mai/egoista come sei/a pensare e immaginare/cos’è un figlio da salvare/dalle bombe e dalla fame.”)

Con un moto di sdegno, Cangemi punta il dito e concentra la sua lirica proprio verso queste ingiustizie:

” Oggi a muovere questa mia penna
è la stessa passione di allora
però adesso lo sguardo si è alzato
a cercare lo sguardo del mondo
perché sento la peste dell’odio
farsi strada tra menti annebbiate
da una rabbia insensata e violenta.”

-------------------

Fermati

Fermati, uomo
finché ancora puoi
sai già dove porta
l’istinto bestiale
che emerge arrogante
e dilaga violento
senza coscienza
memoria e ragione.
Fermati, mondo
che scivoli inerte
sul piano inclinato
dell’odio razziale
aggrappati, presto
alla storia, al pensiero
all’amore tra umani
che lotta e resiste.

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3.00 2020 Fermati
author: Claudia Cangemi
name: Dagio_maya
average rating: 3.00
book published: 2020
rating: 3
read at: 2025/02/18
date added: 2025/02/18
shelves: poesia, italiana
review:
Un altro libro che mi rimane in mano dopo un’incursione in biblioteca.
Succede – spesso- che vada a ritirare qualche volume e le mie mani –incaute- senza nessun comando si muovono autonomamente.
Senza rendermene conto, mi trovo al banco prestiti e il gioco è fatto.

Non conoscevo né titolo né autrice ma mi sono fatta ammaliare dalla copertina che caso vuole tanto assomiglia ad un altro libro che sto leggendo contemporaneamente

Fermati by Claudia Cangemi

Giù nel cieco mondo by Jesmyn Ward

Ventotto componimenti, brevi e fulminei che riflettono su fatti di cronaca (ad esempio” Genova “ sul crollo del ponte Morandi oppure “Giustizia per Giulio”) e, soprattutto, sullo sguardo intollerante verso chi è straniero (” Altro da me sei tu che credi/d’esser meglio dei migranti/tu che scambi la fortuna/d’esser nato in occidente/per un merito e un diritto/tu che non ti fermi mai/egoista come sei/a pensare e immaginare/cos’è un figlio da salvare/dalle bombe e dalla fame.”)

Con un moto di sdegno, Cangemi punta il dito e concentra la sua lirica proprio verso queste ingiustizie:

” Oggi a muovere questa mia penna
è la stessa passione di allora
però adesso lo sguardo si è alzato
a cercare lo sguardo del mondo
perché sento la peste dell’odio
farsi strada tra menti annebbiate
da una rabbia insensata e violenta.”

-------------------

Fermati

Fermati, uomo
finché ancora puoi
sai già dove porta
l’istinto bestiale
che emerge arrogante
e dilaga violento
senza coscienza
memoria e ragione.
Fermati, mondo
che scivoli inerte
sul piano inclinato
dell’odio razziale
aggrappati, presto
alla storia, al pensiero
all’amore tra umani
che lotta e resiste.


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Trasformazioni 200242104 195 Anne Sexton 8834615298 Dagio_maya 0 poesia, americana, classica "...il mare rombava come un treno in retromarcia

e i segreti trapelavano da ogni finestra

come il gas."



Spiazzata.
Disorientata.
Confusa.
Cosa ho letto? Poesia? Prosa? Riscrittura di favole?

Non riesco a giudicare e ad uniformare il mio pensiero su pagine che non avrei dovuto leggere ma ascoltare.

Avevo letto che nel 1973 questa raccolta si trasformò in un’opera da camera commissionata dalla Minnesota Opera Company a Conrad Susa.
Ora capisco.
Trasformazioni..

Queste pagine devono aver voce (quella giusta) per poter entrare in sintonia con un ritmo lontano dalla metrica che ci si aspetterebbe.
D’altro canto Anne Sexton fu rivoluzionaria e, direi, che questo testo non ne smentisce la fama.

Fiabe dunque.
Diciassette per l’esattezza.
Perlopiù note e presentate nella truce versione originale non edulcorata per il pubblico infantile.

Ogni fiaba è preannunciata da versi che ne sottolineano il tema.

Ad esempio “Tremotino” (Rumpelstiltskin) attacca così:

”Dentro molti di noi
c’è un omino vecchio
che vuole uscire.
Non è più grande di un duenne,
potresti chiamarlo costoletta d’agnello
se non fosse che è vecchio e deforme.
La testa è a posto
ma il resto non è stato sanforizzato.
È un mostro di disperazione.
È la Decadenza.
Parla con la vocetta di un auricolare
che veicola la voce asessuata di Truman:
Sono il tuo nano.
Sono il nemico del fronte interno.
Sono il padrone dei tuoi sogni.
No, non sono la Legge interiore,
il nonno di Avvedutezza.
Sono la legge delle tue membra,
consanguineo di Nerezza e Impulso.
Vedi, ti trema la mano.
Non è una paralisi, né l’alcool.
È il tuo Doppio
che prova a uscire.
Attenzione... Attenzione...”



Lettura veramente..particolare.
Piena di sarcasmo che alle mie orecchie ha un ché di amaro.

Interessante la nota finale della traduttrice (Rosaria Lo Russo) che, oltre a spiegarci il perché abbia liberamente attualizzato ed italianizzato alcuni riferimenti (ad eseempio il “Tonight show” diventa il "Maurizio Costanzo Show"), inquadra il testo e mi conferma quello che ho sospettato durante tutta la lettura ma non avrei saputo tradurre in parole:

”La scrittura si fa francamente, spudoratamente, monologica, il verso liberissimo di sguinzagliare il virtuosismo metaphor mad su cui l’autrice aveva costruito la sua intonazione precipua, il suo stile irresistibile. “]]>
3.55 1971 Trasformazioni
author: Anne Sexton
name: Dagio_maya
average rating: 3.55
book published: 1971
rating: 0
read at: 2025/02/16
date added: 2025/02/17
shelves: poesia, americana, classica
review:
"...il mare rombava come un treno in retromarcia

e i segreti trapelavano da ogni finestra

come il gas."



Spiazzata.
Disorientata.
Confusa.
Cosa ho letto? Poesia? Prosa? Riscrittura di favole?

Non riesco a giudicare e ad uniformare il mio pensiero su pagine che non avrei dovuto leggere ma ascoltare.

Avevo letto che nel 1973 questa raccolta si trasformò in un’opera da camera commissionata dalla Minnesota Opera Company a Conrad Susa.
Ora capisco.
Trasformazioni..

Queste pagine devono aver voce (quella giusta) per poter entrare in sintonia con un ritmo lontano dalla metrica che ci si aspetterebbe.
D’altro canto Anne Sexton fu rivoluzionaria e, direi, che questo testo non ne smentisce la fama.

Fiabe dunque.
Diciassette per l’esattezza.
Perlopiù note e presentate nella truce versione originale non edulcorata per il pubblico infantile.

Ogni fiaba è preannunciata da versi che ne sottolineano il tema.

Ad esempio “Tremotino” (Rumpelstiltskin) attacca così:

”Dentro molti di noi
c’è un omino vecchio
che vuole uscire.
Non è più grande di un duenne,
potresti chiamarlo costoletta d’agnello
se non fosse che è vecchio e deforme.
La testa è a posto
ma il resto non è stato sanforizzato.
È un mostro di disperazione.
È la Decadenza.
Parla con la vocetta di un auricolare
che veicola la voce asessuata di Truman:
Sono il tuo nano.
Sono il nemico del fronte interno.
Sono il padrone dei tuoi sogni.
No, non sono la Legge interiore,
il nonno di Avvedutezza.
Sono la legge delle tue membra,
consanguineo di Nerezza e Impulso.
Vedi, ti trema la mano.
Non è una paralisi, né l’alcool.
È il tuo Doppio
che prova a uscire.
Attenzione... Attenzione...”



Lettura veramente..particolare.
Piena di sarcasmo che alle mie orecchie ha un ché di amaro.

Interessante la nota finale della traduttrice (Rosaria Lo Russo) che, oltre a spiegarci il perché abbia liberamente attualizzato ed italianizzato alcuni riferimenti (ad eseempio il “Tonight show” diventa il "Maurizio Costanzo Show"), inquadra il testo e mi conferma quello che ho sospettato durante tutta la lettura ma non avrei saputo tradurre in parole:

”La scrittura si fa francamente, spudoratamente, monologica, il verso liberissimo di sguinzagliare il virtuosismo metaphor mad su cui l’autrice aveva costruito la sua intonazione precipua, il suo stile irresistibile. “
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I cieli di Philadelphia 53450330 Tra detective story e saga familiare, Liz Moore costruisce un romanzo in cui passato e presente si intrecciano e si illuminano componendo il ritratto di una donna vulnerabile e coraggiosa, tormentata da scelte sbagliate e fedele al suo senso di giustizia, e racconta un quartiere ai margini del sogno americano, ma cuore pulsante di un’umanità genuina e desiderosa di riscatto.

Questo libro è per chi ha un posto segreto dove conservare i ricordi più cari, per chi ha visto cadere la neve sul palco dello Schiaccianoci, per chi da piccolo storpiava irrimediabilmente ogni parola, e per chi ha trovato il coraggio di affrontare i propri errori in nome della verità, per aprire gli occhi sul mondo come fosse la prima volta.]]>
460 Liz Moore 8894938654 Dagio_maya 4 americana Il mondo è un posto crudele. Il mondo è un posto crudele


Esiste un posto dove è normale camminare per strada e trovare gruppi di persone ciondolanti, piegati su se stessi, prigionieri di un mondo tutto loro.
Li chiamano zombies.
Morti che camminano, schiavi di droghe (L’Oxycontin /eroina/ Fentanyl soprattutto).

Esiste un posto così ormai in tantissime metropoli del mondo.

A Philadelphia questo posto si chiama Kensington Avenue.

INCIPIT
Sui binari di Gurney Street c’è un cadavere. Donna, età imprecisata, probabile overdose, dice il centralino.
Io penso: Kacey . È un tic, un riflesso condizionato, qualcosa di tagliente e inconscio che vive dentro di me e spedisce lo stesso messaggio alla stessa area primordiale del mio cervello ogni volta che viene segnalato un cadavere di sesso femminile. Poi arriva, arrancando, la parte di me più razionale, letargica, ottusa, un soldato zelante e tonto che mi snocciola probabilità e statistiche: l’anno scorso a Kensington ci sono stati novecento morti per overdose. E nessuno di loro era Kacey.



Protagoniste di questa storia sono due sorelle: Michaela (la voce narrante, che tutti chiamano Mickey) e Kacey.
Pochi anni di differenza ma la scelta di strade opposte che ci viene raccontata in due tempi.
I capitoli si alternano, infatti, tra “Adesso” e “Allora” con una sapiente costruzione narrativa che svela pian piano una storia dolorosa che porterà entrambe e dover affrontare la verità e porre rimedio ai propri errori.

Ritrovo nella postfazione della traduttrice Ada Arduini esattamente quello che ho pensato durante tutta la lettura:

Liz Moore ha la capacità rara di entrare a fondo nelle vite delle persone (e non personaggi) che racconta, con discrezione e grande empatia.
★★★★½


"Mettimi la mano sulla schiena , diceva Kacey, e io obbedivo ripensando con tenerezza alla mano di mia madre sulla pelle. Forse cercavo di trasmetterle il senso del suo valore, di convincerla che ero il recipiente da cui si riversava l’amore di nostra madre per lei, di immunizzarla contro le cattiverie del mondo. In quella posizione, io con la mano sulla sua schiena, ci addormentavamo tutt’e due. Sopra di noi un tetto catramato, inadatto ai rigori dell’inverno e, oltre, il cielo notturno di Philadelphia. E oltre il cielo, chissà."
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4.10 2020 I cieli di Philadelphia
author: Liz Moore
name: Dagio_maya
average rating: 4.10
book published: 2020
rating: 4
read at: 2025/02/15
date added: 2025/02/15
shelves: americana
review:
Il mondo è un posto crudele. Il mondo è un posto crudele


Esiste un posto dove è normale camminare per strada e trovare gruppi di persone ciondolanti, piegati su se stessi, prigionieri di un mondo tutto loro.
Li chiamano zombies.
Morti che camminano, schiavi di droghe (L’Oxycontin /eroina/ Fentanyl soprattutto).

Esiste un posto così ormai in tantissime metropoli del mondo.

A Philadelphia questo posto si chiama Kensington Avenue.

INCIPIT
Sui binari di Gurney Street c’è un cadavere. Donna, età imprecisata, probabile overdose, dice il centralino.
Io penso: Kacey . È un tic, un riflesso condizionato, qualcosa di tagliente e inconscio che vive dentro di me e spedisce lo stesso messaggio alla stessa area primordiale del mio cervello ogni volta che viene segnalato un cadavere di sesso femminile. Poi arriva, arrancando, la parte di me più razionale, letargica, ottusa, un soldato zelante e tonto che mi snocciola probabilità e statistiche: l’anno scorso a Kensington ci sono stati novecento morti per overdose. E nessuno di loro era Kacey.



Protagoniste di questa storia sono due sorelle: Michaela (la voce narrante, che tutti chiamano Mickey) e Kacey.
Pochi anni di differenza ma la scelta di strade opposte che ci viene raccontata in due tempi.
I capitoli si alternano, infatti, tra “Adesso” e “Allora” con una sapiente costruzione narrativa che svela pian piano una storia dolorosa che porterà entrambe e dover affrontare la verità e porre rimedio ai propri errori.

Ritrovo nella postfazione della traduttrice Ada Arduini esattamente quello che ho pensato durante tutta la lettura:

Liz Moore ha la capacità rara di entrare a fondo nelle vite delle persone (e non personaggi) che racconta, con discrezione e grande empatia.
★★★★½


"Mettimi la mano sulla schiena , diceva Kacey, e io obbedivo ripensando con tenerezza alla mano di mia madre sulla pelle. Forse cercavo di trasmetterle il senso del suo valore, di convincerla che ero il recipiente da cui si riversava l’amore di nostra madre per lei, di immunizzarla contro le cattiverie del mondo. In quella posizione, io con la mano sulla sua schiena, ci addormentavamo tutt’e due. Sopra di noi un tetto catramato, inadatto ai rigori dell’inverno e, oltre, il cielo notturno di Philadelphia. E oltre il cielo, chissà."

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Il nome della rosa 25300554 This is a previously-published edition of ISBN 9788845278655.

Ultima settimana del novembre 1327. Il novizio Adso da Melk accompagna in un’abbazia dell’alta Italia frate Guglielmo da Baskerville, incaricato di una sottile e imprecisa missione diplomatica. Ex inquisitore, amico di Guglielmo di Occam e di Marsilio da Padova, frate Guglielmo si trova a dover dipanare una serie di misteriosi delitti (sette in sette giorni, perpetrati nel chiuso della cinta abbaziale) che insanguinano una biblioteca labirintica e inaccessibile. Per risolvere il caso, Guglielmo dovrà decifrare indizi di ogni genere, dal comportamento dei santi a quello degli eretici, dalle scritture negromantiche al linguaggio delle erbe, da manoscritti in lingue ignote alle mosse diplomatiche degli uomini di potere. La soluzione arriverà, forse troppo tardi, in termini di giorni, forse troppo presto, in termini di secoli.]]>
618 Umberto Eco Dagio_maya 5 “...qui stiamo cercando di capire cosa sia avvenuto tra uomini che vivono tra i libri, coi libri, dei libri, e dunque anche le loro parole sui libri sono importanti.”


La voce narrante dell'anziano benedettino Adso da Melk è la voce narrante che ricorda una torbida storia che di cui fu testimone all'epoca in cui era un novizio.

In un freddo giorno di novembre del 1327, assieme a Guglielmo da Baskerville (un dotto francescano). si reca all'abbazia in un luogo non precisata dell’Italia settentrionale dove era previsto un incontro tra due delegazioni avverse: quella imperiale e quella papale.

Possiamo rintracciare un momento della Storia in cui gli uomini non abbiano versato sangue in nome del Potere e delle Ricchezze?
L’epoca Medioevale non fu certo esente, anzi si distinse per le trame fosche per la freddezza dei colpi sferrati e per le grandi crudeltà.
Giovanni XXII°, che aveva spostato la sede papale ad Avignone, scomunicò Ludovico di Baviera (eletto imperatore nel 1314).
Di rimando questo lo denunciò come eretico. Una trama che avrebbe potuto dirsi farsa se non fosse stata, invece, dai risvolti così tragici.

Tra il papa e l’imperatore, che si contendono il potere temporale, si inserisce la disputa dei francescani capeggiati da Michele da Cesena che al capitolo di Perugia proclamano come verità suprema la povertà di Cristo.
Asserzione fastidiosa per un papa che accumulava ricchezze...

Sette giorni scanditi secondo il ritmo di un monastero.
I due si ritrovano coinvolti in una serie di delitti misteriosi che richiedono acume e prudenza.

Mentre gli uomini dibattono sulle diverse interpretazioni della fede, la presenza del male si presenta nella sua doppia veste:
l’inquisitore che non risparmia i colpi della tortura e l’eretico che sfida il dogma.

Entrambi sono i due lati della stessa moneta:


”Che poi quanto avrei visto all’abbazia mi avrebbe fatto pensare che spesso sono gli inquisitori a creare gli eretici. E non solo nel senso che se li figurano quando non ci sono, ma che reprimono con tanta veemenza la tabe eretica da spingere molti a farsene partecipi, in odio a loro.”


Un’epoca confusa e macabra e la prospettiva di un incontro che non ci si illude sia chiarificatore ma che perlomeno attenui certe posizioni.

L’Abbazia prescelta custodisce un’antica e ricca biblioteca che diverrà fulcro del mistero da svelare.
”La biblioteca è testimonianza della verità e dell’errore”

Coinvolgente e affascinante.
Direi una bugia se sostenessi di aver assorbito e compreso ogni discorso (come il seguente:” Quindi, se ben capisco, fate, e sapete perché fate, ma non sapete perché sapete che sapete quel che fate?”) ma Eco sapeva maneggiare le parole come splendidi gioielli ed io ne sono rimasta incantata qui più che in altri romanzi letti anni fa.

Eco non è solo il cognome di colui che ha scritto ma un riverbero di parole altrui.
Oltre alle dotte citazione medioevali e dei classici antichi (di cui c’è abbondanza), qui vive Poe e le sue teorie del metodo deduttivo per condurre un'indagine; c'è un accenno al Manzoni ( vaso di coccio tra vasi di ferro...) e a Sciascia da cui (forse) attinse la scelta del titolo stesso.
Lo scrittore siciliano, infatti, in “Nero su nero” (1979) scrisse:


” L’immagine della rosa si accompagna all’idea della decadenza, della fine.
Anche se appena sbocciata, di una rosa si pensa che non durerà, che morirà col morire del giorno.”



Così questa storia ci racconta come battaglie imperiali, omicidi efferati volti a preservare tesori
non fanno altro che rivelare come tutto sia destinato a disperdersi tranne le parole e il sapere...



”Ecco, mi dissi, le ragioni del silenzio e del buio che circondano la biblioteca, essa è riserva di sapere ma può mantenere questo sapere intatto solo se impedisce che giunga a chiunque, persino ai monaci stessi. Il sapere non è come la moneta, che rimane fisicamente integra anche attraverso i più infami baratti: esso è piuttosto come un abito bellissimo, che si consuma attraverso l’uso e l’ostentazione. Non è così infatti il libro stesso, le cui pagine si sbriciolano, gli inchiostri e gli ori si fanno opachi, se troppe mani lo toccano?”]]>
4.21 1980 Il nome della rosa
author: Umberto Eco
name: Dagio_maya
average rating: 4.21
book published: 1980
rating: 5
read at: 2019/10/17
date added: 2025/02/14
shelves: 2019-terza-lista-bp, italiana, storica, 5-stelle
review:
“...qui stiamo cercando di capire cosa sia avvenuto tra uomini che vivono tra i libri, coi libri, dei libri, e dunque anche le loro parole sui libri sono importanti.”


La voce narrante dell'anziano benedettino Adso da Melk è la voce narrante che ricorda una torbida storia che di cui fu testimone all'epoca in cui era un novizio.

In un freddo giorno di novembre del 1327, assieme a Guglielmo da Baskerville (un dotto francescano). si reca all'abbazia in un luogo non precisata dell’Italia settentrionale dove era previsto un incontro tra due delegazioni avverse: quella imperiale e quella papale.

Possiamo rintracciare un momento della Storia in cui gli uomini non abbiano versato sangue in nome del Potere e delle Ricchezze?
L’epoca Medioevale non fu certo esente, anzi si distinse per le trame fosche per la freddezza dei colpi sferrati e per le grandi crudeltà.
Giovanni XXII°, che aveva spostato la sede papale ad Avignone, scomunicò Ludovico di Baviera (eletto imperatore nel 1314).
Di rimando questo lo denunciò come eretico. Una trama che avrebbe potuto dirsi farsa se non fosse stata, invece, dai risvolti così tragici.

Tra il papa e l’imperatore, che si contendono il potere temporale, si inserisce la disputa dei francescani capeggiati da Michele da Cesena che al capitolo di Perugia proclamano come verità suprema la povertà di Cristo.
Asserzione fastidiosa per un papa che accumulava ricchezze...

Sette giorni scanditi secondo il ritmo di un monastero.
I due si ritrovano coinvolti in una serie di delitti misteriosi che richiedono acume e prudenza.

Mentre gli uomini dibattono sulle diverse interpretazioni della fede, la presenza del male si presenta nella sua doppia veste:
l’inquisitore che non risparmia i colpi della tortura e l’eretico che sfida il dogma.

Entrambi sono i due lati della stessa moneta:


”Che poi quanto avrei visto all’abbazia mi avrebbe fatto pensare che spesso sono gli inquisitori a creare gli eretici. E non solo nel senso che se li figurano quando non ci sono, ma che reprimono con tanta veemenza la tabe eretica da spingere molti a farsene partecipi, in odio a loro.”


Un’epoca confusa e macabra e la prospettiva di un incontro che non ci si illude sia chiarificatore ma che perlomeno attenui certe posizioni.

L’Abbazia prescelta custodisce un’antica e ricca biblioteca che diverrà fulcro del mistero da svelare.
”La biblioteca è testimonianza della verità e dell’errore”

Coinvolgente e affascinante.
Direi una bugia se sostenessi di aver assorbito e compreso ogni discorso (come il seguente:” Quindi, se ben capisco, fate, e sapete perché fate, ma non sapete perché sapete che sapete quel che fate?”) ma Eco sapeva maneggiare le parole come splendidi gioielli ed io ne sono rimasta incantata qui più che in altri romanzi letti anni fa.

Eco non è solo il cognome di colui che ha scritto ma un riverbero di parole altrui.
Oltre alle dotte citazione medioevali e dei classici antichi (di cui c’è abbondanza), qui vive Poe e le sue teorie del metodo deduttivo per condurre un'indagine; c'è un accenno al Manzoni ( vaso di coccio tra vasi di ferro...) e a Sciascia da cui (forse) attinse la scelta del titolo stesso.
Lo scrittore siciliano, infatti, in “Nero su nero” (1979) scrisse:


” L’immagine della rosa si accompagna all’idea della decadenza, della fine.
Anche se appena sbocciata, di una rosa si pensa che non durerà, che morirà col morire del giorno.”



Così questa storia ci racconta come battaglie imperiali, omicidi efferati volti a preservare tesori
non fanno altro che rivelare come tutto sia destinato a disperdersi tranne le parole e il sapere...



”Ecco, mi dissi, le ragioni del silenzio e del buio che circondano la biblioteca, essa è riserva di sapere ma può mantenere questo sapere intatto solo se impedisce che giunga a chiunque, persino ai monaci stessi. Il sapere non è come la moneta, che rimane fisicamente integra anche attraverso i più infami baratti: esso è piuttosto come un abito bellissimo, che si consuma attraverso l’uso e l’ostentazione. Non è così infatti il libro stesso, le cui pagine si sbriciolano, gli inchiostri e gli ori si fanno opachi, se troppe mani lo toccano?”
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Ultima fermata Delicious 50070782 439 James Hannaham 8817141380 Dagio_maya 0 biblioteca 3.58 2015 Ultima fermata Delicious
author: James Hannaham
name: Dagio_maya
average rating: 3.58
book published: 2015
rating: 0
read at:
date added: 2025/02/11
shelves: biblioteca
review:

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Gorilla, amore mio 34816366 163 Toni Cade Bambara 8869980790 Dagio_maya 0 to-read 3.86 1972 Gorilla, amore mio
author: Toni Cade Bambara
name: Dagio_maya
average rating: 3.86
book published: 1972
rating: 0
read at:
date added: 2025/02/10
shelves: to-read
review:

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ll mondo invisibile 28858902
Dopo I cieli di Philadelphia, Liz Moore torna con un libro profondo e appassionante che si legge d’un fiato. E ci parla dell’infinito potere dell’amore, capace di infondere una misteriosa tenerezza persino al rapporto tra uomo e tecnologia, e di travalicare i limiti e le inesattezze della vita.]]>
429 Liz Moore Dagio_maya 0 to-read 4.21 2016 ll mondo invisibile
author: Liz Moore
name: Dagio_maya
average rating: 4.21
book published: 2016
rating: 0
read at:
date added: 2025/02/09
shelves: to-read
review:

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Confessione africana 16138194 61 Roger Martin du Gard 8845909034 Dagio_maya 4 racconti, classica, europea «Ma la vita non è fatta quasi unicamente di dettagli eccezionali? »


Roger Martin Du Gard, scrittore francese, premio Nobel nel 1937 e perlopiù, al pubblico italiano, misconosciuto pubblicò il racconto Confessione africana nel 1931.

Chi non subisce l’attrazione per i segreti?
description
«Devo dirti una cosa ma promettimi che non lo dirai a nessuno!»
Quante volte ci siamo trovati (da una parte o dall’altra) in questa situazione?

Dato che uno scrittore attinge sempre (deve!) dal suo vissuto, il Du Gard personaggio/scrittore non mantiene la promessa, anzi ne fa un racconto che spedisce al suo editore.

Quale sia questa confessione non lo dirò neanche nascondendolo (io mantengo le promesse!) ma ne parlerò lo stesso.

Veramente poche pagine che rivelano una grande penna.
La cesellatura con cui costruisce le atmosfere e lo spessore dei personaggi sono la forza assieme certamente alla torbida storia che parte proprio parlando di letteratura.

Du Gard fa amicizia infatti con Leandro (nome fittizio) proprietario di una libreria in Algeria.
Conversando a proposito di ”.. un recente articolo del « Temps » che accusa i giovani romanzieri americani di affrontare per puro capriccio argomenti « scabrosi » e del tutto
« inverosimili»
, Leandro si dimostra indispettito da chi ritiene che la vita vera non sia piena di eventi simili.

Inizia quindi un racconto.
Nulla di riportato ma qualcosa accaduto a lui stesso, qualcosa che non aveva mai confessato a nessuno..


”Tacque. E tutta la storia, quella sera, sotto quel bel cielo notturno, pareva in effetti così semplice che non ho trovato niente da dirgli.”
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3.60 1931 Confessione africana
author: Roger Martin du Gard
name: Dagio_maya
average rating: 3.60
book published: 1931
rating: 4
read at: 2025/02/01
date added: 2025/02/08
shelves: racconti, classica, europea
review:
«Ma la vita non è fatta quasi unicamente di dettagli eccezionali? »


Roger Martin Du Gard, scrittore francese, premio Nobel nel 1937 e perlopiù, al pubblico italiano, misconosciuto pubblicò il racconto Confessione africana nel 1931.

Chi non subisce l’attrazione per i segreti?
description
«Devo dirti una cosa ma promettimi che non lo dirai a nessuno!»
Quante volte ci siamo trovati (da una parte o dall’altra) in questa situazione?

Dato che uno scrittore attinge sempre (deve!) dal suo vissuto, il Du Gard personaggio/scrittore non mantiene la promessa, anzi ne fa un racconto che spedisce al suo editore.

Quale sia questa confessione non lo dirò neanche nascondendolo (io mantengo le promesse!) ma ne parlerò lo stesso.

Veramente poche pagine che rivelano una grande penna.
La cesellatura con cui costruisce le atmosfere e lo spessore dei personaggi sono la forza assieme certamente alla torbida storia che parte proprio parlando di letteratura.

Du Gard fa amicizia infatti con Leandro (nome fittizio) proprietario di una libreria in Algeria.
Conversando a proposito di ”.. un recente articolo del « Temps » che accusa i giovani romanzieri americani di affrontare per puro capriccio argomenti « scabrosi » e del tutto
« inverosimili»
, Leandro si dimostra indispettito da chi ritiene che la vita vera non sia piena di eventi simili.

Inizia quindi un racconto.
Nulla di riportato ma qualcosa accaduto a lui stesso, qualcosa che non aveva mai confessato a nessuno..


”Tacque. E tutta la storia, quella sera, sotto quel bel cielo notturno, pareva in effetti così semplice che non ho trovato niente da dirgli.”

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Colazione da Tiffany 9456117 128 Truman Capote 8811683459 Dagio_maya 4 americana, classica In transito

E’ possibile parlare di “Colazione da Tiffany” come romanzo senza citarne la sua trasposizione cinematografica?
Credo che sia quasi impossibile perchè al solo citare questo titolo l’associazione mentale è automatica.
Come spesso accade, tuttavia, esistono profonde differenze di trama tra il libro ed il film. Quest’ultimo si piega alle necessità hollywoodiane dell’happy end e con un colpo di spugna cancella ogni allusione omoerotica.
Leggere il libro, tuttavia, dopo aver visto il film, sicuramente influenza ma non distoglie l’attenzione da Holly Golightly perché comunque è non solo il personaggio principale ma la forza vera e propria di questa storia.

Holly Golightly, in transito: così c’è scritto sui biglietti da visita di questa frizzante diciannovenne che s’immerge ambienti della café-society newyorkese vivendo un frenetico presente.
Un appartamento che ha l’aspetto di un luogo di passaggio e che riflette la precarietà come scelta di vita in attesa di raggiungere qualcos’altro.
E’ sempre lui, «il sogno americano» tanto agognato a cui Holly non si sottrae ma con un'unica prerogativa: essere fedeli a se stessi.

Chapeau a Capote che in poche pagine ci restituisce una storia molto rappresentativa dell'America anni cinquanta.



"Non voglio dire che non mi interessi diventare ricca e celebre. Sono cose che ho in programma, e un giorno o l'altro cercherò di raggiungerle; ma, se dovesse succedere, il mio ego me lo voglio portare appresso. Voglio essere ancora io quando mi sveglierò una bella mattina e andrò a fare la prima colazione da Tiffany."
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3.69 1958 Colazione da Tiffany
author: Truman Capote
name: Dagio_maya
average rating: 3.69
book published: 1958
rating: 4
read at: 2020/08/12
date added: 2025/02/03
shelves: americana, classica
review:
In transito

E’ possibile parlare di “Colazione da Tiffany” come romanzo senza citarne la sua trasposizione cinematografica?
Credo che sia quasi impossibile perchè al solo citare questo titolo l’associazione mentale è automatica.
Come spesso accade, tuttavia, esistono profonde differenze di trama tra il libro ed il film. Quest’ultimo si piega alle necessità hollywoodiane dell’happy end e con un colpo di spugna cancella ogni allusione omoerotica.
Leggere il libro, tuttavia, dopo aver visto il film, sicuramente influenza ma non distoglie l’attenzione da Holly Golightly perché comunque è non solo il personaggio principale ma la forza vera e propria di questa storia.

Holly Golightly, in transito: così c’è scritto sui biglietti da visita di questa frizzante diciannovenne che s’immerge ambienti della café-society newyorkese vivendo un frenetico presente.
Un appartamento che ha l’aspetto di un luogo di passaggio e che riflette la precarietà come scelta di vita in attesa di raggiungere qualcos’altro.
E’ sempre lui, «il sogno americano» tanto agognato a cui Holly non si sottrae ma con un'unica prerogativa: essere fedeli a se stessi.

Chapeau a Capote che in poche pagine ci restituisce una storia molto rappresentativa dell'America anni cinquanta.



"Non voglio dire che non mi interessi diventare ricca e celebre. Sono cose che ho in programma, e un giorno o l'altro cercherò di raggiungerle; ma, se dovesse succedere, il mio ego me lo voglio portare appresso. Voglio essere ancora io quando mi sveglierò una bella mattina e andrò a fare la prima colazione da Tiffany."

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Vita meravigliosa 55202322 119 Patrizia Cavalli 8806246569 Dagio_maya 4 poesia, italiana
Cosa non devo fare
per togliermi di torno
la mia nemica mente:
ostilità perenne
alla felice colpa di esser quel che sono,
il mio felice niente.





”Fosse vissuta sei o sette secoli fa, nelle terre umbre dov’è nata, Patrizia Cavalli sarebbe stata senz’altro una delle grandi mistiche di quel periodo”

Con queste parole comincia la presentazione in quarta di copertina di Vita meravigliosa (2022) raccolta poetica di Patrizia Cavalli (1947-2022).
In particolare mi soffermo sul misticismo.
Decido di rileggere alcuni versi. Finisco per rileggere quasi tutto e continuo a non capire.
Le terre umbre richiamano certo alla mente gli antichi eremi dove personaggi disparati cadevano in preda a deliranti allucinazioni spesso trascendendo la vita materiale.

Io – ignorante sicuramente - tra queste righe ho sentito parole più carnali che spirituali:


” Occupata da poveri pensieri /– la puzza di fritto, il freddo –/dov’è la mia anima,/dov’è la mia anima? /Senza sonno ma non sveglia,/ torpida e irrequieta, / rassegnata ma querula,/ è questa la mia anima? / Cuore fermo che non pensa / mente astiosa che non sente / non c’è nulla che mi accende./ Ma avrò davvero un’anima? /Cerco di ricordare / ma è un compito il ricordo,/ colpa dell’orologio / che fa troppo rumore. / O è il tavolo di marmo / che certo non è caldo? / Ma l’anima è immortale / e quindi immateriale. / Se poi scopro che ho un’anima / noiosa quanto me, /faccio a meno dell’anima / mi accontento di me. “

In ogni caso, una vera sorpresa questi componimenti.

Una commistione perfetta tra ironia e profonda amarezza dove entra in scena la morte (” E me ne devo andare via cosí? / Non che mi aspetti il disegno compiuto / ciò che si vede alla fine del ricamo /quando si rompe con i denti il filo / dopo averlo su se stesso ricucito / perché non possa piú sfilarsi se tirato. / Ma quel che ho visto si è tutto cancellato. / E quasi non avevo cominciato.”) quanto la vita ( Vita meravigliosa / sempre mi meravigli”).

Sorprende anche l'ode agli alcoolici (” Avere il whisky in casa è un gran vantaggio,”) e agli psicofarmaci (” Gloria perpetua alla fluoxetina”) per poi scoprire con tenerezza il bisogno di essere ascoltata:

"Parla a se stesso il pazzo e si consola
e il santo parla solitario a Dio.
E io a chi parlo quando parlo da sola?
Parlo a qualcuno che non sono io
ma una platea vista di sbieco al volo,
mutevole a seconda del mio tono,
che non risponde mai, ascolta solo,
se la parola trova il giusto suono.
Questa muta assemblea inconcludente
che non fa petizioni, non si ostina
a voler controbattere e opinare,
mi anima di speranze la mattina:
avere un tale dono della mente,
poter parlare, e farsi anche ascoltare!
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4.16 2020 Vita meravigliosa
author: Patrizia Cavalli
name: Dagio_maya
average rating: 4.16
book published: 2020
rating: 4
read at: 2025/02/01
date added: 2025/02/01
shelves: poesia, italiana
review:

Cosa non devo fare
per togliermi di torno
la mia nemica mente:
ostilità perenne
alla felice colpa di esser quel che sono,
il mio felice niente.





”Fosse vissuta sei o sette secoli fa, nelle terre umbre dov’è nata, Patrizia Cavalli sarebbe stata senz’altro una delle grandi mistiche di quel periodo”

Con queste parole comincia la presentazione in quarta di copertina di Vita meravigliosa (2022) raccolta poetica di Patrizia Cavalli (1947-2022).
In particolare mi soffermo sul misticismo.
Decido di rileggere alcuni versi. Finisco per rileggere quasi tutto e continuo a non capire.
Le terre umbre richiamano certo alla mente gli antichi eremi dove personaggi disparati cadevano in preda a deliranti allucinazioni spesso trascendendo la vita materiale.

Io – ignorante sicuramente - tra queste righe ho sentito parole più carnali che spirituali:


” Occupata da poveri pensieri /– la puzza di fritto, il freddo –/dov’è la mia anima,/dov’è la mia anima? /Senza sonno ma non sveglia,/ torpida e irrequieta, / rassegnata ma querula,/ è questa la mia anima? / Cuore fermo che non pensa / mente astiosa che non sente / non c’è nulla che mi accende./ Ma avrò davvero un’anima? /Cerco di ricordare / ma è un compito il ricordo,/ colpa dell’orologio / che fa troppo rumore. / O è il tavolo di marmo / che certo non è caldo? / Ma l’anima è immortale / e quindi immateriale. / Se poi scopro che ho un’anima / noiosa quanto me, /faccio a meno dell’anima / mi accontento di me. “

In ogni caso, una vera sorpresa questi componimenti.

Una commistione perfetta tra ironia e profonda amarezza dove entra in scena la morte (” E me ne devo andare via cosí? / Non che mi aspetti il disegno compiuto / ciò che si vede alla fine del ricamo /quando si rompe con i denti il filo / dopo averlo su se stesso ricucito / perché non possa piú sfilarsi se tirato. / Ma quel che ho visto si è tutto cancellato. / E quasi non avevo cominciato.”) quanto la vita ( Vita meravigliosa / sempre mi meravigli”).

Sorprende anche l'ode agli alcoolici (” Avere il whisky in casa è un gran vantaggio,”) e agli psicofarmaci (” Gloria perpetua alla fluoxetina”) per poi scoprire con tenerezza il bisogno di essere ascoltata:

"Parla a se stesso il pazzo e si consola
e il santo parla solitario a Dio.
E io a chi parlo quando parlo da sola?
Parlo a qualcuno che non sono io
ma una platea vista di sbieco al volo,
mutevole a seconda del mio tono,
che non risponde mai, ascolta solo,
se la parola trova il giusto suono.
Questa muta assemblea inconcludente
che non fa petizioni, non si ostina
a voler controbattere e opinare,
mi anima di speranze la mattina:
avere un tale dono della mente,
poter parlare, e farsi anche ascoltare!

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Il dominio della regina 30526804 472 George R.R. Martin 8804662069 Dagio_maya 4 fanta Storia della follia nell'età classica di Michel Foucault).

Il signor Martin , tuttavia, mi ha spiazzata fin dalle prime pagine aggiungendo alla lista già ben nutrita di personaggi altri nomi e altri luoghi.
Con un salto magistrale, alcuni protagonisti lasciati sulla scena del precedente volume, sono stati uccisi e ci si ritrova quindi ad avere a che fare con qualcuno di già conosciuto e con molti altri al primo debutto.
Insomma, il mondo continua ad essere ”pieno di cose brutte (…)Puoi combatterle, puoi riderne, oppure puoi guardarle senza vederle… puoi ritirarti in altri spazi, dentro di te.

Credo mi prenderò una (piccola?) pausa..
★★★½
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3.73 2005 Il dominio della regina
author: George R.R. Martin
name: Dagio_maya
average rating: 3.73
book published: 2005
rating: 4
read at: 2025/01/31
date added: 2025/01/31
shelves: fanta
review:
Questo libro –nella mia ingenua mente- avrebbe dovuto essere la lettura “leggera” per spezzarne una più faticosa (Storia della follia nell'età classica di Michel Foucault).

Il signor Martin , tuttavia, mi ha spiazzata fin dalle prime pagine aggiungendo alla lista già ben nutrita di personaggi altri nomi e altri luoghi.
Con un salto magistrale, alcuni protagonisti lasciati sulla scena del precedente volume, sono stati uccisi e ci si ritrova quindi ad avere a che fare con qualcuno di già conosciuto e con molti altri al primo debutto.
Insomma, il mondo continua ad essere ”pieno di cose brutte (…)Puoi combatterle, puoi riderne, oppure puoi guardarle senza vederle… puoi ritirarti in altri spazi, dentro di te.

Credo mi prenderò una (piccola?) pausa..
★★★½

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